teologia della liberazione

  • Cinquant’anni di Teologia della Liberazione

     

     

    di Julio Loredo

    La scorsa settimana il Centro Peruano de Estudios Sociales – CEPES – ha organizzato a Lima un convegno dal titolo “Teologia della liberazione: prospettive”, per commemorare il 50° anniversario dell’omonimo libro di Gustavo Gutiérrez, pubblicato nel 1971 dallo stesso CEPES, e che diede origine a questa corrente rivoluzionaria. In America Latina, la ricorrenza è stata oggetto di numerose celebrazioni da parte dei progressisti, anche perché, riemergendo dalle ceneri, la Teologia della liberazione (Tdl) adesso incide non solo sulla linea pastorale di molti episcopati, ma anche su quella politica dei vari governi di estrema sinistra che, purtroppo, si stanno riprendendo il Continente, a cominciare dallo stesso Perù dove adesso governa un marxista dichiarato, sostenuto appunto dalla Tdl.

    Preoccupati col COVID, col G20, con la COP26 di Glasgow, con la crisi dei migranti in Polonia e altri argomenti della più alta rilevanza, qui da noi non si è data la dovuta attenzione a questo anniversario. Pochi gli articoli al riguardo, tra cui uno su “La Lettura” domenicale del Corriere della Sera. Anche nell’area conservatrice/tradizionalista – alle prese con le nefaste conseguenze del motu proprio Traditionis custodes – la ricorrenza è stata pressoché ignorata.

    Eppure il tema dovrebbe interessare ogni cattolico, non fosse altro perché sulla Cattedra di Pietro siede un Pontefice che non nasconde le sue simpatie per la Tdl, sia nella sua versione socialista classica, sia in quelle più aggiornate. Dovrebbe interessare anche ogni anticomunista, poiché è attraverso la Tdl che la sinistra riesce a coinvolgere molti cattolici nelle cause rivoluzionarie.

    Sdoganata dal sacerdote peruviano Gustavo Gutiérrez Merino nel corso di una riunione di clero progressista nel 1968 a Chimbote, Perù, la Teologia della liberazione era già stata proposta nel 1960 dal teologo uruguaiano Juan Luis Segundo, ed era stata il tema di una serie di incontri internazionali – compresso uno all’Avana nel 1965 sotto l’egida di Fidel Castro – dove si discusse su come i cattolici potevano arruolarsi nelle rivoluzioni socialiste/comuniste che allora imperversavano in America Latina.

    Si trattava di elaborare una giustificazione teologica per la militanza rivoluzionaria dei cattolici e, nello stesso tempo, formulare un progetto pastorale che permettesse di coinvolgervi il maggior numero di fedeli. Il risultato fu, appunto, la Teologia della liberazione, sorretta dalle cosiddette Comunità ecclesiali di base (CEB), all’interno delle quali si svolgeva un processo di “pressa di coscienza” secondo il metodo della “pedagogia degli oppressi” sviluppata dal marxista brasiliano Paolo Freire. Insomma: un piano minuzioso per la Rivoluzione latinoamericana, e non solo.

    Dopo un periodo di grande espansione, sull’onda della II Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano (CELAM), tenutasi a Medellín, Colombia, nel 1968 alla presenza di Papa Paolo VI, il movimento della Tdl iniziò a declinare.

    La prima denuncia del libro di Gustavo Gutiérrez, e quindi della corrente della Teologia della liberazione, fu quella di Tradición y Acción por un Perú Mayor (la TFP peruviana), nel 1973. Il sottoscritto, socio fondatore dell’Associazione, prese parte a quella storica campagna, dovendo poi pagare l’amaro prezzo dell’esilio. Infatti, mentre Gutiérrez manteneva un eloquente silenzio di fronte alle nostre critiche, il contrattacco arrivò dai dispositivi controllati dalla dittatura militare, alla quale egli era molto vicino. Dopo una crescente serie di minacce, il presidente Velasco Alvarado si scagliò direttamente contro di noi: “Non tollererò nessuna contro-rivoluzione!”, e giurò di “far cadere tutto il peso della giustizia rivoluzionaria su questi signorotti”. La misura era colma. In pochi giorni tutti i membri dell’Associazione erano all’estero, da dove ci sembrava più efficace continuare la campagna contro il regime marxista.

    L’elezione di Giovanni Paolo II nel 1978 iniziò a cambiare il clima. Alla III Conferenza generale del CELAM, tenutasi a Puebla, Messico, nel 1979, Papa Wojtyla condannò le “riletture rivoluzionarie del Vangelo”. Smantellando poi il nucleo della Tdl, dichiarò: È un errore affermare che la liberazione politica, economica e sociale coincide con la salvezza in Gesù Cristo; che il Regnum Dei si identifica con il Regnum hominis”.

    Il 6 agosto 1984, a firma del cardinale Joseph Ratzinger e con l’approvazione di Giovanni Paolo II, la Congregazione per la Dottrina della Fede pubblicò l’Istruzione «Libertatis Nuntius, su alcuni aspetti della teologia della liberazione», da più parti ritenuta una vera e propria condanna della Tdl, anche se in realtà lo era solo a metà. Parallelamente, il Pontefice iniziò a nominare vescovi moderati, non allineati alla Tdl, spostando così il baricentro degli episcopati latinoamericani.

    Le successive condanne pontificie, la crescente disaffezione del popolo latinoamericano, risvegliato dalle molte campagne delle TFP, e finalmente la caduta del comunismo sovietico – la praxis rivoluzionaria che aveva mantenuto vivo il movimento – segnarono per la Tdl l’inizio di un lungo periodo di declino. L’elezione di Jorge Mario Bergoglio al soglio pontificio nel 2013, però, ha cambiato radicalmente le carte in tavolo. Già all’indomani della sua elezione, si cominciò a parlare a Roma di una “nuova primavera” per la Tdl.

    La parola magica era “sdoganamento”. “La Chiesa sdogana la teologia della liberazione –commentava il vaticanista, poi capo delle comunicazioni del Vaticano, Andrea Tornielli – Tra Vaticano e Teologia della Liberazione scoppia la pace. Dopo le condanne degli anni Ottanta, gli eccessi e le incomprensioni, la Tdl ottiene piena cittadinanza nella Chiesa”. Padre Gutiérrez fu ricevuto ben due volte da Papa Francesco, e poté presentare un suo ultimo libro in Vaticano. E anche le CEB entrarono in un nuovo periodo. “Con Papa Francesco il momento torna a essere propizio per le CEB”, commentò Alver Metalli su “Vatican Insider”. Fiutando il nuovo clima, dopo anni di relativo letargo, oltre settecento tra teologi e attivisti della liberazione si riunirono a São Leopoldo, Brasile, nel Congreso Continental de Teologia. Il tema: “Un nuovo inizio”.

    Da allora, il pontificato di Papa Francesco si è contraddistinto per l’invariabile appoggio al movimento della Teologia della liberazione, sia nelle sue forme socialiste classiche, sia in quelle più aggiornate come la Teologia ecologica e la Teologia indigena. Per ben tre volte (due in presenza e una virtualmente) Francesco ha ospitato in Vaticano l’incontro internazionale dei cosiddetti Movimenti popolari, dominati dalla sinistra marxista, con sponde perfino nell’eversione.

    Poi c’è stato in Vaticano il Sinodo panamazzonico (il famigerato “Sinodo della Pachamama”) che ha congregato nel cuore della Cristianità le correnti estreme della Teologia ecologista e indigenista. Il tutto sorretto dottrinalmente dall’enciclica Laudato Sii, ispirata e forse in parte anche scritta da Leonardo Boff, uno dei fondatori della Tdl, riciclatosi da rosso marxista in verde ambientalista.

    Quali sono i fondamenti dottrinali della Tdl? Qual è, per esempio, la sua ecclesiologia? Perché utilizza il marxismo come strumento di analisi? Quali sono le sue conseguenze politiche? Non molti italiani conoscono questa realtà.

    Avendo studiato la Tdl per quasi mezzo secolo, ho pensato che forse avrei potuto dare un contributo all’attuale dibattito sull’argomento. Ecco che nel 2014 ho pubblicato con la Cantagalli il libro «Teologia della liberazione. Un salvagente di piombo per i poveri». È un contributo che si vuole modesto e senza pretese, di uno che, per molti anni, ha seguito da vicino la situazione latinoamericana, nella quale si inserisce il fenomeno della Tdl, e che adesso vorrebbe condividere con altri le proprie esperienze e riflessioni.

    Se siete interessati, potete richiedere il libro a questo link: https://www.atfp.it/richieste-materiale?view=rokquickcart

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  • La beatificazione del Male?

     

     

    di Julio Loredo

    La notizia è rimbalzata in tutto il mondo e commentata per lo più sotto una luce positiva: mons. Helder Câmara, l’Arcivescovo rosso, l’araldo delle dittature comuniste, il promotore della rivoluzione in Brasile per imporre una dittatura popolare, il partigiano della Teologia della liberazione marxista, il sostenitore dell’aborto e del divorzio, il nemico della Humanae Vitae, corre verso l’onore degli altari, avendo il suo processo di beatificazione ormai superato la “fase romana”.

    Si tratta di una di quelle “canonizzazioni massmediatiche” purtroppo sempre più comuni nella vita della Chiesa di oggi: si tende a dare più importanza alla ditirambica propaganda fatta attorno al personaggio dai suoi fan, che non alla sua dottrina e ai fatti concreti della sua vita, spesso trascurati o deformati, quando non addirittura esclusi. È come se in un processo penale mancasse il contraddittorio, e nel dettare sentenza il Giudice si basasse più sui commenti della stampa che non sugli atti.

    Per l’italiano medio la figura di mons. Helder Pessoa Câmara (1909-1999), noto come Dom Helder[1], vescovo ausiliare di Rio de Janeiro, e poi arcivescovo metropolita di Olinda-Recife, è poco conosciuta. Le poche notizie che filtrano provengono da fucine propagandistiche tanto sbilanciate che non esito a definire ai limiti del ridicolo. Ricordo, all’epoca della sua scomparsa nell’agosto 1999, i media italiani gareggiando a chi gli conferiva il titolo più altisonante: “Profeta dei poveri”, “Santo delle favelas”, “Voce del Terzo mondo”, “Sant’Helder d’America” e chi più ne ha più ne metta[2].

     

    Militante filo-nazista

    Dom Helder Câmara iniziò la sua vita pubblica come militante nella destra filo-nazista.

    Egli fu, infatti, gerarca della Ação Integralista Brasileira (AIB), il movimento fondato da Plinio Salgado[3]. Nel 1934, l’allora padre Câmara entrò a far parte del Consiglio Supremo dell’AIB. Due anni dopo divenne segretario personale di Salgado, e quindi Segretario nazionale dell’AIB, prendendo parte da protagonista ai raduni e alle marce paramilitari che scimmiottavano quelle dei nazisti in Germania. Le sue convinzioni filo-naziste erano così profonde, che si era fatto ordinare sacerdote portando sotto la talare la divisa delle milizie integraliste, la famigerata “camicia verde”.

    Nel 1946 l’arcivescovo di Rio di Janeiro volle farlo suo vescovo ausiliare ma la Santa Sede si rifiutò a causa della sua precedente militanza integralista. La nomina arrivò solo sei anni dopo. Nel frattempo, egli aveva maturato il suo passaggio dall’integralismo filo-nazista al progressismo filo-marxista.

    Quando nel 1968 lo scrittore brasiliano Otto Engel scrisse una biografia di mons. Câmara, egli ricevette “ordini sommari” dalla Curia di Olinda-Recife che lo diffidava dal pubblicarla. L’arcivescovo non voleva farne conoscere il passato filo-nazista, in barba alla libertà di stampa e anche all’obiettività storica[4].

     

    Dalla JUC al PC. L’Azione Cattolica brasiliana

    Nel 1947 padre Câmara fu nominato Assistente generale dell’Azione Cattolica brasiliana che, sotto il suo influsso, iniziò a scivolare verso sinistra fino ad abbracciare, in alcuni casi, il marxismo-leninismo. La migrazione fu particolarmente evidente nella JUC (Juventude Universitária Católica), alla quale Câmara era particolarmente vicino. Scrive Luiz Alberto Gomes de Souza, già segretario della JUC: “L’azione dei militanti della JUC (…) sfociava in un impegno che, a poco a poco, si è rivelato socialista”[5].

    La rivoluzione comunista a Cuba (correva l’anno 1959) fu accolta dalla JUC con entusiasmo. Secondo Haroldo Lima e Aldo Arantes, dirigenti della JUC, “la recrudescenza delle lotte popolari e il trionfo della rivoluzione cubana nel 1959 aprirono la JUC all’idea di una rivoluzione brasiliana”. La deriva a sinistra fu molto agevolata dal coinvolgimento della JUC con l’UNE (União Nacional de Estudantes), vicina al Partito comunista. “Come risultato della sua militanza nel movimento studentesco, - proseguono Lima e Arantes - la JUC fu obbligata a definire un’agenda politica più ampia per i cristiani di oggi. Fu così che, nel congresso del 1960, approvò un documento (…) in cui annunciava l’adesione al socialismo democratico e all’idea di una rivoluzione brasiliana”[6].

    Durante il governo di sinistra del presidente João Goulart (1961-1964), prese forma all’interno della JUC una fazione radicale inizialmente chiamata O Grupão, il Grande Gruppo, poi trasformatasi in Ação Popular (AP) che, nel 1962, si definì socialista. Nel congresso del 1963, l’AP approvò i propri Statuti nei quali “si abbracciava il socialismo e si proponeva la socializzazione dei mezzi di produzione”. Statuti che contenevano, tra l’altro, un elogio alla rivoluzione sovietica e un riconoscimento dell’“importanza decisiva del marxismo nella teoria e nella prassi rivoluzionaria”[7].

    La deriva, tuttavia, non si fermò lì. Nel congresso nazionale del 1968 Ação Popular si proclamò marxista-leninista, cambiando il nome in Ação Popular Marxista-Leninista (APML). Visto che niente più la separava dal Partito comunista, nel 1972 decise di sciogliersi e di incorporarsi al Partido Comunista do Brasil. Attraverso questa migrazione, molti militanti dell’Azione Cattolica finirono per partecipare alla lotta armata durante gli anni di piombo brasiliani.

    Contro il parere di non pochi vescovi, mons. Helder Câmara fu uno dei più entusiasti e convinti difensori, anzi promotore, della migrazione a sinistra nell’Azione Cattolica. Anche se mostrava preferenza per i metodi non violenti, mai condannò chi prendeva le vie della guerriglia[8].

     

    Contro Paolo VI

    Nel 1968, mentre Papa Paolo VI si accingeva a pubblicare l’enciclica Humanae Vitae, mons. Helder Câmara si schierò apertamente contro il Pontefice, qualificando la sua dottrina sugli anticoncezionali “un errore destinato a torturare le spose e a turbare la pace di tanti focolari”[9].

    In una poesia che fa davvero scalpore, l’arcivescovo di Olinda-Recife ironizzava pure sulle donne “vittime” della dottrina della Chiesa, costrette, secondo lui, a generare dei “mostriciattoli”: “Figli, figli, figli! Se è il coito che vuoi, devi procreare! Anche se tuo figlio ti nasce senza viscere, le gambette a stecchino, la testona a pallone, brutto da morire!”[10].

    Mons. Helder Câmara difendeva anche il divorzio, abbracciando la posizione delle chiese ortodosse che “non precludono la possibilità di un nuovo matrimonio religioso a chi è stato abbandonato [dal coniuge]”. Interrogato se questo non avrebbe dato ragione ai laicisti, egli rispose: “Cosa importa che qualcuno canti vittoria, se ha ragione?”[11].

