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Dalla Belle Époque a Hollywood: la grande rivoluzione culturale

 

di Juan miguel Montes

 

Il passaggio dalla Belle Époque ai Roaring Twenties, ovvero dalla Vecchia Europa a un certo spirito hollywoodiano, ha rappresentato forse la più grande rivoluzione culturale di tutti i tempi. Nella esplicitazione della lotta fra la Cristianità e la secolarizzazione, Plinio Corrêa de Oliveira ha dato particolare risalto al fenomeno del cinema americano

 

Un caso che fa riflettere

In mezzo allo tsunami di trash che le telenovele rovesciano sulle famiglie dappertutto, un caso ha suscitato grande sorpresa: la serie Downton Abbey, che da anni spopola in Gran Bretagna e nel resto del mondo, anche se in Italia non sembra abbia avuto un grandissimo successo. Il fenomeno riempie interi voli charter di “pellegrini”, persino giapponesi e cinesi, che visitano il luogo dove la serie viene girata: l’imponente castello di Highclere nell’amena campagna inglese.

Tralasciando qualche battuta o scena biasimevole, sembra che la buona riuscita della serie stia nel riproporre con molta proprietà una atmosfera sociale che ancora resisteva allo stravolgimento provocato dalla Prima Guerra Mondiale. La famiglia dei conti Grantham e la sua numerosa servitù riescono bene a far rivivere il mondo della Belle Époque agli occhi dei nostri contemporanei. Quel mondo che ancora serbava parecchi dei valori caratteristici della vecchia civiltà europea: spirito cavalleresco, buone maniere, armonia fra i ceti sociali, autenticità e sviluppo della personalità individuale, ognuno nella propria condizione.

Di Downton Abbey scrive eloquentemente sul “Corriere della Sera” (30/12/13) Chiara Maffioletti “Lo scrittore premio Oscar Julian Fellowes (autore della trama) non ha ceduto alla tentazione di rendere i ricchi meno buoni dei poveri. Ed è forse una delle ragioni del successo della serie”. Cioè, Fellowes non ha fatto ricorso al facile sfruttamento dei temi della lotta di classe, dell’invidia sociale, dell’ugualitarismo e del populismo ad ogni costo. Almeno fin qui non l’ha fatto e non ci resta che augurarci che non ceda in futuro ad eventuali pressioni “politicamente corrette”. L’armoniosa piccola società di Highclere affascina i telespettatori ovunque, dopo decadi di ideologie propinate contrario sensu. Già abbiamo riferito su questa rivista, come le scuole di formazione per maggiordomi, a Londra, non tengono il passo alla committenza di miliardari di altri continenti, desiderosi d’imparare i modi della vecchia civiltà europea.

 

Agli inizi di Hollywwod

Avvisaglie di una sorta di ritorno alla casa paterna? Il tempo lo dirà. Il fatto è ad ogni modo paradossale, giacché è stata proprio la cinematografia a tirare la volata, da almeno un secolo a questa parte, alla radicale mutazione e massificazione del costume e dei gusti in tutto il pianeta.

Nelle memorie della sua vita raccontate ai numerosi discepoli provenienti principalmente dal Brasile, ma poi più o meno da ogni dove, Plinio Corrêa de Oliveira sottolineava – con prodigiosa buona memoria e fine penetrazione di persone ed eventi – l’enorme importanza che questa rivoluzione culturale di matrice hollywoodiana ebbe nella formazione della sua meditazione sulla storia e nella esplicitazione dei concetti che lo portarono a scrivere più tardi «Rivoluzione e Controrivoluzione» e ad agire nell’ambito dell’apostolato contro-rivoluzionario che segnò tutta la sua vita. Ciò avveniva negli anni immediatamente posteriori agli episodi raccontati da Downton Abbey, cioè dall’immediato dopoguerra alla metà degli anni ‘20. Quando Plinio Corrêa de Oliveira era un ragazzino.

