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Sommario
Il Sinodo sull’Amazzonia porterà a una “rottura” nella Chiesa cattolica: “niente sarà più come prima”. Queste le parole del vescovo tedesco Franz-Josef Overbeck, responsabile dell’organizzazione di soccorso cattolico dell’America Latina Adveniat, di fronte ai giornalisti di Essen.
Gli articoli qui pubblicati denunciano le “rotture” anelate da mons. Overbeck e dai neo-missionari fautori di una “inculturazione” a qualsiasi prezzo e fanatizzati dalla “Teologia India” (rimasticatura neo-marxista della Teologia della Liberazione). Purtroppo, invece di correggere il tiro, l’Instrumentum laboris presentato il 17 giugno nella Sala Stampa Vaticana ribadisce pienamente questi aneliti.
Queste rotture costituiscono una rampa di lancio per una Nuova Chiesa sincretista – un mix di cristianesimo e paganesimo - dedita al culto della Madre Terra (Pachamama) e alla denuncia dello stile di vita delle società progredite.
Una rottura antropologica
Per il teologo tedesco residente in Brasile don Paul Suess, uno degli autori del Documento Preparatorio del Sinodo, la “nuova missionologia” rifiuta il modello tradizionale di evangelizzazione, considerato “colonialista”. Il neo-missionario si deve mettere in ascolto delle culture autoctone, riconoscendo in esse un “progetto di vita” voluto da Dio; le deve accompagnare nella lotta contro il “colonialismo culturale” e testimoniare che “l’unica rottura che il Vangelo propone è la rottura con l’infedeltà ai propri progetti di vita”.
In tal modo si trasformano le foreste amazzoniche in una sorta di “zoo umani”, privando i nativi non solo della fede cattolica ma anche di indispensabili sviluppi materiali.
Una rottura missionologica
Ecco perché in alcune neo-missioni si boccia qualsiasi idea di “proselitismo”, e ci si limita piuttosto a fornire meri aiuti materiali nel contesto di un “dialogo interculturale”; i neo-missionari si vantano di non avere battezzato nessun indigeno da quando è avvenuto questo cambio di paradigma missionologico (e cioè da oltre 50 anni).
Una rottura teologica
I neo-missionari vedono nella cosmovisione e nelle mitologie dei popoli nativi la presenza di Cristo, i “semi del Verbo”, concetto ampiamente ribadito nell’Instrumentum laboris (p.es. n°120).
Come denunciò tempo addietro il cardinale messicano Javier Lozano Barragán, per la Teologia India “nelle culture indigene si dà una vera rivelazione”. “Così abbiamo due rivelazioni, quella delle tradizioni e quella della Bibbia. Prima viene la storia del popolo indigeno, dopo arriva la Bibbia per supportarla. Le tradizioni indigene prevalgono sulla Bibbia. Le tradizioni sono l’altra rivelazione di Dio. La storia del popolo indigeno è il loro Antico Testamento”.
Pertanto, secondo gli esponenti di questa teologia “la Chiesa deve riconoscere che ci sono diversi cammini di salvezza; (che) il cammino da essa proposto non è che uno fra i tanti. Il Cristianesimo deve abdicare alla pretesa di essere l’unica via”. I presupposti ideologico-teologici alla base di questa denuncia oggi vengono ripresi nell’Instrumentum laboris, il quale chiede “di approfondire una teologia india amazzonica già esistente, che permetterà una migliore e maggiore comprensione della spiritualità indigena”, e“di prendere in considerazione i miti, le tradizioni, i simboli, i saperi, i riti e le celebrazioni originarie” (n° 98 d).
Una inquietante rottura magico-taumaturgica
Il Documento Preparatorio elogia le credenze spirituali dei popoli amazzonici in quanto fonte di un “buon vivere” e di rispetto verso la natura, e afferma pure che “i vecchi saggi, chiamati indistintamente – fra l’altro – payés, mestres, wayanga o chamanes, hanno a cuore l’armonia delle persone tra loro e con il cosmo. Tutti costoro ‘sono memoria viva della missione che Dio ha affidato a tutti noi: avere cura della Casa Comune’”.
Bisogna ricordare che gli sciamani o payé sono “guaritori” che, servendosi non di rado di allucinogeni, viaggiano “in spirito” fuori dal corpo interagendo con altre entità spirituali, al fine di ristabilire la salute di una comunità o di un corpo malato.
I missionari tradizionali hanno sempre denunciato il carattere probabilmente diabolico degli spiriti invocati in questi rituali di guarigione.
Tuttavia, per il missionario e cattedratico tedesco padre Karl Heinz Arenz SVD vi è un’analogia fra detti guaritori e il cristianesimo, poiché Gesù stesso “impiegò – gratuitamente – gesti e segnali magici comuni del suo tempo, mettendoli al servizio del Regno, utilizzando così una ‘magia buona’, promotrice di vita e fautrice di senso”. Pertanto la Chiesa dovrebbe recuperare “il nucleo terapeutico dei progetti evangelici” e riconoscere nelle comunità amazzoniche “il ministero degli agenti terapeutici (i payé)”. L’Instrumentum laboris fa proprie queste richieste: “I rituali e le cerimonie indigene sono essenziali per la salute integrale perché integrano i diversi cicli della vita umana e della natura. Creano armonia ed equilibrio tra gli esseri umani e il cosmo (n° 87).