    L’irrequieto arcivescovo chiedeva a gran voce anche l’ordinazione sacerdotale delle donne. Rivolgendosi a un gruppo di vescovi durante il Concilio Vaticano II, domandava con insistenza: “Ditemi, per favore, se trovate che ci sia qualche argomento effettivamente decisivo che impedisca alle donne l’accesso al sacerdozio, oppure si tratta di un pregiudizio maschile?”[12].

    E poco importa se il Concilio Vaticano II ha poi precluso esplicitamente questa possibilità. Secondo Dom Helder, “dobbiamo andare oltre i testi conciliari [la cui] interpretazione compete a noi”.

    Ma i vagheggiamenti non finivano lì. In una conferenza tenuta di fronte ai Padri Conciliari nel 1965, egli affermava: “Credo che l’uomo creerà artificialmente la vita, arriverà alla risurrezione dei morti e trasformerà in realtà il vecchio sogno di [Serge] Voronoff [medico russo naturalizzato francese celebre per la sua pretesa di ottenere miracolosi risultati di ringiovanimento di pazienti maschi tramite l’innesto di ghiandole genitali di scimmia]”[13].

    Insieme al cardinale Suenens, Dom Helder fu uno dei principali coordinatori della corrente ultra progressista nel Concilio, e alfiere poi di quella “ermeneutica della discontinuità e della rottura” condannata da Papa Benedetto XVI. Egli fu, per esempio, il principale fautore del famigerato “Patto della Catacombe”, un manifesto di Padri conciliari a favore di una “Chiesa povera”, senza proprietà, senza apparato, quasi senza liturgia[14].

    D’altronde, Dom Helder ebbe anche un ruolo centrale nella nomina di vescovi progressisti in Brasile. Segretario dal 1952 al 1964 della CNBB (Conferenza nazionale dei vescovi brasiliani), insieme al Nunzio Apostolico mons. Armando Lombardi (1954-1964), egli si adoperò per mettere nei posti di comando della Chiesa in Brasile prelati schierati con la corrente che poi sfocerà nella Teologia della liberazione. Non sorprende, quindi, che quando Giovanni Paolo II condannò questa corrente nel 1984, egli si sia imbattuto nella ribellione di non pochi vescovi brasiliani, che minacciarono perfino lo scisma se avesse insistito su questa linea[15].

     

    Schierato con l’Unione Sovietica, Cina e Cuba

    Le prese di posizione concrete di Dom Helder in favore del comunismo (anche se a volte ne criticava l’ateismo) furono numerose e coerenti[16].

    È rimasto tristemente notorio il suo intervento del 27 gennaio 1969 a New York, nel corso della VI Conferenza annuale del Programma Cattolico di Cooperazione interamericana. Intervento in tal modo schierato col comunismo internazionale, che gli valse l’epiteto di “Arcivescovo rosso”, appellativo indissolubilmente poi legato al suo nome. Dopo aver duramente rimproverato gli USA per la loro politica anti-sovietica, Dom Helder propose un drastico taglio delle forze armate statunitensi, mentre invece chiedeva all’URSS di mantenere le proprie capacità belliche per poter far fronte all’“imperialismo”. Conscio delle conseguenze di tale strategia, egli si difese a priori: “Non ditemi che tale approccio metterebbe il mondo nelle mani del comunismo!”.

    Dall’attacco agli Stati Uniti, mons. Helder Câmara passò a tessere il panegirico della Cina di Mao Tse-Tung, allora in piena “rivoluzione culturale”, che provocò milioni di morti. L’Arcivescovo Rosso chiese formalmente l’ammissione della Cina comunista all’ONU, con la conseguente espulsione di Taiwan. E terminò il suo intervento con un appello in favore del dittatore cubano Fidel Castro, all’epoca impegnato a favorire sanguinose guerriglie in America Latina. Chiese anche che Cuba fosse riammessa nell’OEA (Organizzazione degli Stati Americani), dalla quale era stata espulsa nel 1962.

    Questo intervento, così sfacciatamente pro-comunista e anti-occidentale, fu denunciato dal prof. Plinio Corrêa de Oliveira nel manifesto «L’Arcivescovo rosso apre le porte dell’America e del mondo al comunismo»: “Le dichiarazioni contenute nel discorso di Dom Helder tratteggiano una politica di resa incondizionata del mondo, e specialmente dell’America Latina, al comunismo. Siamo di fronte a una realtà sconvolgente: un vescovo di Santa Romana Chiesa impegna il prestigio derivante dalla sua dignità di successore degli Apostoli per demolire i bastioni della difesa militare e strategica del mondo libero di fronte al comunismo. Il comunismo, cioè il più radicale, implacabile, crudele e insidioso nemico che mai si sia scagliato contro la Chiesa e la civiltà cristiana”[17].

     

    Un progetto di rivoluzione comunista per l’America Latina

    Ma forse l’episodio che destò più stupore fu il cosiddetto “affaire Comblin”.

    Nel giugno 1968 trapelò alla stampa brasiliana un documento-bomba preparato sotto l’egida di mons. Helder Câmara dal sacerdote belga Joseph Comblin, professore presso l’Istituto Teologico (Seminario) di Recife. Si trattava di un Rapporto destinato al Consiglio Episcopale Latinoamericano. Il documento proponeva, senza veli, un piano eversivo per smantellare lo Stato e stabilire una “dittatura popolare” di matrice comunista. Eccone alcuni punti:

    Contro la proprietà. Nel documento, il p. Comblin difende una triplice riforma – agraria, urbana e aziendale– partendo dal presupposto che la proprietà privata e, quindi, il capitale siano intrinsecamente ingiusti. Qualsiasi uso privato del capitale dovrebbe essere vietato dalla legge.

    Uguaglianza totale. L’obiettivo, afferma p. Comblin, è stabilire l’uguaglianza totale. Ogni gerarchia, sia nel campo politico-sociale sia in quello ecclesiastico, va quindi abolita.

    Rivoluzione politico-sociale. In campo politico-sociale, questa rivoluzione ugualitaria propugna la distruzione dello Stato per mano di “gruppi di pressione” radicali i quali, una volta preso il potere, dovranno stabilire una ferrea “dittatura popolare” per imbavagliare la maggioranza, ritenuta “indolente”.

    Rivoluzione nella Chiesa. Per consentire a questa minoranza radicale di governare senza intralci, il documento propone il virtuale annullamento dell’autorità dei vescovi, che sarebbero soggetti al potere di un organo composto solo da estremisti, una sorta di Politburo ecclesiastico.

    Abolizione delle Forze Armate. Le Forze Armate vanno sciolte e le loro armi distribuite al popolo.

    Censura di stampa, radio e TV. Finché il popolo non avrà raggiunto un accettabile livello di “coscienza rivoluzionaria”, la stampa, radio e TV vanno strettamente controllati. Chi non è d’accordo deve abbandonare il Paese.

    Tribunali popolari. Accusando il Potere Giudiziario di essere “corrotto dalla borghesia”, p. Comblin propone l’istituzione di “Tribunali popolari straordinari” per applicare il rito sommario contro chiunque si opponga a questo vento rivoluzionario.

    Violenza. Nel caso in cui non fosse stato possibile attuare questo piano eversivo con mezzi normali, il professore del seminario di Recife considerava legittimo il ricorso alle armi per stabilire, manu militari, il regime da lui teorizzato[18].

     

    L’appoggio di mons. Helder Câmara

    Il “Documento Comblin” ebbe in Brasile l’effetto d’una bomba atomica. In mezzo all’accesa polemica che ne seguì, padre Comblin non negò l’autenticità del documento, ma disse trattarsi “soltanto di una bozza” (sic!). Da parte sua, la Curia di Olinda-Recife ammise che esso proveniva sì dal Seminario diocesano, precisando però che “non è un documento ufficiale” (ancora sic!).

    Interpretando la legittima indignazione del popolo brasiliano, il prof. Plinio Corrêa de Oliveira scrisse allora una lettera aperta a mons. Helder Câmara, pubblicata in venticinque giornali. Leggiamo nella lettera: “Sono sicuro di interpretare il sentimento di milioni di brasiliani chiedendo a Sua Eccellenza che espella dall’Istituto Teologico di Recife e dall’Archidiocesi l’agitatore che approfitta del sacerdozio per pugnalare la Chiesa, e abusa dell’ospitalità brasiliana per predicare il comunismo, la dittatura e la violenza in Brasile”.

    Mons. Helder Câmara rispose evasivamente: “Tutti hanno il diritto di dissentire. Io semplicemente sento tutte le opinioni”. Ma, allo stesso tempo, confermò padre Comblin nella carica di professore del Seminario, spalleggiandolo con la sua autorità episcopale. Alla fine, il governo brasiliano revocò il permesso di soggiorno del prete belga, che dovette quindi lasciare il Paese.

    Mostrando lo sdegno provocato nel popolo brasiliano dal Documento Comblin, la TFP raccolse in 58 giorni 1.600.368 firme in sostegno a un “Reverente e Filiale Messaggio” a Papa Paolo VI, chiedendogli di porre freno all’infiltrazione comunista nella Chiesa in America Latina[19]. Messaggio rimasto rigorosamente senza risposta. Anzi, nel gennaio 1970 il Pontefice ricevette l’Arcivescovo Rosso in udienza privata. All’uscita, davanti ai microfoni, Dom Helder qualificò l’udienza di “molto cordiale” e “riconfortante”. Poi dichiarò: “Il Brasile dovrebbe pensare ai modelli socialisti”[20].

     

    Teologia della liberazione

    Mons. Helder Câmara è anche ricordato come uno dei paladini della cosiddetta “Teologia della liberazione”, condannata dal Vaticano nel 1984.

    Due dichiarazioni sintetizzano questa teologia. La prima, del connazionale di Dom Helder, l’allora frate francescano Leonardo Boff: “Ciò che proponiamo è marxismo, materialismo storico, nella teologia”[21]. La seconda, del sacerdote peruviano Gustavo Gutiérrez, padre fondatore della corrente: “Ciò che intendiamo qui per teologia della liberazione è il coinvolgimento nel processo politico rivoluzionario”[22]. Gutiérrez ci spiega anche il senso di tale coinvolgimento: “Solo andando oltre una società divisa in classi. (…) Solo eliminando la proprietà privata della ricchezza creata dal lavoro umano, saremo in grado di porre le basi per una società più giusta. È per questo che gli sforzi per proiettare una nuova società in America Latina si stanno orientando sempre di più verso il socialismo”[23].

     

    Amico dei poveri e della libertà?

    Ma forse la più grande frottola su mons. Helder Câmara è di presentarlo come amico dei poveri e difensore della libertà.

    Il titolo di difensore della libertà si addice molto male a uno che ha inneggiato ad alcune delle dittature più sanguinarie che hanno costellato il secolo XX, prima il nazismo, e poi il comunismo in tutte le sue varianti: sovietica, cubana, cinese…

    Soprattutto, però, il titolo di amico dei poveri non si addice proprio a uno che sosteneva regimi che hanno causato una povertà così spaventosa da essere stati qualificati dall’allora cardinale Joseph Ratzinger “vergogna del nostro tempo”[24].

    Un’analisi attenta dell’America Latina — paese per paese — mostra chiaramente che, laddove sono state applicate le politiche proposte da Dom Helder il risultato è stato un notevole aumento della povertà e del malcontento popolare. Laddove, invece, sono state applicate le politiche opposte, il risultato è stato un generale incremento del benessere popolare.

    Un esempio per tutti: la riforma agraria, della quale Dom Helder fu il principale promotore in Brasile e che, invece, si è dimostrata “il peggiore fallimento della politica pubblica nel nostro Paese”, nelle parole non sospette di Francisco Graziano Neto, presidente dell’INCRA (Instituto Nacional de Colonização e Reforma Agrária), cioè il dicastero del Governo preposto per implementare la riforma agraria[25]. Secondo il ministro Gilberto Carvalho, la maggior parte degli assentamento (le cooperative agricole create dalla riforma agraria) diventò “favela rurale”, con grandi sofferenze per i contadini[26]. Sotto questa luce, Dom Helder sarebbe non tanto il “Santo delle favelas”, quanto piuttosto il “Santo che crea favelas”.

    I teologi della liberazione non vogliono aiutare i poveri, bensì imporre il “principio di povertà”: senza proprietà e senza ricchezza non ci sarebbe nessuna gerarchia, e il mondo avrebbe quindi raggiunto l’utopia comunista. Il lettore interessato ad approfondire il tema può fare riferimento al mio libro sulla Teologia della liberazione[27].

    In conclusione. Per uno come me, che da decenni studia il movimento della Teologia della liberazione, sia nelle sue versioni marxiste originarie sia in quelle più aggiornate, e il ruolo protagonistico di mons. Helder Pessoa Câmara nel processo di demolizione della Chiesa e della società civile, riesce davvero difficile vederlo elevato agli onori degli altari. Sarebbe quasi come canonizzare il Male. Ma ormai non mi stupisco più di niente…

     

    Attribuzione immagine: By Antonisse, Marcel / Anefo - [1] Dutch National Archives, The Hague, Fotocollectie Algemeen Nederlands Persbureau (ANEFO), 1945-1989, Nummer toegang 2.24.01.05 Bestanddeelnummer 931-7341, CC BY-SA 3.0 nl, Wikimedia.

     

    Note

    [1] In Brasile per i vescovi si usa il trattamento “Dom”, anziché “Monsignore”.

    [2] Julio Loredo, L’altro volto di Dom Helder, Tradizione Famiglia Proprietà, novembre 1999, pp. 4-5.

    [3] Distanziandosi dal razzismo hitleriano, Salgado tuttavia ne abbracciava il messianismo nazionalista. Ci sono perfino indizi che egli abbia fatto da spia per il Terzo Reich (João Fábio Bertonha, Plínio Salgado — Biografia Política: 1895-1975, Universidade de São Paulo, 2019)

    [4] Margaret Williams Todaro, Pastors, Prophets and Politicians. A Study of the Brazilian Catholic Church, 1916-1945, Columbia University, 1971, p. 396. Cit. in Massimo Introvigne, Una battaglia nella notte. Plinio Corrêa de Oliveira e la crisi del secolo XX nella Chiesa, Sugarco, Milano, 2008, p. 59.

    [5] Luiz Alberto Gomes de Souza, A JUC. Os estudantes católicos e a política, Editora Vozes, Petrópolis 1984, p. 156.

    [6] Haroldo Lima e Aldo Arantes, História da Ação Popular. Da JUC ao PC do B, Editora Alfa-Omega, São Paulo 1984, pp. 27-28.

    [7] Ibid., p. 37. Si veda anche Julio Loredo, Teologia della liberazione. Un salvagente di piombo per i poveri, Cantagalli, Siena, 2014, pp. 92ss.

    [8] Si veda, per esempio, Scott Mainwarning, The Catholic Church and Politics in Brazil, 1916-1985, Stanford University Press, 1986, p. 71.

    [9] Helder Pessoa Câmara, Obras Completas, Editora Universitária, Instituto Dom Helder Câmara, Recife, 2004, p. 363. Cit. in Massimo Introvigne, Come i progressisti non vinsero al Concilio. Una recensione di Roma, due del mattino di monsignor Hélder Câmara, Cesnur (https://www.cesnur.org/2008/mi_camara.htm). Cfr. anche Massimo Introvigne, Una battaglia nella notte. Plinio Corrêa de Oliveira e la crisi del secolo XX nella Chiesa, pp. 111ss.

    [10] Helder Pessoa Câmara, Obras Completas, pp. 390-391. Cit. in Massimo Introvigne, Come i progressisti non vinsero al Concilio. Una recensione di Roma, due del mattino di monsignor Hélder Câmara.

    [11] Helder Pessoa Câmara, Obras Completas, p. 377. Cit in Ibid.

