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Editoriale

 

Due anniversari nefasti

 

Una ragazza, una bandiera, un simbolo...

Lo stendardo nero dell’anarchia sventola sulla Città Luce. Siamo nel maggio 1968 e a Parigi è scoppiata la rivoluzione della Sorbonne, auge ed epitome d’una insurrezione giovanile che ormai infuriava in quasi tutto il mondo. Non era un’insurrezione qualunque. I suoi alfieri parlavano d’una "rivoluzione totale" per provocare "la disintegrazione del sistema". Si proclamava la "morte della civiltà". 

Ci sono certe date che segnano la storia. Tali furono il 1789 della Rivoluzione francese e il 1917 della Rivoluzione russa. Tale fu anche il 1968. Secondo Time " il ‘68 fu un rasoio che separò il passato dal futuro". Vero, ma solo nel senso che il ‘68 fu l’anno cruciale ed emblematico di un gigantesco processo rivoluzionario, di cui le prime avvisaglie risalivano a molti anni prima e il cui compimento si ebbe solo qualche tempo dopo, nella forma d’una generale trasformazione nei comportamenti delle genti, nel loro abbigliamento, nella vita quotidiana, nell’educazione, nella cultura. Apparentemente sconfitta, la rivoluzione del ‘68 fu invece la più vittoriosa della storia.

Vittoriosa perché subdola. Vittoriosa perché, a differenza di altre rivoluzioni, si diffuse in forma quasi esclusivamente culturale e tendenziale. Vittoriosa perché la società moderna non seppe, o non volle, contrastarla nel suo spirito, lasciando che si diffondessi come macchia d’olio. Oggi le ragazze di famiglie conservatrici si vestono come nemmeno le Passionarie delle barricate osavano e la musica, che nel ‘68 era pegno di rivoluzione, viene suonata perfino in chiesa...

Si suole dire, con perfetta ragione, che la crisi odierna è frutto della tremenda scristianizzazione che ha colpito l’Occidente, facendogli perdere il senso religioso della vita. Nel ricordare il 40° anniversario della Sorbonne, non possiamo non rilevare come oggi ci siano segni d’una forte ripresa spirituale, specie fra i giovani. Una ripresa che, però, non ha ancora trovato espressioni tendenziali che gli permettano di porsi come alternativa culturale al ‘68. Sicché ci troviamo nella situazione alquanto paradossale d’una reazione antisessantottina che, però, troppo spesso si manifesta con modi prettamente sessantottini...

Ma ricordiamo pure un altro nefasto anniversario.

Il 21 gennaio 1977, per 310 voti a favore e 296 contro, passava in prima votazione a Montecitorio la legge 194 sull’aborto, promulgata poi il 22 maggio 1978. Evitando ad ogni costo un dibattito nazionale, il partito allora maggioritario si assunse non solo la responsabilità dell’esito della votazione ma addirittura, nel dicembre del ‘79, la difesa della legge di fronte alla Corte Costituzionale.

Il risultato è stato un fiume di sangue innocente che, purtroppo, non accenna a rallentare...

Trent’anni dopo, frutto di profondi cambiamenti nell’opinione pubblica, sembra che stia sorgendo una rinnovata consapevolezza del carattere fondamentalmente criminale di questa legge e, quindi, dell’urgenza di procurarne l’abrogazione o almeno, come un primo passo, l’attenuazione.

Tutto dipende da noi. Abbiamo bisogno di scuotere l’immobilismo accomodaticcio che troppo spesso paralizza i cattolici. Nell’ora presente serve quella "fede coraggiosa e militante" della quale parlava Pio XII ai giovani dell’Azione Cattolica: "Sia la vostra una fede che non si chiude nella torre d’avorio. (...) Abbiate una fede coraggiosa e militante, come di chi confida in Cristo vincitore del mondo".