Il cammino verso la perfezione
di Plinio Corrêa de Oliveira
Com’è l’itinerario dell’anima verso la perfezione spirituale? Quali le forze che vi agiscono? Quali i pericoli? Un testo inedito di Plinio Corrêa de Oliveira
Dobbiamo analizzare bene, descrivere psicologicamente lo stato di spirito di chi cerca la perfezione.
Il gaudio della perfezione
Di fronte a una cosa perfetta, l’uomo prova gaudio. Gli piace trovare una cosa perfetta, e ne prova piacere. Questo è un atteggiamento buono.
Do un esempio. Anni fa parlavo con una persona libertina, molto più grande di me, che trascorse buona parte della sua vita nella Parigi dell’entre deux guerres, godendosi i piaceri mondani che offriva la Ville Lumière. Ogni tanto, però, egli si annoiava della vita sregolata e rimaneva in hotel a leggere Camões (1). Mi commentava: “Com’è bello! Quanto mi appassiona Camões!”. Era dunque un libertino che aveva conservato in fondo all’anima un piccolo resto di rettitudine. Di fronte a una poesia molto bella, rimaneva estasiato. È un gaudio molto diverso da quello che gli offrivano i piaceri immorali. È anzi il contrario.
Quando un uomo si butta nella vita immorale, sveglia in sé una gamma di appetenze e di aspirazioni che non hanno niente a che fare con la perfezione metafisica, anzi lo allontanano da essa. Sono piaceri rivolti esclusivamente al proprio godimento. Se egli, però, conserva nell’anima un tratto di pulizia, di coerenza, di candore, nel vedere una cosa bella, prova gaudio. I primi sono piaceri interessati, diversi e opposti ai piaceri disinteressati che offre la perfezione.
Qual è la natura del piacere disinteressato?
L’uomo sente naturalmente la propria fragilità, la propria contingenza, sente che è incompleto, limitato. Per rimediare a tale contingenza, egli prova una profonda aspirazione ad arrivare alla propria pienezza, che si traduce in un desiderio di contemplare cose perfette nelle quali possa riposare, completarsi e quindi giungere alla sua pienezza. Questo dà un piacere che non è fine a sé stesso, è un piacere retto, metafisico che non si basa sulle cose precarie ma, sgorgando dal più profondo dell’essere, punta verso un fine che è assoluto, eterno.
Io sono convinto che la visione beatifica che avremo in Cielo sarà così.
Questa tendenza alla perfezione dà all’uomo una sensazione di pienezza e di sufficienza, che è imparagonabile. La castità, per esempio, dà questo in modo eccellente. La persona casta prova una sorta di sufficienza, una serenità, un benessere che è di ordine metafisico. Essa sente che è ordinata secondo il proprio essere, sente che sta perfettamente inserita nell’ordine dell’universo che tende all’Assoluto, cioè a Dio. La castità è un desiderio del Cielo.
È l’opposto del piacere lascivio, sensuale. Questi è un godimento fine a sé stesso, senza niente di metafisico, un godimento che tende parimenti a una sorta di pienezza verso il basso che, però, non potrà mai raggiungere. Un tale godimento rompe l’ordine dell’essere, offrendo un piacere sensuale che distoglie da quello spirituale. Il primo è un piacere disinteressato, orientato al bene spirituale della persona e perfettamente inserito nell’ordine dell’essere. Il secondo è interessato, e porta la persona nella direzione opposta.
La Rivoluzione (2) cerca in ogni modo di svegliare e fomentare negli uomini il godimento sensuale, fine a sé stesso. Dall’altra parte, la Chiesa e la grazia divina lavorano per svegliare in noi l’élan (impulso) verso l’Assoluto.
Per lo stesso dinamismo delle passioni, quando l’uomo cede, anche minimamente, al piacere sensuale, facilmente cade in una sorta di fiume impetuoso che lo può trascinare fino agli estremi del peccato. A volte basta intingere un dito in questo fiume per esserne travolto. L’unica soluzione è non concedere niente. È la classica immagine dell’uomo in piede su una grande palla. Questo è l’uomo casto. Finché egli si terrà fermo, eretto, potrà mantenere l’equilibrio. Basterà, però, un piccolo movimento perché cominci a traballare, rischiando quindi di scivolare giù.
La perseveranza del casto dipende dal conservare questa posizione eretta, fiera e sfidante. Dipende dal saper provare il gaudio della castità. La castità dà un’euforia che è l’opposto del godimento lascivo. Ecco i due poli di attrazione dell’uomo che, in fondo, sono Dio e il demonio. L’attrazione verso uno o l’altro polo suscitano nell’uomo reazioni totalmente diverse.