    [12] Helder Pessoa Câmara, Obras Completas, p. 397. Cit in Ibid.

    [13] Helder Pessoa Câmara, Obras Completas, pp. 397-398. Cit. in Ibid.

    [14] Cfr. Roberto de Mattei, Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, Lindau, Torino, 2010. Uno dei principali coordinatori del campo tradizionalista fu un altro brasiliano: il prof. Plinio Corrêa de Oliveira. Cfr. Benjamin A. Cowan, Moral Majorities across the Americas. Brazil, the United States and the Creation of the Religious Right,University of North Carolina Press, 2021.

    [15] Si veda, per esempio, Dez bispos criticam o silêncio imposto a Boff, “Folha de São Paulo”, 11-05-1986.

    [16] Cfr., per esempio, Adenilson Ferreira de Souza, Atividade política da Igreja Católica no Brasil: as demandas da sociedade brasileira transnacionalizadas por dom Helder Camara (1968-1978), Pontifícia Universidade Católica de Minas Gerais, 2010.

    [17] Plinio Corrêa de Oliveira, O Arcebispo vermelho abre as portas da América e do mundo para o comunismo, “Catolicismo” Nº 218, febbraio 1969.

    [18] Si veda Plinio Corrêa de Oliveira, TFP pede medidas contra padre subversivo, “Catolicismo”, Nº 211, luglio 1968 (https://www.pliniocorreadeoliveira.info/1968_211_CAT_TFP_pede_medidas.htm).

    [19] Cfr. Um homem, um ideal, uma gesta. Homenagem das TFPs a Plinio Corrêa de Oliveira, Edições Brasil de Amanhã, 1982, pp. 246ss.

    [20] Plinio Corrêa de Oliveira, D. Helder cria problema — Comunistas aplaudem, “Folha de S. Paulo”, 1 febbraio 1970.

    [21] Leonardo Boff, Marxismo na Teologia, “Jornal do Brasil”, 6 aprile 1980.

    [22] Gustavo Gutiérrez, Praxis de libertação e fé cristã, Appendice a Id., Teologia da libertação, Editora Vozes, Petrópolis 1975, p. 267.

    [23] Gustavo Gutiérrez, Liberation Praxis and Christian Faith, in Lay Ministry Handbook, Diocese of Brownsville, Texas 1984, p. 22.

    [24] Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione Libertatis Nuntius, 1984, XI, 10.

    [25] Francisco Graziano Neto, Reforma Agraria de qualidade, “O Estado de S. Paulo”, 17 aprile 2012.

    [26] Fernando Odila, Política agrária federal criou ‘favelas rurais’, diz ministro, Folha de S. Paulo, 9 febbraio 2013.

    [27] Julio Loredo, Teologia della liberazione: un salvagente di piombo per i poveri, pp. 315-338.

     

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    La natura gnostica e secolarizzante della Teologia della Liberazione

     

     

    di Stefano Fontana

    La Teologia della Liberazione (d’ora in poi: TL) nasce in America Latina alla fine degli anni Sessanta. Il suo atto di nascita è considerata la conferenza Hacia una teología de la liberación del teologo peruviano Gustavo Gutiérrez del 1968, ed ancor più il suo libro Teología de la liberación. Perspectivas del 1971, edito in Italia nel 1972[1]. Tra i due eventi c’era stata la seconda assemblea della neonata CELAM (Conferenza episcopale latinoamericana e dei Caraibi), tenutasi nel 1969 a Medellín, Colombia, sulla scia del Concilio Vaticano II, con il quale la teologia della liberazione ha in fondo un rapporto equivoco. Sempre nel 1971 nasceva la Filosofia della Liberazione, a seguito di alcuni incontri di filosofi cattolici tenutisi in Argentina[2], che intendevano partire dalla svolta impressa da Heidegger alla filosofia moderna.

    Non si può separare la TL dal clima teologico degli anni a cavallo tra i Sessanta[3] e i Settanta del secolo scorso. Nel 1964 era stato pubblicato il libro Teologia della speranza del protestante Jürgen Moltmann. Nel 1966 era nata la “Teologia della rivoluzione” di Richard Schaull. Dalla teologia della liberazione si svilupparono in seguito la “teologia femminista”[4] e la “teologia nera della liberazione”[5]. Tutte le teologie del genitivo avevano in comune una nuova impostazione metodologica: assumevano cioè come luogo teologico dal quale leggere la Parola di Dio e la dottrina della fede una “situazione” storica, in contrasto con la teologia metafisica precedente, incentrata sulla conoscenza del dogma senza partire da particolari bisogni umani[6] e considerata ora astratta e ideologica in quanto disimpegnata.

    Il teologo tedesco Johann Baptist Metz, nel libro Antropocentrismo cristiano[7], insieme ad Harvey Cox con La città secolare[8], sdoganava la secolarizzazione presentandola come cristiana e quindi irreversibile. Nell’opera Sulla teologia del mondo proponeva la sua “teologia politica”[9] come traduzione del linguaggio teologico in linguaggio politico[10]. La TL appartiene a questo quadro e la sua pretesa di essere la prima teologia autoctona latinoamericana non sembra adeguatamente supportata. Anch’essa deriva dal «caos generale venuto dal Nord»[11].

    I principali teologi della TL furono, oltre a Gustavo Gutiérrez, i fratelli Clodovis e Leonardo Boff, Rubem A. Alves, J. Carlos Scannone, Hugo Assmann, Joseph Comblin, Alfredo Fierro, Leslie Dewart, Segundo Galilea, José Maria González Ruiz, Juan Segundo, Jon Sobrino, Juan Alfaro e l’italiano Giulio Girardi, docente all’Ateneo Salesiano di Roma. Tra di loro ci sono importanti differenze ma, come dirò in seguito, questo non impedisce di valutare la TL nel suo complesso.

    La TL fu influenzata dal marxismo. Alcuni teologi intesero la prassi di liberazione in senso schiettamente marxista, compreso il suo materialismo, come per esempio Hugo Assmann[12], e l’interpretazione della Bibbia a partire dalla prassi di liberazione fu intesa come interpretazione materialistica (in senso marxista) della Bibbia, come nel caso del portoghese Fernando Belo e del suo libro Una lettura politica del Vangelo[13]. Non va dimenticata, come si è già ricordato, la grande influenza esercitata su queste teologie del genitivo dal filosofo marxista della Germania orientale Ernst Bloch con la sua idea di un Cristianesimo che si fa mondo e storia senza residui, un concetto sviluppato a quei tempi dalla “Teologia della morte di Dio”[14] e che trovava alimento nell’idea, originariamente espressa da Bonhöffer, che il mondo era diventato ormai “adulto” e quindi completamente secolare. Metz dirà che il cristianesimo ha “ateizzato” il mondo.

    Nel 1979 si tenne la terza conferenza del CELAM a Puebla, in Messico. Giovanni Paolo II vi andò, appena eletto Papa, ma anziché confermare la TL ripresentò organicamente la Dottrina sociale della Chiesa[15], che invece i teologi della liberazione consideravano astratta, deduttiva, moralistica, europea. Nella quarta Conferenza dell’episcopato latinoamericano, tenutasi a Santo Domingo nel 1992, fu messo in questione non solo il metodo di partire dalla prassi, ma addirittura il metodo “vedere, giudicare, agire” di Giovanni XXIII. Alla Conferenza di Aparecida, la quinta, tenutasi nel maggio 2007, andò Benedetto XVI il quale pose fine ad ogni dubbio sul metodo della TL, dicendo che il “luogo teologico” non sono i poveri o la prassi di liberazione dei poveri ma la fede apostolica[16]. Ma in America Latina, nelle università e nelle comunità di base, la TL continuò a diffondersi e a contrapporsi alla Dottrina sociale della Chiesa e alla dottrina ribadita dal magistero.

    Negli anni Ottanta del secolo scorso, la Congregazione per la Dottrina della Fede pubblicò due documenti sulla TL: l’Istruzione Libertatis nuntius del 1984 e l’Istruzione Libertatis conscientia del 1986. Il primo segnala le deviazioni dottrinali della teologia della liberazione, il secondo propone la visione cristiana della libertà e della liberazione. L’11 marzo 1985, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha condannato il libro del padre Leonardo Boff Chiesa: carisma e potere[17]. Il 26 novembre 2006, la medesima Congregazione ha pubblicato la Notificazione di condanna delle opere del teologo spagnolo Jon Sobrino S.I., molto diffuse e utilizzate in America Latina nei seminari e nelle università.

    Più di recente abbiamo assistito a qualcosa di clamoroso. L’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, l’Arcivescovo Gerhard Ludwig Müller, ha scritto un libro insieme con Gustavo Gutiérrez, padre della TL, dal titolo Dalla parte dei poveri. Teologia della liberazione, teologia della Chiesa[18]. In esso si dice che la TL è «tra le correnti più significative della teologia cattolica del XX secolo»[19]. Nel numero del 4 settembre 2013, “L’Osservatore Romano” dedica due pagine alla presentazione del libro[20]. “La Civiltà Cattolica” dedica un articolo alla TL ed uno alla Filosofia della Liberazione a firma di Juan Carlos Scannone. “L’Osservatore Romano” del 18 ottobre 2013 anticipa un lungo estratto dell’articolo in questione[21]. L’impressione generale è che si sia voluto riabilitare la TL.

     

    La teologia della liberazione: presentazione e valutazione

    L’ambito della teologia della liberazione è una galassia di teorie. La cosa migliore è presentare prima di tutto le posizioni di Gutiérrez, sia perché è considerato l’iniziatore, sia perché proprio con lui c’è stato il recente tentativo di sdoganamento.

          a) Il primato della prassi e la teologia come “atto secondo”

    La fede è prima di tutto azione, impegno di carità e non conoscenza, la teologia viene dopo, è “atto secondo”[22] e si configura come riflessione critica sulla prassi dei cristiani. La prassi dei cristiani nel mondo assieme agli altri uomini è il punto di partenza e quindi, citando Congar, «Si tratta di partire da fatti e interrogativi ricevuti dal mondo della storia, invece di partire dal dato della rivelazione e della tradizione, come generalmente ha fatto la teologia classica»[23].

    Se la teologia viene collocata primadella prassi diventa ideologia, ossia un sistema teorico «che razionalizza e giustifica un ordine sociale ed ecclesiale»[24]. Se, invece, è riflessione critica sulla prassi, «nasce una teologia che non si limita a pensare il mondo, ma che cerca di porsi come momento del processo attraverso il quale il mondo è trasformato»[25].

    Nasce così il concetto di ortoprassi in sostituzione di quello di ortodossia: «La vera interpretazione del significato svelato dalla teologia la troviamo nella prassi storica»[26].

    Si nota qui il concetto storicista, e in particolare marxista, della verità che si fa, nasce dalla prassi o addirittura coincide con essa, come scriveva Marx nella XI Glossa a Feuerbach. Si nota anche l’utilizzo del concetto di ideologia in senso hegeliano e marxista: la verità e la dottrina sono intese non come forze liberanti ma come ideologie che confermano teoricamente uno status quo e impediscono la liberazione. Si nota, infine, il retroterra dell’orientamento al futuro proprio del pensiero utopistico e millenarista che trova origine in Gioacchino da Fiore[27], mediato da Ernst Bloch con il suo “principio speranza” e l’ontologia dell’ottavo giorno che, proprio perché non è ancora, è più vero..

    La storia non sarebbe però così importante se fosse solo il teatro in cui si dispiega la natura dell’uomo: «La storia, contro ogni prospettiva essenzialista e fissista, - scrive Gutiérrez - non è lo sviluppo di virtualità preesistenti nell’uomo, ma la conquista di nuovi modi, qualitativamente diversi, di essere uomini, in vista di una realizzazione sempre più piena e completa di se stessi»[28]. Egli fa così propria la filosofia moderna secondo la quale non si dà natura umana, ma la natura umana si costruisce storicamente. Si vede qui l’influenza dello storicismo in generale e del marxismo in particolare. Secondo Marx l’uomo non esiste, esistono il proletario e il borghese. La teologia della liberazione contrappone storia e natura e riduce la storia a prassi.

          b) Dio si manifesta nella storia. Unità di storia sacra e storia profana

    Il mondo è diventato completamente mondano, “adulto”, e quindi «consistente in se stesso»[29]. Il mondo non sta più davanti alla Chiesa, come oggetto del suo annuncio e della sua azione pastorale, esso stesso è luogo in cui Dio si rivela. Dio ama il mondo e non la Chiesa, diceva Metz, e Rubem Alves afferma che la Chiesa è in ritardo su quanto Dio sta già facendo nel mondo: «La fede biblica è, prima di tutto, una fede in un Dio che si manifesta in avvenimenti storici»[30]. Dio si rivela negli eventi storici di liberazione, a cominciare dall’esodo. Non ci sono allora due storie, una sacra e l’altra profana, non c’è differenza tra progresso temporale e crescita del Regno, tra natura e soprannatura, tra creazione e redenzione, tra Chiesa e mondo: «Da che Dio si fece uomo; l’umanità, ogni uomo, la storia, sono il tempio vivo di Dio. Il pro-fano, quello che sta fuori dal tempio, non esiste più»[31].

    In questi punti si vede che la secolarizzazione è vista solo come un fatto positivo e non la si considera nella dialettica agostiniana, destinata a rimanere irrisolta in questo nostro tempo storico, tra città di Dio e città dell’uomo. Né si esaminano gli esiti anticristiani e disumani della secolarizzazione. Si pensa ancora che la secolarizzazione abbia aperto spazi all’uomo, secondo lo schema dell’ateismo umanistico, mentre ha finito per chiuderli. È vero che la vocazione alla salvezza è unica, ma questo non toglie la differenza tra tempo, gravato dal peccato, ed eternità che vive nella grazia di Dio.

          c) Il linguaggio politico e la lotta di classe

    Se la storia è il luogo stesso della rivelazione di Dio tramite eventi storici, allora bisognerà partire da dove Dio sta operando, ossia dentro i conflitti della storia, senza pretendere di avere una posizione neutra, che sarebbe astratta, moralistica e ideologica. «La lotta di classe - per Gutiérrez - è un fatto e la neutralità in questo campo è impossibile»[32]. «Sopprimere l’appropriazione da parte di pochi del plus-valore creato dal lavoro dei più, e non lanciare retorici appelli all’armonia sociale; costruire una società socialista, più giusta, libera ed umana, e non una società di conciliazione e di uguaglianza apparenti e false»[33]. Gutiérrez ha ben presente l’idea del conflitto tra amore universale e lotta di classe, e lo risolve così: «L’universalità dell’amore cristiano è un’astrazione se non diventa storia concreta, processo, conflitto … Si ama gli oppressori liberandoli da loro stessi. Ma a ciò non si arriva se non optando senza tentennamenti per gli oppressi, cioè lottando contro la classe degli oppressori … Oggi, nel contesto della lotta di classe, amare i nemici suppone che si riconosca e si accetti di avere dei nemici e di doverli combattere»[34].

    Siccome anche la Chiesa è mondo, anch’essa è divisa al proprio interno in modo classista. Non si può pretendere di unire la Chiesa senza unire il mondo, ecco perché «in un mondo profondamente diviso, la funzione della comunità ecclesiale è di lottare contro le cause essenziali della divisione tra gli uomini» [35].

    Si vede anche qui la dipendenza da categorie sociologiche e storiografiche di origine marxista. Gutiérrez parla esplicitamente di “socialismo” e considera “fecondo” il dialogo del cristianesimo con il marxismo. Questo aspetto peserà a lungo e pesa tuttora sulla cosiddetta “scelta preferenziale per i poveri”, che la Chiesa latinoamericana considera un proprio specifico apporto alla Dottrina sociale della Chiesa, ma che deve continuamente venire depurata da questi inquinamenti ideologici.