Una rottura eclesiologica e sacramentale
Il riconoscimento di “nuovi ministeri dal volto amazzonico” è uno degli scopi del Sinodo, stando al Documento Preparatorio.
La riforma agognata dai neo-missionari va molto al di là della questione di cui tanto si parla, ovvero l’ordinazione di laici sposati maturi (viri probati). Rifacendosi alla Teologia della Liberazione, si pretende che sia la comunità a suscitare al suo interno i diversi ministeri di cui ha bisogno, persino quelli liturgici. La Chiesa conferirà poi agli eletti i ministeri richiesti, che nel caso indigeno devono conformarsi alle strutture e culture tribali e incorporare le donne. Idee queste riprese appieno nell’Instrumentum laboris (n° 129 a.) e fondate sul rifiuto del “clericalismo” e dell’opportunità di riconsiderare l’idea che l’esercizio della giurisdizione “deve essere collegato in tutti gli ambiti ... e in modo permanente al Sacramento dell’Ordine” (n° 127).
Inoltre, le celebrazioni liturgiche “inculturate” devono avvalersi di gesti e materie locali. Per il gesuita Francisco Saborda, professore di Teologia e autore di libri sui sacramenti, al posto del pane va usata la manioca. Altri propongono l’acqua di cocco in sostituzione al vino.
Una rottura di civiltà
Le civiltà progrediscono quando i popoli abbandonano la vita nomade e si organizzano politicamente. La “nuova civiltà” auspicata dalla neo-missionologia rifiuta la città, preferendole la selva; rifiuta la politica, preferendole l’ecologia; rifiuta il diritto, preferendole la situazione di fatto delle tribù primitive; rifiuta non solo il capitalismo o la tecnica ma anche lo Stato, la proprietà e la famiglia monogamica, per sostituirli con il comunismo dei beni e la comunità spontanea e occasionale.
Nell’Instrumentum laboris compare persino il mito del “buon selvaggio”: “La ricerca della vita in abbondanza da parte dei popoli indigeni amazzonici si concretizza in quello che essi chiamano il ‘buon vivere’ ... Tale comprensione della vita è caratterizzata dalla connessione e dall’armonia dei rapporti tra l’acqua, il territorio e la natura, la vita comunitaria e la cultura, Dio e le varie forze spirituali” (n° 12 e 13).
Una rottura con la Dottrina Sociale cattolica
La soluzione non è – come desiderano gli organizzatori del Sinodo – lasciare l’immenso territorio (amazzonico) a disposizione di pochi indigeni, sottomettendo quell’area ad una specie di governo globalista e super-statalista, in disprezzo del principio di sussidiarietà e delle competenze degli Stati legittimi nel cui territorio si trova l’Amazzonia.
Peraltro, la Dottrina sociale della Chiesa non è contro lo sviluppo. È però contraria allo “sviluppismo” e al contempo anche alla “decrescita”, considerata una sfiducia verso l’uomo, condannata dalla Caritas in veritate di Benedetto XVI.
Nell’ Instrumentum laboris, col pretesto di raggiungere una “ecologia integrale”, si interviene in materie che vanno oltre le competenze del magistero ecclesiastico. Ad esempio si chiama due volte l’Amazzonia “il polmone del pianeta”. Ma il noto scienziato brasiliano Evaristo Miranda sostiene che “nell’Amazzonia la produzione di ossigeno è pari al suo consumo da parte della vegetazione attraverso la traspirazione. Il suo contributo dinamico è equivalente a zero”.
Il documento interviene inoltre in questioni che andrebbero lasciate agli specialisti laici: l’industri mineraria, l’estrazione di petrolio, la deforestazione, l’utilizzo di prodotti chimici in agricoltura, l’inquinamento dei fiumi, gli impianti idroelettrici, ecc.
Una rottura dello sviluppo umano
Nella Laudato Si’ Papa Francesco scrive che la società umana ha bisogno di un nuovo paradigma ecologico, perciò vanno riviste le nozioni di economia, denaro, società, governo, ricchezza e rapporto con la Terra. Il Pontefice auspica una “nuova sintesi”, un “cambiamento radicale” e una “audace rivoluzione culturale”.
Su questa scia, l’Instrumentum laboris delegittima gli interventi agricoli e minerari, le costruzioni stradali e i “megaprogetti idroelettrici” in Amazzonia. Tra i peggiori “accusati” c’è l’agricoltura, pilastro dell’economia e principale fonte di reddito per molte persone nella regione. “L’ecologia integrale”, scrivono, “ci invita a una conversione integrale ... un rapporto armonioso con la natura ci permette di vivere una felice sobrietà di pace interiore ... e un’armonia serena che deriva dall’accontentarsi di ciò che è veramente necessario”.
In altre parole, tutti dobbiamo accontentarci della povertà e del minimo indispensabile per sopravvivere, proprio come gli indios dell’Amazzonia.