Dobbiamo imparare a sentire il gaudio della perfezione, dobbiamo imparare a sentire la nostra perfezione spirituale, dobbiamo sentire che baciamo l’Assoluto, baciamo i piedi di Dio.
Il dinamismo del cammino verso la perfezione
Qual è il dinamismo della tendenza alla perfezione? Quali gli ostacoli?
Per causa del peccato originale, in ogni uomo ve ne sono in realtà due. Un uomo è rivolto al desiderio di perfezione, con un dinamismo proprio: quanto più aspira alla perfezione, più prova il desiderio di innalzarsi ancora. La perfezione è come una calamita: quanto più ci si approssima, più aumenta la sua forza d’attrazione.
Vi è, però, l’altro uomo. Perfino nel più santo dei santi, rimane in ciò che potrei chiamare il sotterraneo dell’anima, una sorta di gemito che tira verso il basso. Il cammino alla perfezione è pieno di delizie, ma comporta anche una croce: silenziare continuamente questo gemito che richiama verso il basso. La soluzione non consiste nel soddisfare questo gemito in un piccolo punto, cercando così di accontentarlo nella vana speranza che si tenga fermo. Questa sarebbe la tattica fallimentare del “cedere per non perdere”. La soluzione consiste nel non abbandonare la posizione eretta, amandola sempre di più. La soluzione consiste nel fare del desiderio di perfezione il senso della propria vita.
Il pericolo più insidioso, però, è fermarsi lungo la salita verso la perfezione. Nel momento in cui la persona dice: “Ho già fatto abbastanza, ora basta, mi prendo una pausa”, in quel momento apre la porta alla belva del sotterraneo. O è tutto o è niente! Io non mi posso fermare lungo la salita verso la perfezione perché rischio di scivolare giù fino in fondo. Questo “basta” è già un atto di connivenza con la belva. Ecco l’inizio di ogni decadenza spirituale.
Questo “basta” nasce dall’illusione che si possa cedere in un punto secondario, magari di per sé lecito ma meno perfetto, senza che la belva si svegli. Facendo così, però, entra il piacere fine a sé stesso. E comincia la decadenza.
Analizziamo la genesi di questo “basta”.
L’origine della decadenza spirituale
Nella vita spirituale, quando si sale molto in alto, l’uomo può provare una sorta di vertigine che suscita una domanda: “Dove mi sono messo? È questo che io voglio?”. Egli quindi s’interroga: “Per tanti anni mi sono dato alla Chiesa, all’apostolato, alla preghiera, alle opere di bene. Ho dato tutto. Alla fine, cosa è rimasto per me? Chi sono io adesso?”. La tentazione è di credere che non si sia nessuno, soprattutto se ci si confronta con i modelli mondani: “Sono celebre? Ho fatto carriera? Mi sono goduto la vita? Io ho dato, dato, dato, ed ecco che adesso le mie mani sono vuote!”.
La risposta giusta è capire che si è fatta la cosa più importante in assoluto: si è costruita la propria anima, approssimandosi in questo modo a Dio. Pensate a santa Giovanna d’Arco. Posso immaginare che sul rogo lei abbia avuto la tentazione di rimpiangere le sue scelte di vita. Come sarebbe stato tutto più facile se non avesse ascoltato le voci! Sarebbe rimasta a Domrémy, nella vita tranquilla e spensierata di una contadina agiata. Invece, eccola condannata a morte come strega dalla Santa Inquisizione! Lei, la Vergine di Lorena, Gonfaloniere del Re, vincitrice di tante battaglie, bruciata viva come una strega! Lei aveva abbandonato tutto per l’amore di Dio, e adesso finiva sul rogo. La sua vita non sarà stata un grande bluff?
Che cosa le era rimasto? Era rimasta una grandissima anima, un’anima perfetta, che nell’atto di morire martire poteva ripetere le parole di Nostro Signore: “Padre mio, nelle Tue mani affido il mio spirito!”. Era rimasta una grande santa che le generazioni future, fino alla fine del mondo, avrebbero venerato.
* Testo tratto dalla registrazione magnetofonica d’una riunione per la Commissione di studi americani del 31 luglio 1989, a San Paolo del Brasile. Senza revisione dell’autore. I sottotitoli sono redazionali.
1. Luís de Camões (1524-1580), il più celebre poeta portoghese, autore tra l’altro de “I Luisiadi”.
2. Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira, “Rivoluzione e Contro-Rivoluzione”, Luci sull’Est, Roma, 1988.