    Questi aspetti problematici sono stati esaminati dall’Istruzione su alcuni aspetti della teologia della liberazione Libertatis nuntius che evidenzia le deviazioni e i rischi “pericolosi per la fede e la vita cristiana”[36]. L’Istruzione segnala numerosi errori che qui riassumo sinteticamente:

    1. Ogni forma di asservimento ha come origine il peccato e la prima liberazione che Cristo è venuto a portare è quella dal peccato. La vera liberazione è la vita nella Grazia e questa non esige, come suo presupposto, un cambiamento di vita politica e sociale.
    2. L’analisi marxista non è scientifica. Il concetto della lotta di classe e l’ateismo di fondo ne permeano in modo inaccettabile tutte le categorie analitiche.
    3. Non può essere accettato né che la verità nasca dalla prassi né che la verità sia una verità di parte (o di classe), né che la carità richieda la lotta di classe.
    4. L’idea che Dio si fa storia e che esiste una sola storia – insieme sacra e profana – è espressione di un inaccettabile storicismo immanentista. Il messianismo diventa puramente temporale e si nega la natura teologale della fede, della speranza e della carità.
    5. È sovvertito il concetto cristiano di “povero”: Chiesa dei poveri non significa una Chiesa di classe.
    6. E’ sovvertita la stessa struttura della Chiesa in quanto nella gerarchia e nel magistero viene identificata la classe dominante.
    7. L’ortoprassi non può essere sostituita alla dottrina della fede, perché la prassi deriva dalla fede e ne è l’espressione vissuta.
    8. La lettura politica della Scrittura, dall’esodo al Magnificat è inaccettabile in quanto espressione di un messianismo solo temporale.
    9. La cristologia della TL è inaccettabile: l’insieme del mistero cristiano viene erroneamente interpretato nell’ottica della lotta per gli oppressi, in opposizione alla Tradizione della Chiesa.

     

    Alcune considerazioni critiche

    Abbiamo presentato la TL nelle sue grandi linee, evidenziando i numerosi errori dottrinali e pratici in essa contenuti. Nei lunghi anni che ci separano dal periodo caldo della TL ci sono state delle condanne esplicite da parte del magistero ecclesiastico; si è dimostrato che essa non trova fondamento nel Concilio Vaticano II, anche se a mio parere qualche “fessura” presente nei testi conciliari a sostengo della TL c’è; Giovanni Paolo II ha rilanciato, al posto della TL, la Dottrina sociale della Chiesa che, come abbiamo visto, è con essa incompatibile; il rapporto tra fede e ragione così come impostato dalla Fides et ratio (1998) di Giovanni Paolo II e quello tra dottrina e agire morale così come impostato dalla Veritatis splendor (1993) sono assolutamente difformi da quello della TL; Benedetto XVI ha riproposto il tema della verità[37] in modo totalmente contrario alla TL, rilanciando la metafisica e parlando insistentemente di legge naturale. In altri termini: la TL ha percorso un sentiero parallelo, quando non alternativo, a quello indicato dal supremo magistero.

    L’America Latina è oggi devastata da quella secolarizzazione che la TL considerava invece positiva per la fede cattolica. La traduzione del messaggio cristiano in linguaggio politico ha desacralizzato la fede e in America Latina ha lasciato spazio aperto alle sette pentecostali. Il continente latinoamericano è oggi investito da un’ondata laicista che fa piazza pulita della tradizione popolare cattolica, distruggendo la legislazione a favore della vita e della famiglia, nuovi poveri che la TL non aveva considerato. Infine oggi la politica, cui la TL affidava il linguaggio della fede, è sotto scacco su tutti i fronti, ha perso i suoi presupposti e da sola non sa più ridarseli. Questi ed altri elementi sembrano dirci che la TL è superata. Cosa rimane e cosa rimarrà di essa?

    Nel maggio 1996, il cardinale Ratzinger ha tenuto una relazione a Guadalajara (Messico)[38] sui compiti della teologia. In quell’occasione egli aveva anche parlato della TL, sostenendo che il suo effetto era stato di desacralizzare la società latinoamericana, favorendo il relativismo come filosofia dominante. Per la TL «la redenzione diventa un processo politico, al quale la filosofia marxista forniva gli orientamenti di fondo». Ma ecco che «la caduta dei sistemi comunisti dimostra invece che “Quando la politica vuole essere liberatrice, promette troppo. Quando vuole sostituirsi a Dio nel suo agire, diventa non divina ma demoniaca». La TL ha lasciato un terreno devastato senza aver costruito. Essa ha preteso la salvezza da quanto invece doveva venire salvato, ha decostruito un impianto tradizionale della Chiesa sostituendovi una nuova dogmatica, ha rinunciato alla natura per la storia e quando la storia ha poi deturpato la natura umana aveva scarsi argomenti da obiettare contro di essa, ha scelto per la priorità della prassi dimenticando che l’azione presuppone sempre la conoscenza (nihil volitum nisi praecognitum ut conveniens), ha insegnato ai fedeli a dubitare secondo la filosofia del sospetto di origine marxiana[39] e in questo modo ha decostruito la dottrina insegnando a chiedersi “a chi serve?”, ha portato la lotta dentro la Chiesa con la scusa di volerla combattere fuori di essa a favore degli oppressi.

    Circa la questione dei “poveri” nella teologia della liberazione, ricordo quanto affermato da Benedetto XVI nel primo volume del suo “Gesù di Nazaret”: «La povertà di cui si parla non è mai un fenomeno puramente materiale. La povertà puramente materiale non salva, anche se di certo gli svantaggiati di questo mondo possono contare in modo molto particolare sulla bontà divina. Ma il cuore delle persone che non posseggono niente può essere indurito, avvelenato, malvagio – colmo all’interno di avidità di possesso, dimentico di Dio e bramoso solo di beni materiali».[40] E prosegue: «Solo laddove dalla fede deriva la forza della rinuncia e della responsabilità verso il prossimo come verso l’intera società, può crescere anche la giustizia sociale».[41] Con il che si ribadisce il primato della fede apostolica sulla prassi e si denuncia la natura gnostica e secolarizzante della Teologia della liberazione.

     

    Note

    [1] Gustavo Gutiérrez, Teologia della liberazione - Prospettive, Queriniana, Brescia 19732. Sulla teologia della liberazione si veda: Stefano Fontana, Il problema metafisico nella teologia della liberazione, “Studia Patavina”, Studia Patavina XXIV (1977) 3, pp. 631-649; Id., La teologia politica, Scuola di Perfezionamento in filosofia dell’Università degli Studi, Padova 1980.

    [2] Juan Carlos Scannone S.I., La filosofia della liberazione, “La Civiltà Cattolica”, n. 3920, 19 ottobre 2013, pp. 105-120.

    [3] Per una sintetica ricostruzione vedi: Stefano Fontana, Il Concilio restituito alla Chiesa. Dieci domande sul Vaticano II, Lindau-La Fontana di Siloe, Torino 2013, pp. 97-124.

    [4] Letty Russel, Teologia femminista, Queriniana, Brescia 1977.

    [5] James Cone, Teologia nera della liberazione e black power, Claudiana, Torino 1973.

    [6] Cfr. Réginald Garrigou-Lagrange, Il senso comune, la filosofia dell’essere e le formula dogmatichecit., pp. 211-218

    [7] Johann Baptist Metz, Antropocentrismo cristiano, Borla, Milano 1968.

    [8] Harvey Cox, La città secolare, Vallecchi, Firenze 1968 (prima edizione: New York 1965-1966).

    [9] Johann Baptist Metz, Sulla teologia del mondo, Queriniana, Brescia 1969.

    [10] Cf Massimo Borghesi, Critica della teologia politica. Da Agostino a Peterson: la fine dell’era costantiniana, Marietti 1820, Genova-Milano 2013, pp. 203-248.

    [11] Cornelio Fabro, L’avventura della teologia progressista cit., p. 23, nota 1.

    [12] Hugo Assmann, Teologia dalla prassi di liberazione, Cittadella, Assisi 1974.

    [13] Fernando Belo, Una lettura politica del Vangelocit. Vedi anche: Giulio Girardet, Il Vangelo della liberazione. Lettura politica di Luca, Claudiana, Torino 1975.

    [14] Paul M. Van Buren, Il significato secolare del Vangelo, edizione italiana a cura di Filippo Gentiloni Silveri, Gribaudi, Torino 1969.

    [15] Giovanni Paolo II, da cardinale di Cracovia, aveva giù avuto modo di argomentare a favore della Dottrina sociale della Chiesa: Cfr. Karol Wojtyla, La dottrina sociale della Chiesa, Intervista di Vittorio Possenti, Commento di Sergio Lanza, Lateran University Press, Roma 2003.

    [16] Benedetto XVI, Discorso alla Sessione inaugurale dei lavori della V Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano e dei Carabi, 13 maggio 2007.

    [17] Leonardo Boff è stato in seguito annoverato tra gli “autori” materiali dell’enciclica di papa Francesco Laudato si’(25 maggio 2015).

    [18] Gustavo Gutiérrez-Gerhard Ludwig Müller, Dalla parte dei poveri. Teologia della liberazione, teologia della Chiesa, Messaggero – EMI, Padova-Bologna 2013.

    [19] Ivi, p. 19.

    [20] “L’Osservatore Romano”, 4 settembre 2013, pp. 4 e 5.

    [21] “L’Osservatore Romano”, 18 ottobre 2013, p. 5.

    [22] Gustavo Gutiérrez, Teologia della liberazione – Prospettivecit., p. 21.

    [23] Ivi, p. 22.

    [24] Ibidem.

    [25] Ivi, p. 25.

    [26] Ivi, p. 23.

    [27] Massimo Borghesi, L'età dello Spirito. Secolarizzazione ed escatologia moderna, Studium, Roma 2008.

    [28] Gustavo Gutiérrez, Teologia della liberazione – Prospettivecit., p. 41.

    [29] Ivi, p. 70.

    [30] Ivi, p. 153.

    [31] Ivi, p. 190.

    [32] Gustavo Gutiérrez, Teologia della liberazione – Prospettivecit., p. 275.

    [33] Ivi, p. 275.

    [34] Ivi, p. 277.

    [35] Ivi, p. 279.

    [36] Libertà cristiana e liberazione. Saggi sui Documenti della Congregazione per la Dottrina della Fede, a cura di M. Agnes, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1986, p. 8.

    [37] Cfr. Stefano Fontana, Capire Benedetto XVI. Tradizione e modernità ultimo appuntamento, Cantagalli, Siena 2021.

    [38] La fede e la teologia ai giorni nostri, “L’Osservatore Romano”, 27 ottobre 1996, pp. 7-8.

    [39] «Ogni cosa sacra viene sconsacrata e gli uomini sono finalmente costretti a considerare la loro posizione nella vita e i loro rapporti reciproci con un sguardo disincantato» (Karl Marx–Friedrich Engels, Manifesto del Partito comunista, Introduzione di Eric Hobsbawn, Rizzoli, Milano 1998, p. 57).

    [40] Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, p. 101.

    [41] Ibidem.

  • La persecuzione della Chiesa in Nicaragua nasce dalla TDL

     


     

    di Americo Mascarucci

    Continuano le persecuzioni contro la Chiesa nel Nicaragua, dove il regime di Daniel Ortega sta soffocando ogni giorno di più il dissenso. Appena un mese fa è arrivato l’accorato appello del Cardinale Leopoldo Brenes, Arcivescovo di Managua che in occasione della solennità del Sangue di Cristo ha detto: “Vogliono togliere le forze alla Chiesa. Oggi sentiamo, in tanti momenti, persone che ci attaccano, che attaccano il Papa Francesco, che in un modo o nell’altro vogliono diminuire la forza dalla Chiesa, ci insultano, siamo perseguitati, calunniati, ma tutto ciò cade nel vuoto, in quanto è forte la nostra speranza e fiducia nel Signore”.

    Un anno fa, esattamente il 31 luglio 2020, si verificò l’attentato nella cattedrale di Managua che inaugurò una serie di azioni violente in diverse chiese del Paese. Negli ultimi tempi il regime di Ortega ha dato avvio ad una dura opera di repressione del dissenso con l’arresto di numerosi oppositori politici, e nel governo c’è chi spinge per estendere gli arresti e le repressioni anche nei confronti dei vescovi ormai identificati come nemici del potere. I rapporti tra la Chiesa cattolica e il presidente Ortega si sono infatti bruscamente interrotti nel luglio 2018, quando il presidente nicaraguense ha accusato i Vescovi di aver organizzato un presunto “golpe” nei suoi confronti..

    Non si tratta qui di manifestare o meno solidarietà nei confronti della Chiesa nicaraguense nel mirino, questa è sicuramente scontata, ma di evidenziare come quanto sta avvenendo in quel Paese e in altri dell’America Latina sia una diretta conseguenza del disastroso “68 della Chiesa” che ebbe fra i suoi più eminenti capolavori lo sciagurato congresso del Consiglio Episcopale latinoamericano di Medellin, svoltosi proprio nel 1968 in cui, come risposta al “vento innovatore” del Concilio Vaticano II, si inaugurò quella che sarebbe poi passata alla storia come “Teologia della Liberazione”.

    In quel congresso fu stabilito il principio secondo cui il ruolo centrale della Chiesa nella società umana contemporanea doveva essere quello di porre in evidenza i valori di emancipazione sociale e politica presenti nel messaggio cristiano, in particolare l’opzione fondamentale per i poveri. Messa così poteva anche sembrare una rivendicazione del tutto legittima, ma in realtà fu per la Chiesa l’inizio di un grande equivoco, dal momento che si affermò che l’opzione preferenziale per i poveri andava affermata attraverso una lettura “cristiana” dei contesti socio politici ed economici e lottando per la loro piena affermazione.

    Perfettamente in linea con il concetto del Dio storico di Karl Rahner presente nel mondo e nella storia e quindi da testimoniare nei contesti contemporanei, si passò dalla lotta spirituale a quella politica, per finire come in Nicaragua a quella armata. Non solo, la Teologia della Liberazione finì per diventare una sorta di “lettura cristiana” del marxismo fino a sostenere, legittimare e giustificare, i movimenti rivoluzionari che nascevano nei vari Paesi dell’America Latina per sostenere apparentemente un desiderio di libertà e di giustizia sociale, ma nei fatti per favorire la penetrazione del comunismo sovietico in quello che veniva definito il “giardino degli Usa”.

    Il Nicaragua è stato il Paese che, insieme alla Colombia, ha visto in azione la manipolazione più vergognosa del Vangelo, con sacerdoti e monaci schierati nelle fila del movimento sandinista di Daniel Ortega e direttamente in campo nella rivoluzione e nella lotta armata. L’unico che ebbe la forza di opporsi a tutto questo fu San Giovanni Paolo II, che già pochi mesi dopo la sua elezione prese apertamente posizione contro la Teologia della Liberazione denunciando il grande inganno che nascondeva. Ovvero quello di mascherare sotto una veste cristiana ed evangelica, una chiara forma di appoggio al marxismo. Fu proprio in Nicaragua che Giovanni Paolo II condannò, senza se e senza ma, la Teologia della Liberazione e la pericolosa deriva rivoluzionaria e marxista che aveva assunto nel Paese; lo fece sfidando i sandinisti che sulla piazza di Managua cercarono in tutti i modi di impedirgli di parlare. Ma Wojtyla non si lasciò intimidire, e più alte si facevano le urla di contestazione dei sandinisti più forte si levava la sua condanna.

