L'eredità del '68
Il ‘68 cattolico
Un’analisi anche sommaria degli errori ed eresie che hanno funestato la Chiesa negli ultimi duecento anni, dal cattolicesimo liberale alla teologia della liberazione, rivela una constante: si tratta sempre di infiltrazioni in seno al cattolicesimo, di tendenze ed idee rivoluzionarie già largamente dominanti nella sfera temporale all’insegna della "modernità". Mossi da quella biasimevole "smania di novità" denunciata da Leone XIII nella Rerum novarum, i progressisti di ogni epoca si sono giustificati sostenendo di voler semplicemente venire incontro a queste tendenze, mettendo la Chiesa in riga con i nuovi tempi.
"I cattolici sono inferiori ai loro avversari semplicemente perché non hanno ancora accettato quella grande Rivoluzione che diede origine alla nuova società e alla nuova vita dei popoli. (...) Noi invece accettiamo, invochiamo i principi e le libertà proclamati nel 1789", dichiarava Charles de Montalembert nel celebre discorso di Malines (1863), considerato il "Manifesto del cattolicesimo liberale" (1).
"Il nostro atteggiamento religioso vuol essere semplicemente di cristiani e di cattolici, viventi in armonia con lo spirito del loro tempo. (...) Al nostro secolo abbiamo cercato di avvicinare parlando il suo linguaggio e pensando il suo pensiero", si giustificava Ernesto Buonaiuti dopo la dura condanna di S. Pio X al Modernismo, nel 1907 (2).
"L’umanità è spinta da un’irresistibile movimento in avanti. (...) Il processo storico è intrinsecamente irreversibile. (...) Dobbiamo riconoscere ed assumere le verità nascoste in questo processo", scriveva nel 1947 Jacques Maritain, il filosofo della svolta a sinistra nell’Azione Cattolica (3).
Anche le tendenze sessantottine fecero breccia nella Chiesa. A denunciarlo è il Cardinale Joseph Ratzinger: "L’adesione ad un marxismo anarchico ed utopistico (...) è stata sostenuta in prima linea da tanti cappellani universitari e di associazioni giovanili, i quali vi vedevano lo sbocciare delle speranze cristiane. Il fatto dominante si trova negli avvenimenti del maggio 1968 in Francia. Sulle barricate v’erano dominicani e gesuiti. L’intercomunione realizzata durante una messa ecumenica in sostegno alle barricate fu ritenuta una specie di pietra miliare nella storia della salvezza, una sorta di rivelazione che inaugurava una nuova era del cristianesimo" (4).
Le radici di questo ‘68 cattolico risalgono a qualche anno prima. Dalle frange estreme di quella Nouvelle théologie, ispirata all’esistenzialismo e condannata da Pio XII nel 1950 (5), era nata la "teologia politica" e poi la "teologia della liberazione", tutte e due fortemente segnate dal pensiero marxista. L’esplosione avvenne negli anni 1960, in coincidenza col periodo post-conciliare. "Quasi fulmineamente cambiò il paradigma culturale — commenta il Cardinale Ratzinger — in breve tempo, quasi nello spazio di una notte, lo schema esistenzialistico crollò e fu sostituito da quello marxista. (...) La distruzione della teologia avveniva attraverso la sua politicizzazione in direzione del messianismo marxista" (6).
In conseguenza di questo cambio di "paradigma culturale", gli anni 1960 furono per la Chiesa italiana "un periodo di grande inquietudine", per usare l’espressione di Paolo VI (7).
Qualche avvisaglia c’era già stata in Italia. Ricordiamo il gruppo "Il Gallo" fondato nel 1946 a Genova da Nando Fabbro. Ricordiamo padre Camillo Da Piaz e padre David Maria Turoldo, animatori della Corsia dei Servi, a Milano, di un centro di riflessione dove si leggevano Maritain, Mouner e i teologi della Nouvelle théologie.