 

Ancora nella Belle Époque

Egli era nato nel 1908 in una famiglia che aveva ricoperto ruoli rilevanti nell’ancora giovane storia brasiliana. Un suo prozio – João Paulo Corrêa de Oliveira – fu presidente del Consiglio dei Ministri nell’ultimo periodo dell’Impero. Costui divenne famoso anche per aver firmato la “Legge Aurea”, quella dell’emancipazione degli schiavi, sotto la reggenza di Isabella, figlia di Pietro II, onde le connotazioni monarchiche della famiglia paterna. Pure sua nonna materna era una devota monarchica e vantava una amicizia personale con la principessa Isabella, nonostante uno dei suoi figli fosse un politico di spicco nella cosiddetta Repubblica Vecchia che sostituì la sovranità dei Braganza in Brasile.

Plinio Corrêa de Oliveira descrisse sovente l’atmosfera che si respirava nella bella palazzina paulista dove la nonna materna, Donna Gabriela, regnava indiscussa su figli e figlie, generi e nuore e uno stuolo di nipoti. Era un ambiente veramente patriarcale o, se si vuole, matriarcale, ancora fortemente improntato alle tradizioni europee. Vi si parlava correntemente il portoghese ma, quando c’era qualche tema più confidenziale, si adoperava il francese, dominato alla perfezione anche dai piccoli, al fine di evitare indiscrezioni davanti ad estranei o servitori.

Egli conserverà un intenso ricordo di quell’ambiente in cui vivrà fino ai sedici anni. Tutto lo ha impresso nella memoria: l’atmosfera più o meno solenne dei diversi salotti, il tono elevato e cerimonioso delle conversazioni, la grande deferenza prevalente nella famiglia, non solo fra i propri componenti ma anche con i visitatori e con gli stessi impiegati. Ricorderà pure una certa proiezione della caratura morale della famiglia nella servitù, la quale si sentiva inglobata nel sistema patriarcale; le grida e i giochi allegri dei cugini negli spazi loro riservati; il grande carisma di sua madre, Donna Lucilia, nell’improvvisare racconti ispirati alla letteratura infantile francese per un assorto auditorio di piccoli finalmente quietati dopo le scorribande tipiche dell’età.

Gli anni dell’immediato Dopoguerra, all’incirca dal 1918 al 1924, saranno determinanti nell’analisi di idee, persone e ambienti che il pensatore brasiliano continuerà a fare per il resto dei suoi giorni. Il suo focolare era ancora molto segnato dall’ambiente della Belle Époque, nonostante l’avvenuta soppressione della monarchia brasiliana e lo stravolgimento dell’Europa operato dall’immane conflitto mondiale. Tuttavia, a casa sua le ripercussioni concrete di questi avvenimenti tardavano a farsi sentire.

 

Alla sorgente dell’idea di Rivoluzione e Controrivoluzione

Certo, non tutto ciò che succedeva in quest’ambiente Plinio Corrêa de Oliveira lo prendeva per oro colato. Molto presto, seppe fare una netta critica su certe incoerenze dell’atmosfera domestica. Non gli sfuggiva che molte di quelle belle formalità erano ormai prive di supporti ideali e morali, né gli sfuggiva il laicismo montante che distingueva fra spiriti forti, cioè quelli dei sempre meno cattolici uomini adulti e spiriti deboli, donne e bambini, in cui la religione era accettabile in quanto esseri, appunto, fragili, bisognosi di sentimenti e di miti. Cioè, la stessa religione, anche se apparentemente rispettata, diveniva sempre più svuotata del suo contenuto. Erano le avvisaglie, per lui, del grande fenomeno che più tardi descriverà magistralmente come la Rivoluzione, con la R maiuscola.

Ma al pari di questi difetti, Plinio Corrêa de Oliveira discerneva quanto ancora rimaneva della vecchia Cristianità, quali erano le potenzialità di una sua restaurazione e rinnovamento, quante forze morali sopravvivevano nelle anime con cui un apostolato si poteva fare. Allora germogliò la sua grande intuizione: la possibilità effettiva della Contro-Rivoluzione. A quel periodo corrisponde pure la descrizione di se stesso che anni dopo farà: “Quando ero ancora molto giovane, contemplai rapito le rovine della Cristianità. Ad esse affidai il mio cuore; voltai le spalle al mio futuro e, di quel passato carico di benedizioni, feci il mio avvenire….”.