    Ma non fu tutto. Giovanni Paolo II voleva la sospensione a divinis dei sacerdoti che in Nicaragua erano entrati come ministri nel governo sandinista. Il segretario di Stato Agostino Casaroli, che come tutti sanno era favorevole al dialogo con il mondo comunista e rifiutava la logica della contrapposizione tipica della guerra fredda, lavorò sotto traccia per impedire che si arrivasse ad una rottura. Fece sapere al sacerdote e poeta Ernesto Cardenal facente parte del governo, che il papa avrebbe gradito un gesto di obbedienza da parte sua, inchinandosi e baciandogli la mano in segno di deferenza al suo arrivo all’aeroporto di Managua, e che in conseguenza di questo gesto GPII avrebbe valutato senza pregiudizi la loro possibile permanenza nel governo. Effettivamente all’aeroporto Cardenal si inginocchiò per baciare la mano del papa, ma Wojtyla la ritrasse sdegnato, impedì che gli venisse baciata e davanti alle telecamere alzò il dito in segno di ammonizione contro il sacerdote intimandogli severamente di scegliere se fare il prete o il ministro. E dopo poco sarà sospeso a divinis.

    Cardenal ha sempre sostenuto che Casaroli gli tese una trappola per umiliarlo pubblicamente e far risaltare ancora di più la condanna del pontefice polacco contro di lui e i confratelli schierati con Ortega; ma non è da escludere che lo stesso Casaroli possa essere stato preso in contropiede da GPII e che avesse voluto realmente tentare un dialogo per evitare la rottura.

    Sta di fatto che oggi la Chiesa in Nicaragua sta pagando molto caro il suo “peccato originale”, ovvero quello di aver sostenuto il movimento sandinista che si è trasformato in un sanguinario regime dittatoriale, che ha usato e gettato la Chiesa per i propri interessi e che ha ampiamente tradito quegli ideali di libertà e di giustizia sociale che gli valse l’appoggio dei teologi della liberazione. La situazione del Nicaragua è la migliore dimostrazione di come Giovanni Paolo II avesse visto giusto e soprattutto fosse nel giusto nel contrastare, anche duramente, le contaminazioni fra cristianesimo e marxismo. Non c’era in quegli anni una guerra fra ricchi e poveri in America Latina, fra oligarchie dominanti e poveri perseguitati come si è voluto far credere, ma una lotta per l’egemonia fra gli Stati Uniti da una parte e l’Unione Sovietica dall’altra nel quadro della guerra fredda e dei blocchi contrapposti, con i sovietici che si servivano delle rivoluzioni (e indirettamente della Teologia della Liberazione) per entrare in casa del nemico e creare altre Cuba nel cuore del continente americano. Una guerra geopolitica senza alcuna finalità evangelica o di vera giustizia sociale.

    I vari esponenti di spicco della Teologia della Liberazione che l’hanno propagandata, da Gustavo Gutiérrez, ad Hélder Câmara, da Leonardo Boff a Camilo Torres Restrepo per finire con Ernesto Cardenal e Miguel d’Escoto Brockmann sono stati complici di un grande inganno. Si salva forse soltanto Oscar Romero, l’unico in buona fede, che infatti si fa fatica ad inquadrare come organico alla Teologia della Liberazione nonostante i vari tentativi di assimilazione e certe sue ambiguità e contraddizioni.

    Spiace soltanto che Bergoglio nella sua opera di demolizione della Chiesa stia restituendo dignità a figure cui nessuna riabilitazione andrebbe concessa, ma soltanto la condanna di un inganno e di una errata interpretazione del Vangelo piegata all’ideologia marxista, ad opera di abili manipolatori e diabolici impostori.

     

    Fonte: Stilvm Curiae – Marco Tosatti, 14 Agosto 2021.

  • Ortega: “Non ho mai avuto rispetto per i vescovi”

     

     

    di Raffaele Citterio

    È a tutti nota l’espressione “compagni di viaggio”, coniata da Lenin, per indicare i borghesi di cui il comunismo si sarebbe servito come alleati provvisori, salvo poi scaricarli una volta si fosse affermata la rivoluzione proletaria. Per estensione, l’espressione designa qualsiasi alleato provvisorio del comunismo. Tra i “compagni di viaggio” del comunismo internazionale nel secolo XX, forse nessuno gli è stato tanto utile quanto la Teologia della liberazione, specie in America Latina.

    Infatti, nessuno è stato più fedele al comunismo in America Latina quanto i “compagni” della Teologia della liberazione, compresi tanti sacerdoti, vescovi e perfino cardinali. E come li ha ripagati il comunismo? Trattandoli da “utili idioti”, salvo poi scartarli come si scartano le bucce di un limone spremuto.

    Vediamo il caso paradigmatico del Nicaragua. In questo Paese centroamericano, il comunismo prese il potere nel 1979, dopo anni di sanguinosa guerriglia nella quale combatterono insieme militanti comunisti e militanti provenienti dalle Comunità ecclesiali di base, legate alla Teologia della liberazione. “Le CEB fornirono militanti e leader rivoluzionari al Frente Sandinista de Liberación Nacional”, scrive Johanes van Vugt[1]. Il risultato fu la vittoria militare del FSLN, nel luglio 1979.

    Una volta al potere, il comunismo ricevette l’appoggio di molti vescovi e cardinali, e non solo in Nicaragua. Rimarrà nella storia la “Notte Sandinista” tenutasi nella Pontificia Università Cattolica di San Paolo del Brasile, sotto l’egida del cardinale Paulo Evaristo Arns, nella quale guerriglieri sandinisti, compreso il presidente Daniel Ortega, incitarono i brasiliani a prendere la via delle armi per instaurare il socialismo[2].

    Ortega, questa volta per via democratica (al netto di frodi e inganni), è tornato al potere nel 2007, perpetuandosi al potere fino ai giorni nostri nel più puro stile cubano o venezuelano. Non sentendo più bisogno dell’appoggio del clero, e infischiandosene del debito di gratitudine nei loro confronti, egli ha iniziato a perseguitare preti e vescovi. L’ultimo episodio è stato il sequestro di mons. Rolando Álvarez, vescovo di Matagalpa, portato via in piena notte dagli sbirri comunisti per essersi permesso di realizzare una processione col Santissimo. Già dai primi giorni di agosto, il vescovo era sotto assedio e impossibilitato a dire Messa. Dal 2018, la Polizia e le milizie sandiniste hanno invaso diverse chiese, portando via i parroci.

    Ortega non nasconde più i suoi veri sentimenti. Parlando lo scorso 16 dicembre all’Accademia di Polizia Walter Mendoza Martínez, di Managua, il dittatore è stato molto chiaro: “Io non ho mai avuto rispetto per i vescovi e per i sacerdoti. (…) Io non mi fido dei sacerdoti”[3]. Egli, tuttavia, segnala “rare eccezioni”, come Gaspar García Laviana, un sacerdote guerrigliero noto come Comandante Martín, morto in combattimento nel 1978 mentre prendeva parte a una imboscata contro una pattuglia della Guardia Nacional.

    Tutto questo comporta per noi una lezione di vita spirituale: è un brutto affare scendere a patti con la Rivoluzione.

    Ne fece esperienza, per esempio, Leone XIII, un Papa straordinario sotto tanti punti di vista. In un gesto noto come Ralliement, nel 1890 il Pontefice tese una mano amichevole al governo anticlericale di Francia, proibendo contestualmente ai cattolici di avversarlo. Egli sperava che il gesto fosse contraccambiato allentando la persecuzione alla Chiesa. Il risultato fu disastroso. Mentre il campo cattolico si sgretolò, il governo francese non diminuì la persecuzione. Verso la fine della sua vita, in una lettera al presidente Emile Loubet, Leone XIII dovette ammettere con amarezza il totale fallimento della sua politica dialogante.

    Veramente, è un brutto affare scendere a patti con la Rivoluzione…

    Attribuzione immagine: By Presidencia de la República Mexicana – FlickrCC BY 2.0 Wikimedia.

     

    Note

    [1] Johannes VAN VUGT, Christian Base Communities, in “The Ecumenist”, Ottawa, vol. 24, n. 1, novembre/dicembre 1985, p. 1.

    [2] Si veda Plinio CORRÊA DE OLIVEIRA, Na “Noite sandinista”, incitamento à guerrilha dirigido por sandinistas “cristãos” à esquerda catolica no Brasil e na America espanhola, in “Catolicismo”, luglio-agosto 1980.

    [3] “I never had respect for the bishops”, The Irish Catholic, 5 gennaio 2023.

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte.

  • Pietre, serpi e scorpioni

      

     

    di Julio Loredo

    La sua nomina ad Arcivescovo Metropolita di Lima e Primate del Perù fu un vero terremoto.

    Semplice sacerdote in congedo, Carlos Castillo Mattasoglio scavalcò tutti i presuli che, con una lunga e meritevole carriera ecclesiastica alle spalle, erano i candidati naturali a ricoprire questa carica. Non solo. Nel 2012 Padre Castillo era stato censurato da Papa Benedetto XVI per le sue posizioni apertamente marxiste ed eterodosse, quindi rimosso dalla sua cattedra alla Pontificia Università Cattolica del Perù e confinato punitivamente in un quartiere popolare. Sembrava fosse arrivato al capolinea…

    Padre Castillo, però, aveva due carte vincenti: una era la sua stretta amicizia col nuovo Papa, Francesco (agevolata dalle comuni origini italiane); l’altra, la comune militanza nel movimento della Teologia della liberazione (o del popolo che si voglia). La scelta di Castillo si inseriva esplicitamente nella politica di sostituzione dei vescovi nominati nei due pontificati precedenti – di linea generalmente moderata o conservatrice – con altri schierati invece con la Teologia della liberazione e con l’utopia politica socialista da essa auspicata. Faceva parte di quel “cambio di paradigma che inspiri un’audace rivoluzione culturale” proposto da Francesco per l’America Latina. Ed ecco che, nel gennaio 2019, egli scelse per la più alta carica ecclesiastica in Perù proprio questo sacerdote, condannato ed esiliato, e d’altronde quasi sconosciuto al di fuori dei circoli accademici della sinistra.

    Insediatosi nel marzo 2019 in una cerimonia che ebbe come invitato d’onore padre Gustavo Gutiérrez, il fondatore della Teologia della liberazione, mons. Castillo non ha deluso i suoi patrocinatori. Riprendendo la linea pastorale del cardinale Juan Landázuri, che negli anni 1960-1970 appoggiò senza remore la dittatura comunista del generale Juan Velasco Alvarado, mons. Castillo si è distinto per un continuato e sentito sostegno alla sinistra politica, arrivato al punto di criticare chi si opponga all’attuale presidente Pedro Castillo, di orientamento marxista e vicino alla guerriglia maoista. Citando il suo maestro Gutiérrez, mons. Castillo suole ripetere che “la rivoluzione in Perù dovrà essere religiosa”.

    Ciò che provoca più sgomento, però, sono le sue uscite in campo teologico.

    Esempio tipico è stata la sua omelia in occasione della Santa Messa domenicale nella cattedrale metropolitana lo scorso 19 dicembre: “Gesù non muore facendo un sacrificio di olocausto, Gesù muore da laico assassinato. … Muore come un essere umano”.

    Queste affermazioni contengono due clamorosi errori contro il dogma: Gesù è un laico e non un sacerdote; sul Calvario, Gesù non ha compiuto un atto sacrificale. Così, di colpo, crollano due colonne della Fede e si nega il carattere redentore della missione di Nostro Signore Gesù Cristo, mettendo in discussione anche i suoi insegnamenti, che non sarebbero più quelli della Seconda Persona della Santissima Trinità, incarnatasi per redimere il genere umano, ma di “un essere umano come tutti voi che siete qui presenti”.

    Nelle labbra di mons. Castillo questi errori non provengono tanto da qualche eresia cristologica quanto dalla Teologia della liberazione.

    La Teologia della liberazione tace sul vero significato della Redenzione, trattandola invece come una liberazione socio-politica.

    Redimere significa riappropriarsi di qualcosa pagando il prezzo dovuto. Nella Redenzione, Nostro Signore Gesù Cristo ha pagato a Dio Padre il “caro prezzo” (1 Cor. 6, 20) del debito che l’umanità aveva contratto con il peccato originale, consentendo perciò all’uomo di entrare nel Cielo. Solo Lui poteva pagare questo debito. Poiché il reato era stato commesso contro il Dio infinito, solo il Figlio di Dio, ugualmente infinito, poteva redimerlo. Lui è stato la Vittima innocente, l’Agnello di Dio che, in un atto gratuito di puro amore, ha espiato per l’umanità intera. Questa è la causa efficiente della nostra Redenzione. Ogni atto di Nostro Signore aveva un carattere redentore. Ma la Sua opera redentrice giunge all’apice con la Sua passione e morte in Croce.

    D’altronde, solo un Essere infinito poteva realizzare questo sacrificio. Sulla croce, dunque, Nostro Signore è stato allo stesso tempo Sacerdote e Vittima. Questa è la dottrina dogmatica della Chiesa, da sempre insegnata e riproposta anche di recente dal Catechismo della Chiesa Cattolica. Il sacrificio del Calvario si perpetua, poi, in modo incruento nel Santo Sacrificio della Messa. Tutto questo non fa senso dal punto di vista della Teologia della liberazione. Ed ecco che negano che Nostro Signore Gesù Cristo sia stato un sacerdote, e che abbia compiuto sulla Croce un atto sacrificale di carattere redentore.

    Il gesuita Ignacio Ellacuría, per esempio, afferma che nella morte di Gesù “non troviamo alcun significato mistico espiatorio”. Il teologo spagnolo va pure oltre.

    Dopo aver questionato l’attendibilità dei racconti evangelici, egli nega che Nostro Signore abbia avuto un’idea del motivo per cui stesse morendo: “Nemmeno gli evangelisti, nella loro reinterpretazione teologica, si sono sentiti autorizzati a mettere nelle labbra e nella coscienza manifesta di Gesù una chiara dichiarazione del significato della sua morte”.Per Ellacuría, i riferimenti alla morte di Nostro Signore contenuti nei Vangeli “non suppongo che Gesù abbia concepito se stesso come servo di Yahvé, compiendo una missione messianica con la sua morte espiatoria” [1].

    Le incredibili parole di mons. Carlos Castillo nella Messa dominicale nella cattedrale metropolitana di Lima meriterebbero altri commenti teologici. Non vado oltre. Chiudo con alcune considerazioni di natura pastorale.

    La gerarchia ecclesiastica, e in particolare i vescovi che hanno la pienezza del sacerdozio, riceve da Dio Nostro Signore una triplice missione: insegnare, governare e santificare. Deve renderne conto a Dio. Oltre ad amministrare i sacramenti che trasmettono la grazia santificante e governare il Popolo di Dio affinché cammini sulla retta via, i Vescovi, uniti al Papa, hanno il sacrosanto dovere di insegnare la sana dottrina. Così come i fedeli hanno il sacrosanto diritto di ricevere la Verità senza macchia dai loro pastori.

    Le parole di mons. Castillo non hanno fatto vacillare la mia Fede nemmeno di un millimetro. Conosco il suo pensiero e, francamente, nulla mi sorprende più. Ma temo che possano aver avuto l’effetto di una bomba su persone meno preparate teologicamente, e ingenuamente inclini ad accettare tutto ciò che viene dal loro vescovo. Mi vengono in mente le parole di Nostro Signore Gesù Cristo: “Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione?” (Lc 11, 11-12).     

    Nei bei vecchi tempi, un tale scivolone da parte della più alta autorità ecclesiastica del Perù avrebbe ipso facto richiamato l’attenzione del Sant’Uffizio, pardon della Congregazione per la Dottrina della Fede. Vogliamo scommettere che non succederà nulla a mons. Carlos Castillo?

     

    Note

    [1] Ignacio ELLACURÍA, Por qué muere Jesús y por qué le matan, in Desafíos Cristianos, a cura di MISIÓN ABIERTA, Lóguez Ediciones, Madrid 1988, pp. 35, 38.