Arrivando poi al ‘68, chi può dimenticare la contestazione degli studenti della Cattolica in Piazza S. Pietro? L’occupazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano, con il Rettore chiuso per 15 giorni nel suo ufficio? L’occupazione del Duomo di Trento e della Facoltà di Sociologia, appoggiata da nove preti? La riunione a Bologna di oltre seicento "cristiani di base" che auspicava "l’azione comune di credenti e non credenti per una nuova sinistra in Italia"? L’incontro a Rimini dei "Gruppi spontanei"? L’occupazione della cattedrale di Parma per mano dei "cristiani di base" che chiedevano "una chiesa povera e libera dall’autoritarismo"? La solidarietà agli occupanti della comunità dell’Isolotto di Don Mazzi, nonché di altre due parrocchie di Firenze? La contestazione al Papa sulla piazza della Vittoria, a Taranto, dove egli si era recato per celebrare il Natale nelle acciaierie?
A Torino nasce la comunità del Vandalino, a Genova il movimento dei Camillini e poi la comunità di Oregina, intorno a padre Agostino Zerbinati. La contestazione dilaga ad Udine, a Napoli, a Verona dove un gruppo di francescani contrasta apertamente i vertici dell’Ordine. Quando Paolo VI pubblica l’Humanae vitae, scoppiano le proteste di piazza, qualificate dallo stesso Pontefice "manifestazioni anarchiche di contestazione globale" (8).
Non pochi, come ha ricordato Benedetto XVI, pensavano che "con la grande crisi scatenata dalla lotta culturale del ‘68, realmente sembrava tramontata l’epoca storica del cristianesimo. (...) Per tale movimento culturale, il tempo della Chiesa e della fede in Cristo era considerato finito" (9).
In realtà, però, questo ‘68 cattolico ebbe una vita effimera. Secondo lo storico Antonio Acerbi, "non è stata una questione di repressione ma di carenza di significatività religiosa". Con lui si trovava d’accordo il memorialista più vicino al dissenso, Mario Cominetti: "L’errore fu d’aver preteso di liquidare il mondo cattolico attraverso un’azione e un cambiamento politico, sottovalutando l’importanza dei valori religiosi per grandi masse" (10).
La contestazione cessò, le barricate sparirono, i ragazzi si calmarono. Ma la caligine del ‘68 continuò insozzando larghe fasce del mondo cattolico. Oggi in chiesa, per esempio, si vedono ragazze vestite in modo non molto diverso delle più spinte "Passionarie" delle barricate. Ciò che allora era visto come contestazione estrema, oggi è diventato quotidiano. Ecco il vero trionfo del ‘68.
Note
1. Citato in Emmanuel Barbier, Histoire du Catholicisme libéral et du catholicisme social en France, Bordeaux, Imprimerie Y. Cadoret, 1924, Vol. 1, pp. 233-234.
2. Anonimo (presumibilmente Ernesto Buonaiuti), Il programma dei modernisti. Risposta all’enciclica di Pio X "Pascendi Dominici Gregis", Torino, Fratelli Bocca, 1911, pp. 7, 10.
3. Jacques Maritain, Humanisme intégral, Parigi, Aubier, 1947, pp. 146-147.
4. Cardinale Joseph Ratzinger, Les principes de la théologie catholique, Parigi, Téqui, 1985, p. 433.
5. Enciclica Humani generis. Vedere anche l’Allocuzione ai Padri Gesuiti in occasione della loro XXIX Congregazione Generale, 17 settembre 1946. Nonché l’Allocuzione ai Frati Dominicani in occasione del loro Capitolo Generale, cinque giorni dopo.
6. Joseph Ratzinger, La mia vita. Autobiografia, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 1997, pp. 103-104.
7. Allocuzione al Pontificio Seminario Lombardo, 7 dicembre 1968. Insegnamenti di Paolo VI, Roma, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1968, VI, p. 1188.
8. Vedere Dal "centrismo" al sessantotto, a cura di Marco Invernizzi e Paolo Martinucci, Edizioni Ares, Milano, 2007. Per una bibliografia esaustiva, vedere il sito
9. Citato in Piero Gheddo, PIME, Il vescovo partigiano, EMI, 2008.
10. Citato in Tonino Armata, Il ‘68, quel mondo che volevamo cambiare, 19-03-2008.