Cioè, si delineava nello spirito l’idea chiara che una “instauratio omnia in Christo” anche a livello sociale era percorribile, nonostante questo significasse per paradosso “voltare le spalle al futuro”, a quella carriera che già molti parenti e conoscenti vedevano addensarsi come una nuvola dorata sulla testa del tanto promettente Plinio. Lui, invece, pensava all’avvenire, a qualcosa di molto più elevato e trascendente del mero futuro personale, cioè della propria carriera.

 

Il collegio San Luigi

I fatti che s’imprimeranno più fortemente nella memoria di Plinio, come vero inizio della sua visione dell’opposizione fra la bandiera della Rivoluzione e quella della Contro-Rivoluzione, avverranno al suo ingresso alla scuola dei padri gesuiti della città di San Paolo, dove prenderà conoscenza con grande entusiasmo dei famosi Esercizi, capolavoro assoluto di Sant’Ignazio, in cui si parla appunto della lotta senza tregua di due bandiere.

Il Collegio San Luigi Gonzaga di San Paolo era una scuola frequentata dalla élite paulista ma non solo. Si trattava comunque di una istituzione di eccellenza. Egli non risparmierà nel corso della sua vita eloquenti elogi di gratitudine ai figli di Sant’Ignazio, che lo consolidarono nei suoi propositi facendogli conoscere non solo la spiritualità del loro fondatore ma anche i metodi di una logica implacabile, complemento intellettuale indispensabile per rafforzare la sicurezza della sua Fede.

Tuttavia, nonostante la bravura morale e accademica dei maestri, è in questa scuola che, per paradosso, Plinio Corrêa de Oliveira scoprirà la vastezza e profondità del processo di secolarizzazione che già attanagliava l’Occidente. Scoprirà l’altra bandiera.

 

La più grande rivoluzione culturale

In realtà, da acuto osservatore delle persone e degli ambienti, Plinio vide chiaramente il fossato che si era aperto fra l’ambito spirituale e morale dei maestri e quello degli allievi, non di rado provenienti da famiglie di vecchie tradizioni. A grandi passi, essi volevano sostituire i modelli comportamentali imparati a casa e a scuola con quelli veicolati dall’allora nascente e poderosa macchina di rivoluzione culturale chiamata Hollywood.

“Con molta chiarezza – racconterà anni dopo – ho visto l’intero mondo che c’era dietro quel cambiamento: il rifiuto dell’amabilità, del rispetto, della cortesia e della reciproca fiducia, il ritmo accelerato, il disprezzo delle regole di buona educazione ritenute completamente inutili, l’introduzione della brutalità nella vita. Mentre le antiche maniere che avevo imparato esprimevano un modo di essere e un ordine di anima, la quale aveva come riflesso l’ordine del corpo, il mondo moderno, al contrario, manifestava un disordine delle anime”.

Del buio delle sale oscure, in mezzo all’assordante baccano che gli altri ragazzi facevano davanti a episodi di violenza, di agitazione, di dubbia moralità del cinema, Plinio conserverà questi ricordi: “In quella occasione capii meglio come il modo ieratico di essere era superiore alle maniere rivoluzionarie che, tuttavia, andavano sempre più per la maggiore. Notai pure che quella semplificazione delle antiche formule europee (…) si dava a beneficio dei nuovi stili nordamericani, come si poteva vedere nelle pellicole. Ed i ragazzi adottavano quello stile yankee, in opposizione a ciò che loro ritenevano decrepito e melenso nell’Europa”.