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte.

     

    [Fonte immagine: di Uriel jesusfb - Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=110150666]

  • Teologia della Liberazione o marxismo per i cristiani?

    Diversi media hanno commentato il 50° anniversario (ad esempio, La Lettura del Corriere della Sera del 7/11/21) di un libro che ha avuto una enorme influenza nella Chiesa cattolica latinoamericana e non solo: “Teologia della liberazione”, del sacerdote peruviano Gustavo Gutiérrez. Sotto questa dicitura crebbe tutto un grande movimento catto-politico, ancora attivo, finalizzato a implementare nella società le teorie esposte nel libro. Pochi ricorderanno, invece, che la prima recensione articolata per denunciare il contenuto di quel saggio come favorevole all’avanzamento dell’ideologia marxista fra i fedeli cattolici, fu quella della rivista peruviana Tradición y Acción, ispirata al pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira. I movimenti sudamericani ispirati dal pensatore e uomo di azione brasiliano avevano, dietro un suo specifico suggerimento, intrapreso nell’ormai lontano 1969 una grande campagna internazionale di raccolta firme chiedendo a Papa Paolo VI che prendesse misure contro la crescente infiltrazione di idee comuniste nelle fila del clero. Quella raccolta raggiunse i 2 milioni di firmatari. Le firme furono consegnate alla Santa Sede. Solo nel 1984, ad opera della Congregazione della Dottrina della Fede diretta dall’allora cardinale Ratzinger, Il Vaticano condannò gli aspetti estremi della Teologia della Liberazione con l’Istruzione Libertatis Nuntius che bollava detta ideologia e la sua prassi (“il socialismo reale”) come “vergogna del nostro tempo”. Purtroppo, molti buoi erano ormai scappati dalla stalla…

    Proponiamo di seguito l’analisi del libro Teologia della Liberazione fatta dalla rivista Tradición y Accióndi Lima nel 1973.

     

     

    Ecco come si presenta al lettore ignaro il libro di Gustavo Gutiérrez "Teologia della liberazione": sulla copertina il titolo dell'opera è in lettere bianche e quello dell'autore in nero, il tutto su uno sfondo rosso acceso, che colpisce profondamente la sensibilità dell'osservatore. Questa presentazione è completata dalla quarta di copertina. Qui, attraverso l'uso esclusivo di un forte contrasto bianco-nero senza mezzitoni, viene abbozzata la figura di una folla. Si ha l'impressione di una riunione di massa.

    Vista presumibilmente dall’angolo verso la quale è girata, questa folla ha proporzioni gigantesche. Dato che il disegno non è contenuto in una cornice, ma raggiunge i limiti naturali della quarta di copertina, si ha l'impressione di non poter abbracciare tutta la marea di persone che, oltre la carta, si estende indefinitamente aldilà delle possibilità visive dell'uomo attraverso le regioni senza confini dell'immaginazione. Le figure, più abbozzate che disegnate, accentuano la sensazione dell’infinito numerico.

    L'insieme è una vera aggressione visiva al lettore. I volti sono duri e cupi. I pugni stretti in alto. Si profilano enormi braccia alzate in segno di protesta. Alcune labbra serrate hanno qualcosa di disperato. Bocche aperte come per lanciare grida di odio. Sopra le teste, una macchia bianca, come una bandiera dai contorni vaghi, sembra concentrare in sé l’energia della ribellione che aleggia su tutta l'atmosfera. È come la risultante simbolica del cattivo anticonformismo impresso su quei volti, segnati da una tristezza morbosa e non rassegnata.

    Sembrerebbe una manifestazione di comunisti che protestano contro qualcosa e sono pronti a indulgere, per odio, nella distruzione e nel saccheggio. E tutta questa ostentazione visiva è un “flash” appropriato delle idee che il libro contiene. Nessun riferimento alla condizione sacerdotale dell'autore.

     

    Una fedeltà originale

    Il libro è caratterizzato - va subito detto - da un'impressionante mancanza di originalità. Per quanto non ci si abitui alla noiosa e indigesta "letteratura" catto-progressista, si nota fin dall'inizio la stessa ispirazione sediziosa, gli stessi temi, la stessa struttura di pensiero, gli stessi modelli e persino le stesse ambiguità che segnano le innumerevoli arringhe dei Méndez Arceos1del nostro continente.

    La fedeltà di Gutiérrez agli standard che adotta è notevole, giunge ad essere persino originale!

    Per capire la mentalità dell'autore, vale la pena dire una parola su quale gamma di progressismo egli rappresenti. Gustavo Gutiérrez non può essere incluso tra i moderati. Cioè, non è tra coloro che cercano di bilanciarsi su una via di mezzo, sopra il pendio scivoloso verso il comunismo, per poter invocare in loro difesa una pretesa fedeltà alla dottrina tradizionale della Chiesa.

    Egli entra in scena come un "enragé" del progressismo, già assai vicino all'abisso comunista. Le tinte del cattolicesimo con cui ancora si presenta sono ormai come una pellicola così trasparente che vela malamente le sue idee marxiste. L'effetto pratico del manto di cattolicesimo con cui si copre Gutiérrez serve solo a portare avanti il processo di autodemolizione della Chiesa, che Paolo VI ha così veracemente denunciato (S. S. Paolo VI - Allocuzione al Seminario Lombardo, 7 dicembre 1968, in L'Osservatore Romano", 8 dicembre 1968).

    Si veda per esempio la radicale posizione dottrinale e pratica che il sacerdote adotta, sia nell'ordine temporale che nella sfera religiosa: ". . . solo una rottura con l'attuale ordine ingiusto e un franco impegnoper una nuova societàrenderanno credibile ai popoli dell'America Latina il messaggio d'amore di cui la comunità cristiana è portatrice. Questa esigenza deve condurla a una profonda revisionedel modo di predicare la Parola, di vivere e celebrare la sua fede" (p. 172 - enfasi aggiunta). Il grado di progressismo adottato dall'autore di "Teologia della Liberazione" è costante nel suo libro. Il suo scollamento dalla dottrina cattolica, anche se esplicito, batte sempre la stessa nota dall'inizio alla fine.

    Nella sua smania di radicalismo Gutiérrez respinge sistematicamente le forme meno estreme di cambiamento come il "riformismo": "Questa non è una 'lotta per gli altri', lotta dal retrogusto paternalistico e di obiettivi riformisti, ma per percepirsi come un uomo inappagato che vive in una società alienata e per, di conseguenza, identificarsi radicalmente e combattivamentecon coloro - uomini e classe sociale - che soffrono prima di tutto il peso dell'oppressione" (pp. 180-181 - enfasi aggiunta).

    La stessa politica di sviluppo dei cosiddetti paesi sottosviluppati è respinta da Gutiérrez. Il sottosviluppo dell'America Latina è per lui una conseguenza necessaria dello sviluppo degli Stati Uniti, ed è illusorio volere che il nostro continente progredisca all'interno del sistema capitalista. Secondo lui, sarà solo attraverso uno sconvolgimento sociale e una lotta di classe a livello di continenti (Sud America contro Nord America) che si potrà trovare la soluzione (vedi pp. 105-106 e 115).

    Sempre secondo Gutiérrez, i progetti di assistenza sociale devono essere criticati anche perché sono "superficiali" e creano "illusioni e ritardi". La soluzione può essere trovata solo in una trasformazione totale delle strutture della società capitalista (vedi pp. 146-147).

    Sarebbe impossibile, in un solo articolo, fare uno studio completo di "Teologia della Liberazione" con le sue quasi 400 pagine in caratteri minuti.

    Tuttavia, non c'è dubbio che valga la pena analizzare almeno alcuni dei suoi punti più salienti. Non solo per cercare di rimediare al danno che la propaganda del libro può aver causato negli ambienti cattolici peruviani, soprattutto in considerazione dello status sacerdotale di Gutiérrez - ma anche perché, essendo "Teologia della liberazione" un esempio molto caratteristico della dottrina catto-progressista, il lettore potrà trarre da questa analisi un antidoto efficace contro il progressismo, anche quando esso si presenti sotto vari gradi di diluizione, mescolato con la dottrina tradizionale della Chiesa e con il sostegno di ecclesiastici.

     

    Ambiguità sinistra

    Radicale sia nei termini dei suoi obiettivi prossimi di distruzione della società attuale, sia nei termini dei metodi che sostiene, "Teologia della Liberazione" rimane tuttavia fondamentalmente ambigua per quanto riguarda i fini ultimi che cerca di raggiungere. Il lettore è invitato a impegnarsi in una lotta di vita e di morte, il cui fine ultimo gli viene presentato in modo sufficientemente velato e vago per non spaventarlo. Gli viene dato un carro armato e gli viene mostrato il nemico che deve distruggere, ma la causa che deve servire non è chiaramente definita.

    Perché questa ambiguità? Si teme che i soldati disertino se i desideri dei loro ufficiali vengono rivelati apertamente? Se sì, quali sinistri desideri potrebbero essere? Gutiérrez cerca di spiegarsi in questo senso, ma le sue spiegazioni, esse stesse ambigue e sfuggenti, lasciano spazio alla domanda: dove vuole arrivare?

    Già nell'introduzione, l'autore cerca di evitare l'effetto che questa fondamentale ambiguità può avere sulla mente del lettore: "La novità e la mobilità delle domande poste dall'impegno liberatorio rendono difficile l'uso di un linguaggio adeguato e di nozioni sufficientemente precise" (p. 11 - enfasi aggiunta). In altre parole, il lettore non deve cercare qui obiettivi definiti e nozioni chiare, perché non le troverà....

    Chi vorrà prendere quel treno il cui percorso è così avvolto nella nebbia da non sapere dove andrà a finire?

     

    Si tratta del vecchio marxismo

    Intanto, quei veli che coprono gli obiettivi dell'opera in questione, se non sono trasparenti, sono almeno traslucidi e lasciano intravedere la grande affinità delle idee dell'autore con il marxismo. Le pagine di "Teologia della liberazione" trasudano così tanto marxismo che Gutiérrez ha sentito il bisogno di mettere in guardia i suoi seguaci o simpatizzanti contro coloro che avrebbero denunciato questo fatto. Ecco le sue parole: "Per alcuni, partecipare a questo processo di liberazione

    significa non lasciarsi intimidire dall'accusa di 'comunisti'" (p. 148).

    Crediamo che padre Gutiérrez sia coerente nel fare questa raccomandazione, perché se la dottrina e la mentalità sono accettate, perché indietreggiare davanti alla parola?

    Il lettore stia tranquillo che non moltiplicheremo qui - come sarebbe molto facile fare - il numero di citazioni dell'opera in esame per dimostrare il suo stretto legame ideologico con il marxismo. Tuttavia, è giusto citare almeno alcune caratteristiche. Permetteteci di farlo.

    "Ci sono molti che pensano, quindi, con Sartre, che 'il marxismo, come quadro formale di tutto il pensiero filosofico odierno, non può essere superato'. Sia come sia, infatti, la teologia contemporanea è in inevitabile e fruttuoso dialogo con il marxismo" (pp. 25-26). L'espressione "sia come sia" rende chiaro che Gutiérrez ammette la possibilità che l'affermazione di Sartre sia vera e, quindi, che la stessa filosofia cattolica abbia oggi il suo quadro formale nel marxismo. Ora, essendo il marxismo intrinsecamente ateo, ci ritroveremmo con un pensiero cattolico che ruota intorno all'ateismo come suo asse naturale. Ammettere questa possibilità è già, di per sé, porsi agli antipodi della dottrina della Chiesa. Per non dire dell'assurdità di chiamare "inevitabile e fruttuoso" un dialogo tra la teologia (per definizione lo studio di Dio) e il marxismo (per definizione ateo).

    Tuttavia, Gutiérrez non si lascia turbare da queste contraddizioni. Il suo libro, del resto, ne è pieno: come non pensare che, in fondo, il concetto di Dio, di Cielo, di salvezza, sia per lui diverso da quello che ci insegna la Chiesa? Da questo punto in poi, tutto il suo pensiero diventa più chiaro e cessa di essere contraddittorio. Ce ne occuperemo rapidamente qui di seguito.

    Riferendosi a una nuova scienza storica elaborata sulla base di Marx e che permette un nuovo tipo di "iniziazione storica", il libro afferma che questa iniziativa deve essere orientata verso una società in cui "una volta abolita l'appropriazione privata del plusvalore, una volta stabilito il socialismo, l'uomo può cominciare a vivere liberamente e umanamente" (p. 49). L'abolizione della proprietà privata - il grande "leitmotiv" dei comunisti - appare qui nella sua formulazione più plateale, dove anche espressioni tecnicamente marxiste come plusvalorenon vengono evitate.

    Gutiérrez accoglie con gioia l'ingresso nella sovversione di un numero crescente di sacerdoti. Dopo aver citato specificamente il prete guerrigliero Camilo Torres, dice: "La novità (della posizione del clero in America Latina) è (...) soprattutto che le scelte che stanno facendo, in un modo o nell'altro, sono sovversive dell'ordine sociale regnante" (p. 134). Queste parole ci ricordano preti come quelli collusi con i terroristi Tupamaros in Uruguay, come i “Sacerdotes para el Tercer Mundo” ("Preti per il Terzo Mondo"), complici scoperti dei terroristi che assassinarono l'ex presidente argentino, il generale Aramburu, o come i padri domenicani in Brasile che lavorarono per la sovversione e il terrorismo in obbedienza diretta al Partito Comunista di quel paese.

    Con il "candore" di chi sta affermando qualcosa di ovvio e conosciuto, Gutiérrez dice che la lotta di classe è un fatto, e che è necessario stare dalla parte degli oppressi, cioè dei poveri. La propaganda marxista è penetrata così profondamente nella testa di questo ecclesiastico da fargli chiudere gli occhi sulla realtà? Perché il completo fallimento economico con cui il deposto regime marxista di Allende ha oppresso il popolo cileno non ha suscitato la compassione di Gutiérrez? E nella Cuba di Fidel Castro, chi sono gli oppressi? I capisquadra armati che costringono la popolazione infelice a tagliare la canna il giorno di Natale? Perché lo stesso silenzio da parte di Gutiérrez e dei "progressisti" della sua razza?

    L'arringa continua sulla stessa linea, dicendo che è necessario andare verso una società senza classi e senza proprietà, etichettando chiunque osi negare la validità della lotta di classe come un sostenitore dei settori dominanti. Ma non solo, è anche necessario dichiarare guerra all'eventuale oppressore: "Optare per l'oppresso è optare contro l'oppressore" (p. 371).

    Che ci siano ingiustizie in Perù come ovunque nel mondo, nessuno lo nega. Ma presentarli con una lente d'ingrandimento per predicare la lotta di classe è una tecnica tipicamente marxista. Tanto più che Gutiérrez non dice una sola parola sulla peggiore ingiustizia, commessa da quei chierici che negano al popolo la manna della salvezza, cioè la vera dottrina rivelata, tradizionalmente insegnata dalla Chiesa.

    L'opera ci mostra che, secondo la teologia (progressista), amare tutte le persone non significa evitare "scontri", ma che amare gli oppressori significa spogliarli del loro potere.

    Come il lettore potrà percepire, la dottrina di Gutiérrez non è altro che la dottrina di Marx, vecchia più di cento anni, e con tutti i suoi ingredienti tarlati: attacco al capitalismo, esaltazione della lotta di classe, distruzione completa della proprietà individuale, ecc.

    Caratteristica è anche la naturalezza - potremmo quasi dire familiarità - con cui Gustavo Gutiérrez si appoggia agli autori marxisti. Ecco alcuni esempi:

    - “Questa linea sarà ripresa e rinnovata, a modo suo, da K. Marx" (p. 48).

    - “In questo senso, il tentativo di Marcuse, segnato da Hegel e Marx, di tradurre le categorie psicoanalitiche in critica sociale è importante" (p. 51).

    - “Questo è stato studiato, inizialmente, da autori come Hobson, e, in un'altra prospettiva, da Rosa Luxenburg, Lenin e Bukharin che hanno formulato la teoria dell'imperialismo e del colonialismo" (p. 110).

     

    Giustificazione della violenza

    Gustavo Gutiérrez è un focoso apologeta della violenza come mezzo per demolire gli attuali modelli sociali. Qualsiasi guerrigliero o terrorista latinoamericano che abbia bisogno di una "giustificazione teologica" dei loro crimini, troverà molto materiale nel libro in esame. “(...) Il dominio della politica è necessariamente conflittuale. Più precisamente, (. . .) la costruzione di una società giusta passa attraverso il confronto - in cui la violenza è presente in modi diversi..." (p. 68).

    Inoltre, afferma che la "cosa più importante" per conoscere la realtà latinoamericana consiste nel non limitarsi a una "una descrizione piagnona", e "nel non illudersi della possibilità di avanzare dolcementee per tappeprestabilite verso una società sviluppata" (p. 101 – enfasi aggiunta). Dunque, non c'è nulla di dolce nel cammino indicato da questo prete!

    L'importanza che ha la violenza nella teologia di Gutiérrez lo porta a preoccuparsi di evitare che qualcuno dei suoi seguaci sia trattenuto da scrupoli morali. Poiché, secondo lui, ci troviamo in una situazione di violenza istituzionalizzata, "la questione della contro-violenza lascia il piano dei criteri etici astratti e si sposta più decisamente su quello dell'efficacia politica" (p. 129). O, per dirla in termini meno cervellotici, i militanti della sinistra cattolica non dovrebbero preoccuparsi della moralità del terrorismo, della guerriglia e della rivoluzione sanguinaria, ma semplicemente verificare se questi metodi sono politicamente efficaci. L'efficacia sarebbe, data la situazione attuale, sinonimo di moralità. Questo è il machiavellismo più grossolano che si possa immaginare...

    Ma allora, si chiederà il lettore, la violenza oggi è sempre giusta? Non è quello che pensa Gutiérrez. Per lui, così come per altri sacerdoti che cita senza nominarli, c'è una violenza ingiusta che non va confusa con la violenza giusta: è quella degli "oppressori che sostengono questo sistema nefasto" (p. 142).

     

    Gruppi nascosti che tramano la sovversione

    Gustavo Gutiérrez riconosce espressamente (pp. 127, 166, 262) che i sostenitori della sua tesi costituiscono una minoranza in America Latina. A pagina 115 sembra voler limitare ulteriormente l'estensione del movimento parlando di "gruppi più attenti". Ma nelle pagine 129 e seguenti troviamo la vera natura di quel movimento: il lavoro per il cambiamento sociale è guidato da entità nascoste. L'autore, parlando dell'azione rivoluzionaria sviluppata dai gruppi cristiani, dice: "In termini concreti, tutto ciò significa spesso coinvolgimento in gruppi politici rivoluzionari. La situazione politica dell'America Latina e la sovversione dell'ordine attuale sostenuta da questi gruppi li pone necessariamente in una certa clandestinità" (enfasi aggiunta). Continua poi a spiegare perché la sovversione sociale non può essere portata avanti da gruppi che esistono alla luce del sole, come l'Azione Cattolica: "Tra l'altro perché la radicalizzazione politica tende a uniformare - e ad appassionare - le opzioni, e perché il tipo di attività che si svolge non permette di esprimersi con assoluta franchezza. Lo schema dell'Azione Cattolica dei Lavoratori è valido in una società più o meno stabile e dove il gioco politico si gioca alla luce del sole".

    Come si può vedere, siamo dichiaratamente in presenza di una cospirazione che, in nome del cristianesimo, vuole distruggere la Civiltà Cristiana e impiantare una società di tipo marxista. È impossibile non collegare le rivendicazioni della "Teologia della Liberazione" con i cosiddetti "gruppi profetici" e l’IDO-C, organizzazioni semiclandestine di carattere internazionale, attive tra i cattolici che cercano di sovvertire l'ordine sociale cristiano per imporre il comunismo (vedi "Tradizione e Azione", n. 2-3)2.

    Gutiérrez parla, ancora una volta in modo poco chiaro, dell'influenza che, secondo lui, queste correnti radicali avrebbero avuto sul Concilio. A titolo di documentazione per il lettore, trascriviamo questo oscuro passaggio: “L'impulso iniziale per questo (scopo, cioè la revisione radicale della Chiesa) può essere stato dato dal Concilio, soprattutto per la maggioranza dei cristiani, ma oggi il movimento ha una sua dinamica in un certo qual modo autonoma. Il fatto è che in esso convergono altre correnti, che in un dato momento l’evento conciliare sembrava assimilare e incanalare, ma che non perdettero le loro energie le quali oggi ricompaiono in pieno giorno" (p. 310).

     

    Perché promuovere la sovversione dall'interno della Chiesa?

    Come si può percepire da quanto sopra, si tratta di un piano ben congegnato per condurre le masse cattoliche ad una posizione che, se fosse chiaramente presentata, esse rifiuterebbero. Questa è anche la ragione per cui questi marxisti da sacrestia sottolineano categoricamente il fatto d’ ispirarsi al Vangelo. Quando si mostrano allo scoperto vengono respinti; allora è necessario camuffarsi. Un travestimento che a volte, come nel caso di "Teologia della Liberazione", nasconde rozzamente il lupo che sta dietro, formando così una figura grottesca in cui la pelle è quella di una pecora, ma con il muso e gli artigli di un lupo, che ulula come un lupo, e il cui respiro è maligno e insopportabile per un vero cattolico.

    Ecco le parole dello stesso Gutiérrez sulla costituzione di questi nuclei sovversivi: "In un buon numero di paesi, si è osservata la creazione di gruppi sacerdotali - con caratteristiche non previste dal Diritto Canonico! -per incanalare e rinforzare questa nascente inquietudine. Predominante in questi gruppi è la volontà di impegnarsi nel processo di liberazione e il desiderio di cambiamenti radicali sia nelle attuali strutture interne della Chiesa latinoamericana sia nelle forme della sua presenza e azione in un subcontinente in situazione rivoluzionaria" (p. 133 - enfasi aggiunta). In una nota, i "Sacerdoti per il Terzo Mondo" (Argentina), il "Movimiento Sacerdotal ONIS" e altri sono citati come esempi.

    Tuttavia, più rivelatrici dei piani di questa nuova chiesa, messa al servizio del comunismo, sono le parole di Jorge Vernazza scritte a nome dei "Sacerdoti per il Terzo Mondo" e che "Teologia della Liberazione" riproduce. Si tratta di una lettera indirizzata al capo del movimento "profetico" francese "Echanges et Dialogues", che dà le ragioni per cui in America Latina i sovversivi rimangono all'interno della Chiesa, anche come sacerdoti. I termini, come vedremo, sono chiari, rivelando che ci troviamo davanti a una mera tattica per trascinare la popolazione del nostro continente, ancora molto attaccata alla Chiesa, nel loro campo. Ecco il testo: "Il nostro obiettivo essenziale non è quello di porre fine alla nostra situazione di chierici, ma di impegnarci come sacerdoti nel processo rivoluzionario latinoamericano (...). L'America Latina esige soprattutto una salvezza che si verificherà nella liberazione da uno stato multisecolare di ingiustizia e oppressione. Ed è la Chiesa che deve annunciare e promuovere questa liberazione, la Chiesa che agli occhi del popolo è indissolubilmente legata all'immagine e alla funzione sacerdotale... Quindi, anche se le nostre azioni e dichiarazioni ci porteranno - come di fatto ci hanno già portato – ad attriti e a sospetti con la maggior parte della Chiesa 'ufficiale', è nostra precipua preoccupazione non apparire emarginati da essa per non diminuire l'efficacia della nostra azione, giacché è la Chiesa che crediamo abbia, nei confronti del popolo, una enorme efficacia di coscientizzazione” (enfasi aggiunta, p. 185).

    Come si vede, una chiara confessione che essi rimangono nella Chiesa, e persino come sacerdoti, perché altrimenti perderebbero la loro reputazione influente tra la gente, e non potrebbero trascinarla sulla via del comunismo. La Chiesa è quindi per loro uno strumento di sovversione. Farisaismo e cinismo combinati. Veramente ripugnante.

     

    La nuova chiesa, la nuova società, l'uomo nuovo.

    Non sorprende che, una volta poste in questa prospettiva, le pagine del libro siano costellate di attacchi, diretti o velati, alla Chiesa cattolica come è sempre stata intesa da Papi, Santi e Dottori nel corso dei secoli. Lo zelo per l'ortodossia, per la morale, l'amore per le istituzioni, per i costumi tradizionali, nulla sfugge alla furia progressista di "Teologia della Liberazione". "Smascherando" gli errori modernisti, il libro sostiene che la fede stessa deve avere una nuova concezione. Nel corso delle pagine, si moltiplicano frasi come questa, già presente nell'Introduzione: "C'è stato un tempo, infatti, in cui la Chiesa rispondeva ai problemi che le venivano posti facendo appello imperturbabilmente alle sue riserve dottrinali e vitali".

    Si tratta quindi di una nuova chiesa che vuole costruire sulle macerie della vera Chiesa Cattolica, Una, Santa e indistruttibile, approfittando così del suo prestigio e della sua influenza.

    A cosa porta, nelle sue ultime conseguenze, questo nuovo misticismo e questa nuova teologia? Qui entriamo pienamente nel campo dell'imprecisione e dell'ambiguità a cui abbiamo già fatto riferimento. Non entreremo in una considerazione dettagliata di questo argomento, perché ci vorrebbe troppo tempo. Basti dire per ora che gli abbondanti passaggi della "Teologia della Liberazione" che trattano l'argomento tendono a negare l'ordine soprannaturale e a ridurre lo scopo dell'uomo alla costruzione della città terrena. Non ci sarebbe un paradiso celeste da conquistare e un inferno da evitare, non ci sarebbe soprattutto un Dio trascendente da adorare.

    L'obiettivo sarebbe quello di costruire una nuova società, guidata dal mito dell'uguaglianza totale, basata su una nuova moralità e una nuova carità. Il nuovo Dio di questa società sarebbe l'umanità, adorata attraverso un nuovo culto in una nuova chiesa? Per questo, ciò che è più necessario è un cambiamento nella natura umana.

    Per quanto ci siamo sforzati, non riusciamo a vedere quale novità questo porti alla vecchia teoria marxista di una nuova società e di un nuovo uomo da costruire. Tranne, naturalmente, l’aggiunta di di una patina di cristianesimo.

    Fortunatamente senza la pretesa, come abbiamo già detto, di approfondire la questione, riproduciamo per la considerazione del lettore due testi. Il primo è tratto dal libro che abbiamo davanti. Il secondo da un articolo scritto dall'autore marxista Gajo Petrovic e pubblicato in una rivista ufficialmente marxista. Il carattere in grassetto è nostro, le conclusioni saranno del lettore.

    1.- "Cercare la liberazione del subcontinente va oltre il superamento della dipendenza economica, sociale e politica. È, più profondamente, vedere l'evoluzione dell'umanità come un processo di emancipazione dell’uomo lungo la storia, orientato verso una società qualitativamente diversa, in cui l'uomo è libero da ogni servitù, in cui è artefice del proprio destino. È cercare la costruzione di un uomo nuovo" (p. 121).

    2.- La rivoluzione è solo la costruzione di una società qualitativamente diversa(...). Un cambiamento radicale della società può avvenire solo attraverso la trasformazione delle strutture sociali? Considero sbagliato pensare che la trasformazione delle strutture sociali possa essere separata dalla trasformazione dell'uomo o che la trasformazione dell'ordine sociale possa precedere la trasformazione dell'uomo, che invece dovrebbe avvenire automaticamente. La trasformazione della società e la creazione di un uomo nuovosono possibili solo come aspetti strettamente legati di uno stesso processo" (Humanisme et Révolutionin "L'Homme et la Societé", n. 21, luglio-agosto-settembre 1971, pp. 201/2).

     

    Il vero significato dell'ecumenismo

    Il libro analizzato ci fornisce dati anche per verificare il significato più profondo dell'ecumenismo tra i progressisti. Non è nemmeno una sintesi di varie religioni per arrivare alla verità - una posizione già di per sé condannabile - ma un'unione intorno a obiettivi sovversivi.

    "Si fa sempre più frequente l’incontro di cristiani di diverse confessioni nella stessa opzione politica. Questo sta portando alla formazione di gruppi ecumenici (...) in cui i cristiani condividono la loro fede e i loro sforzi per creare una società più giusta" (p. 130).

     

    Un libro obsoleto

    Un'ultima osservazione è d'obbligo. La fedeltà di Gutiérrez alle norme rivoluzionarie classiche lo rende, in queste circostanze, un po' antiquato.

    Il suo libro sarebbe stato perfettamente sulla cresta dell'onda se fosse stato scritto una ventina di anni fa. Oggi, tuttavia, l'evidente fallimento economico e ideologico del comunismo in tutto il mondo ha costretto i suoi leader internazionali a cambiare le loro tattiche per sopravvivere.

    Con l'agricoltura sovietica regredita a uno stato di produzione inferiore a quello dei tempi degli zar, quando la Russia era chiamata "il granaio del mondo", la dirigenza moscovita si è trovata nella posizione di importare favolose quantità di grano e altre materie prime dall'Occidente. Nel settore industriale, il Cremlino non può più nascondere al mondo la sua smania di importare tecnici, “know-how” e persino interi centri industriali.

    Da un punto di vista ideologico, il fallimento non è stato meno clamoroso. Da più di mezzo secolo il comunismo, avendo tutto a disposizione per convincere il mondo dei suoi principi - denaro, abbondante propaganda, partiti politici legali, ecc. - non solo non è riuscito a persuadere gli occidentali, ma nemmeno a far accettare la sua dottrina da coloro che domina. Da qui la sua assoluta necessità, per sostenersi, di fare dei paesi dietro la cortina di ferro delle vere e immense prigioni, le più grandi e odiose che la storia abbia mai conosciuto, come ha denunciato recentemente il fisico dissidente Sahkarov. E, se vogliamo tornare all'esempio cileno, ancora vivo tra noi, basta ricordare i continui scioperi di operai, camionisti, ecc. in opposizione al deposto regime marxista, in una clamorosa smentita della teoria secondo cui i poveri sono i beneficiari del marxismo e quindi le colonne portanti delle cosiddette "democrazie popolari".

    Di fronte alla rovina che minacciava l'imperialismo sovietico, soprattutto di fronte al crescente malcontento della popolazione che opprimeva, i dirigenti internazionali della propaganda rossa non avevano alternative. Hanno dovuto rivolgersi all'Occidente e chiedere aiuto. Per questo sono stati costretti a cambiare la loro tattica e a presentarsi sorridenti. Si arrivò al punto che letteralmente - come fu riportato dalla stampa mondiale - Brezhnev si fece radere parte delle sue sopracciglia, che, essendo così folte, gli davano un aspetto minaccioso... Il comunismo della "faccia feroce" fu sostituito da un comunismo apparentemente cordiale, amichevole, sorridente, bonario. Questa tattica è il "nuovo look" del comunismo. Questo è il mezzo con cui ora cerca di realizzare i suoi malvagi disegni e ingannare gli incauti.

    Ora, se anche quanti si proclamano comunisti si vantano di pretendere di dialogare, come si spiega il fanatismo di coloro che presentano il loro marxismo sotto le vesti del cristianesimo? “Teologia della Liberazione" non è certo un libro di dialogo. L'autore passa ogni pagina a digrignare i denti e a mostrare gli artigli al lettore.