 

La vecchia Europa e i nuovi Stati Uniti

Nutrito da libri e album dell’editoria europea, in prevalenza francese, che egli trovava nella biblioteca di casa, la sua opzione contro la rivoluzione culturale della cinematografia hollywoodiana fu netta: “Immaginavo che l’Europa delle tradizioni, l’Europa della Semaine de Suzette, di Rosa von Tannenburg e di Carlomagno, avevano qualcosa che io amavo. Tuttavia capivo che il continente americano, da nord a sud, era molto influenzato per il cinema di Hollywood ed era somigliante a quanto vedevo attorno a me. Orbene, per me Hollywood era l’Index delle cose come esse non dovevano essere, del modo come non si doveva pensare, entrare o uscire, tossire, respirare o sbattere le ciglia. Era la Geenna dove tutto succedeva in modo sbagliato”.

Alla scuola San Luigi, il fantasma della Geenna si materializzava, secondo i racconti del pensatore brasiliano, soprattutto all’ora della ricreazione. I ragazzi davano la stura alle peggiori imitazioni di Hollywood: gestacci, parolacce, trambusto, frenesia, rotolamenti per terra, ecc. Tutto in grande contrasto con quella posata razionalità e ferrea logica che i maestri cercavano di inculcare loro nelle lezioni. La cifra vincente della mentalità “alla Hollywood” sembrava essere una spontaneità di sentimenti e gesti assunta a valore supremo, in opposizione alla saggezza, alla riflessione, alla pacatezza, valori che Plinio vedeva promanare soprattutto dalla vecchia Europa.

L’eleganza e la raffinatezza di quest’ultima ormai non destava fra i giovani il fascino di quei ragazzoni muscolosi, sportivi, talvolta insudiciati dal grasso delle macchine o dalle risse polverose che Hollywood regalava a mani piene. Lo stesso modo di relazionarsi fra i sessi cambiava totalmente di registro, senza arrivare certo a quanto vediamo oggi nel cinema e nelle fiction. Tuttavia già allora certe movenze, certi doppi sensi gestuali o verbali, erano eloquenti. Le volgarità salivano a galla, tutto annunciava la sostituzione più o meno graduale di un mondo per l’altro.

 

Una previsione avveratasi

I gesuiti della scuola San Luigi venivano spesso presi in giro dagli allievi. I prototipi di buone maniere, di virtù sociali, di compostezza e castità da loro incarnati o predicati venivano stravolti dai prototipi hollywoodiani. Non c’era catechismo o lezione di logica che tenesse testa all’ondata di nuove tendenze che, domenica dopo domenica, si rovesciava sui ragazzini nelle sale di cinema.

Plinio ci andava pure. Analizzava freddamente tutto. Detestava in cuor suo questa rivoluzione culturale. Evitava di parlarne troppo per non isolarsi dai coetanei e soprattutto per maturare una visione ben articolata, che gli permettesse di fare più in là una critica convincente. D’altronde voleva diventare un apostolo al servizio della Cristianità e percepiva bene che, se il modello hollywoodiano era profondamente sbagliato e diseducativo, per ridare tono a tutta una civiltà non bastavano solo le formule di cortesia usate nella signorile dimora della nonna.

Perciò amava in quel periodo andare ai mercati ortofrutticoli in cui i figli dell’immigrazione italiana, spagnola, portoghese e libanese gareggiavano a gran voce per smerciare i rispettivi prodotti. Si estasiava davanti a tanta vitalità e autenticità, formandosi così un quadro completo di una vera società organica.

L’avversione di Plinio per lo “spirito di Hollywood” si è rivelata giustificata. Quasi cento anni sono trascorsi e viviamo in una cultura sempre più fatta a immagine e somiglianza di quella mentalità trasmessa dalla cinematografia hollywoodiana al mondo intero. Anche coloro che criticano il modello economico o la potenza politica americani, sono molto spesso plasmati da quella mentalità e lo si vede persino nella loro vita quotidiana. Può darsi che sia un fenomeno inconsapevole, ma comunque rivelatore della profonda penetrazione di una cultura.

Fenomeni come Downton Abbey ed altri film di pregio non denotano una stanchezza di quel modello? Vedremo.