    Sarà che, siccome il processo di comunicazione in America Latina è in ritardo, qui vogliono ancora usare la tattica della violenza? O sarà che Gutiérrez, nel suo entusiasmo, non si è reso conto che il gioco stava cambiando e quindi è diventato obsoleto?

    Lasciamo la soluzione di questo interessante problema alla riflessione del lettore, perché ci porterebbe lontano dagli obiettivi che ci siamo posti. In ogni caso, resta il fatto che il libro di Gutiérrez non è aggiornato rispetto alle ultime manovre della rivoluzione marxista.

     

    Conclusione

    Bene, cari lettori, crediamo di aver raggiunto l'obiettivo che ci eravamo prefissati di far sfilare davanti ai vostri occhi un campione, il più vasto possibile per gli stretti confini di un articolo, della dottrina di Gustavo Gutiérrez nel libro "Teologia della Liberazione". E con questo mezzo, ad alcuni, già informati di tali deviazioni, abbiamo voluto confermarli nella fede, e ad altri, che forse non hanno avuto il tempo di approfondire questo tipo di "letteratura", aiutarli ad aprire gli occhi per vedere dove la corrente progressista vuole portarci. Anche quando i loro libri si presentano, ahimè, sotto le spoglie di un personaggio sacerdotale.

    In questi tempi di confusione è più che mai necessario chiedere alla Madre di Dio di ottenerci la grazia di una fedeltà che resista alla prova del tempo. Fedeltà a cosa? La fedeltà alla dottrina tradizionale della Chiesa, che ci è stata insegnata fin da Gesù Cristo, che ci ha dato dogmi infallibili che niente e nessuno può alterare, e che sola è capace di prepararci ai giorni terribili che, secondo la profezia di Fatima, si stanno avvicinando.

    "Tu però rimani saldo in quello che hai imparato e che credi fermamente. Conosci coloro da cui lo hai appreso e conosci le sacre Scritture fin dall’infanzia: queste possono istruirti per la salvezza. (...).

    "Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, pur di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo i propri capricci, 4rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro alle favole" (II Tim 3,14-15 e 4, 3-4).

     

    Note

    1. Sergio Méndez Arceo, allora vescovo di Cuernavaca in Messico, uno degli ispiratori di spicco della Teologia della Liberazione.
    2. L’ IDO-C era nato nel 1965 dalla fusione del DO-C, agenzia informativa dell’episcopato olandese, con il CCCC, Centro di Coordinamento delle Comunicazioni Conciliari, diventando la più vasta rete mondiale di notizie e commenti destinai ai grandi media progressisti, sia cattolici che laici. Insieme alla rete semi-segreta costituita dai cosiddetti “gruppi profetici”, l’IDO-C fu denunciato nel 1969 dalle TFP come responsabile della diffusione capillare degli errori del neo-modernismo, allo scopo di instaurare una Chiesa “desacralizzata, demistificata, disalienata e ugualitaria”.)

     

    Fonte: Tradición y Acción, 1973. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte.

  • Un protagonista della vita della Chiesa

     

     

    di Julio Loredo

    Si è spento un protagonista della vita della Chiesa, a cavallo fra due secoli e due millenni.

    Prima come teologo, professore universitario e peritus conciliare, poi come arcivescovo di Monaco di Baviera, cardinale di Santa Romana Chiesa, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e, finalmente, come Sommo Pontefice col nome di Benedetto XVI fino alle sue controverse dimissioni nel 2013, la figura di Joseph Aloisius Ratzinger è stata al centro della vita della Chiesa (e quindi del mondo) per oltre sessant’anni. La notevole durata di tale protagonismo, l’estrema complessità delle vicende in cui fu coinvolto, la sua fermezza nell’intervenire in alcune delle questioni più roventi del nostro tempo, ha fatto sì che la sua vita fosse segnata da valutazioni contrastanti, che di certo non si rimargineranno dopo la sua morte.

    È per questo che colpisce l’estensione e il vigore del movimento di affetto, riconoscimento e simpatia sollevato alla notizia della sua scomparsa, dolorosa per quanto ormai attesa. Non mi riferisco principalmente ai commentatori e opinionisti, che si sono prodigati in panegirici al defunto Pontefice, ma soprattutto al pubblico che, in numeri molto sorprendenti, si è riversato in piazza San Pietro per rendergli l’ultimo omaggio. Anche i social brulicano di commenti in tale senso. A riprova di quanto sia robusta e radicata la reazione conservatrice della quale egli era diventato simbolo e punto di convergenza. Questa reazione costituisce una delle grandi novità del nostro tempo.

    Ed è proprio da questo carattere di “reazione” che inizio il mio breve commento.

    L’immediato post-Concilio fu marcato da ciò che mons. Brunero Gherardini chiamò “una grandiosa ininterrotta celebrazione”. Tutti ne parlavano bene e molto, anzi troppo, specie quella “magna comitante caterva di chi riecheggia sempre, s’accoda sempre, s’uniforma sempre”[1].

    Interpretando il sentimento di un numero crescente di fedeli, il primo che ebbe il coraggio di rompere ufficialmente l’unanimismo celebrativo fu proprio il cardinale Ratzinger, in una mossa che il prof. Plinio Corrêa de Oliveira commentò in questo modo: “Quando nel 1984 un uomo di rilevante intrepidezza apostolica ebbe il coraggio di tracciare, con qualche forte parola, un quadro sommario, successe in Occidente come se una bomba avesse fatto udire la sua detonazione nel mondo intero. Chi è stato quell’uomo? Un teologo di fama mondiale, un’alta figura nella vita della Chiesa, insomma il cardinale tedesco Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede”[2].

    Il leader brasiliano si riferiva concretamente alla durissima critica che, in aperto contrasto con lo spirito dell’Ostpolitik vaticana, il porporato faceva al comunismo, chiamandolo “vergogna del nostro tempo”. Le critiche del Prefetto, però, non si fermavano lì.

    La sua fu la prima denuncia complessiva della crisi post-conciliare da parte di un alto prelato della Chiesa. Nell’ormai celebre intervista a Vittorio Messori, egli infatti dichiarava: “È incontestabile che gli ultimi vent’anni sono stati decisamente sfavorevoli per la Chiesa cattolica. I risultati che hanno seguito il Concilio sembrano crudelmente opposti alle attese di tutti. [...] I Papi e i Padri conciliari si aspettavano una nuova unità cattolica e si è invece andati incontro a un dissenso che – per usare le parole di Paolo VI – è sembrato passare dall’autocritica all’autodistruzione. Ci si aspettava un nuovo entusiasmo e si è invece finiti troppo spesso nella noia e nello scoraggiamento. Ci si aspettava un balzo in avanti e ci si è invece trovati di fronte a un processo progressivo di decadenza”. E concludeva: “Va affermato a chiare lettere che una reale riforma della Chiesa presuppone un inequivocabile abbandono delle vie sbagliate che hanno portato a conseguenze indiscutibilmente negative[3].

    L’autorevolezza di tale denuncia portò Plinio Corrêa de Oliveira a inserirla nei “Commenti” in calce al suo capolavoro Rivoluzione e Contro-Rivoluzione[4].

    Le perplessità espresse dal Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede non erano tuttavia nuove. Le aveva già manifestate quarant’anni prima lo stesso Plinio Corrêa de Oliveira nel libro In difesa dell’Azione Cattolica[5].

    In un’intervista rilasciata nel 1990, il leader brasiliano rilevava le somiglianze fra le denunce da lui fatte nel 1943, e quelle del cardinale Ratzinger nel 1984: “C’è chi trova somiglianze tra le considerazioni del Cardinal Ratzinger nel suo celebreRapporto sulla fede e quello che io scrissi nei lontani anni 40 sul progressismo teologico, morale e socio-economico che iniziava a nascere in ambito brasiliano. Come sarebbe stato meglio per la Chiesa che mi fossi sbagliato, che quegli errori non fossero esistiti e che non si fossero propagati per tutto il mondo!”[6].

    Gli anni Sessanta e Settanta videro l’ascesa incontrastata in America Latina della cosiddetta Teologia della liberazione, di ispirazione marxista. La “pacchia” finì con l’elezione di Giovanni Paolo II. Nel suo intervento alla III Assemblea Generale della CELAM, nel gennaio 1979, Papa Woytila fustigò duramente questa scuola. Scrive il socialista argentino Diego Facundo Sánchez: “Bastarono pochi minuti di intervento [del Papa] e fu subito chiaro che per la Chiesa latinoamericana e per la Teologia della liberazione si apriva una fase completamente diversa”[7].

    Questa “fase completamente diversa” ebbe come protagonista proprio il cardinale Joseph Ratzinger.

    Il 6 agosto 1984, a firma del cardinale Ratzinger e con l’approvazione di Papa Giovanni Paolo II, la Congregazione per la Dottrina della Fede pubblicò l’Istruzione «Libertatis Nuntius, su alcuni aspetti della teologia della liberazione», da più parti ritenuta una vera e propria condanna di questa teologia. Il clima cambiò. Fino a quel momento gli avversari della Teologia della liberazione avevano operato in un sostanziale vuoto di Magistero. Il messaggio di Giovanni Paolo II a Puebla, seguito dalla summenzionata Istruzione, sembrò segnare, invece, un inizio di svolta.

    A questo seguì la condanna di Leonardo Boff, uno dei protagonisti della Teologia della liberazione. E anche questa mossa fu salutata da Plinio Corrêa de Oliveira come “di un valore incalcolabile. (…) Costituisce una misura di peso per la disintossicazione spirituale di tanti ambienti cattolici infiltrati dal marxismo”[8].

    Bisogna aver vissuto sulla pelle il cataclisma dell’era post-conciliare per capire la sensazione di sollievo che, come un getto d’acqua sulle fiamme di un incendio, significarono quegli interventi.

    “Con l’apparizione dell’Istruzione del cardinale Ratzinger (…) qualcosa è mutato in questo desolante panorama”, scrisse Plinio Corrêa de Oliveira, “Per chi si affligge davanti a questo scenario, che per ora è tragico ma che potrà in breve diventare apocalittico (…), è come se, durante un incendio, si avvertisse giungere, insospettatamente, un getto di acqua fresca e benefica lanciato da un idrante dei pompieri. In qualità di Presidente del Consiglio Nazionale della TFP brasiliana (…) spetta a me il dovere di giustizia di manifestare qui la gioia, la gratitudine e soprattutto la speranza che provo nell’avvertire, in mezzo all’incendio, l’arrivo di questo sollievo”[9].

    La speranza del leader cattolico brasiliano si fondava sull’attesa che seguissero altri passi nella stessa direzione: “Io penso che un solo getto d’acqua non spegne un incendio; questo non impedisce però di accoglierlo come un sollievo. Tanto più che non possiamo provare che questo getto d’acqua resterà l’unico”. L’illustre pensatore si augurava quindi che fossero eretti “ostacoli dottrinali e pratici. È il nostro dovere sperare che tali ostacoli vengano eretti”.

    Come Sommo Pontefice, Benedetto XVI eresse non pochi ostacoli dottrinali e pratici, anticipati dalla sua ormai storica omelia nella Missa pro eligendo Romano Pontifice. Vengono subito in mente la sua difesa dei “principi non negoziabili”, che tracciava l’invalicabile linea di difesa della Chiesa di fronte alla crisi contemporanea, e il Motu proprio Summorum Pontificum, che dichiarava ufficialmente che la liturgia tradizionale non era mai stata abrogata e che qualsiasi sacerdote di rito latino poteva celebrarla, con tutto ciò che esso implicava. Per non parlare della sua accorata difesa della Civiltà cristiana europea.

    Questi e altri simili provvedimenti consolidarono e dilatarono la reazione conservatrice che trovò in lui, come detto prima, un simbolo e un punto di convergenza. Ogni reazione contiene alla radice due elementi: un malessere nei confronti di certe situazioni, che sfocia in un loro rigetto, e un anelito per qualcosa di profondamente diverso, anzi opposto.

    Le prese di posizioni del cardinale Joseph Ratzinger, poi Benedetto XVI, intercettavano molto bene questo malessere, dandogli struttura e autorevolezza. Fino a che punto contenevano anche un loro rigetto e, soprattutto, l’anelito del loro contrario? In altre parole, fino a che punto costituivano una Contro-Rivoluzione? È una questione che il dibattito storico dovrà in futuro chiarire.

    Autorevoli vaticanisti, tra cui Gian Guido Vecchi sul Corriere della Sera[10], riconoscendo al defunto Pontefice il ruolo di conservatore, gli attribuiscono anche quello di katéchon, cioè “colui che trattiene”.  In questi anni, secondo Vecchi, citando fonti vaticane, “Benedetto XVI ha rappresentato (…) un elemento decisivo di stabilizzazione e di distensione”, evitando che le polemiche sfociassero in aperto conflitto: “Ratzinger ha trattenuto le spinte centrifughe più evidenti”. Un commento del tutto simile è offerto da Massimo Franco, per cui “la morte del papa emerito Benedetto XVI fa vacillare gli equilibri vaticani”. Secondo il noto vaticanista, Benedetto XVI “ha permesso di frenare le spinte delle frange radicali”[11]. In altre parole, mentre da una parte intercettava, agglomerava e guidava la reazione conservatrice, dall’altra impediva che essa camminasse verso le sue naturali conseguenze.

    La sua scomparsa cambia radicalmente le carte in tavola. Mentre preghiamo per l’anima di questo protagonista della vita della Chiesa contemporanea, ci rivolgiamo alla Madonna, Madre di Misericordia, affinché illumini i fedeli nei difficili tempi che ci aspettano nell’immediato futuro.

     

    Note

    [1] Brunero Gherardini, Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Casa Mariana Editrice, Frigento, 2009, p. 13.

    [2] Plinio Corrêa de Oliveira, Comunismo e anticomunismo alle soglie dell’ultima decade di questo millennio, Corriere della Sera, 7-3-1990.

    [3] Vittorio Messori a colloquio con il cardinale Ratzinger. Rapporto sulla Fede, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1985, pp. 27-28.

    [4] Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, Luci sull’Est, Roma, 1998, p. 170.

    [5] Plinio Corrêa de Oliveira, In difesa dell’Azione Cattolica, São Paulo, Ave Maria, 1943.

    [6] Cfr. Tradición, Familia, Propiedad - Un ideal, un lema, una gesta, São Paulo, Brasile, 1990, pp. 52-61. Per una disanima delle somiglianze tra le denunce del leader cattolico brasiliano e del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, si veda Os erros realmente existiam!Plinio Corrêa de Oliveira tinha razão. Catolicismo compara as denúncias do “Em Defesa da Ação Católica” com advertências recentes do Cardeal J. Ratzinger, Catolicismo N° 512, agosto 1993.

    [7] Diego Facundo Sánchez, Teologia della Liberazione. Lo scontro con Wojtyla e Ratzinger, Roma, Datanews, 2010, p. 46.

    [8] Dichiarazione della TFP brasiliana sulla condanna di errori contenuti nell’opera “Chiesa: Carisma e Potere. Saggio di ecclesiologia militante” di padre Leonardo Boff O.F.M., Cristianità, N° 121, maggio 1985, pag. 5.

    [9] Plinio Corrêa de Oliveira, Un getto d’acqua sull’incendio, Folha de S. Paulo, 10-12-1984.

    [10] Gian Guido Vecchi, L’ala più conservatrice ora può perdere ogni freno. La fronda «americana» spingerà contro Francesco?, Corriere della Sera, 3 gennaio 2023.

    [11] Massimo Franco, L’anomalia che dava stabilità, Corriere della Sera, 2 gennaio 2023.

     

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