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La condizione della donna nell’islam e i fatti di Colonia:
c’è una relazione?

di Alessandra Boga

Esiste una relazione fra i fatti di Colonia e la condizione della donna nella religione musulmana? Un’analisi per spiegare perché la risposta è positiva

Si sono sprecati tanti articoli sui giornali sulle molestie e gli stupri di massa avvenuti nella notte di San Silvestro in Germania, soprattutto a Colonia ma anche ad Amburgo, Stoccarda e in altre città europee. I responsabili sono stati descritti dalle vittime come cittadini “mediorientali e nordafricani”. Tra loro, hanno stabilito gli inquirenti che li hanno identificati, c’erano molti giovani arrivati in Europa come profughi. Alcuni erano pure ubriachi quando sono “entrati in azione”.

È sempre antipatico, politicamente scorretto – usando un termine oggi assai inflazionato – tirare in ballo la religione in casi come questi, ma è un dato di fatto che i colpevoli delle violenze sulle donne nella notte di Capodanno provengono da Stati islamici e loro stessi sono nati e cresciuti nell’islam: sono musulmani. Ora, errare è umano ed un uomo può anche agire contro la propria religione. Lo stesso bere vino fino ad ubriacarsi è contrario all’islam.

Inoltre non bisogna mai dimenticare che non sia giusto “fare di ogni erba un fascio”, e che anche uomini nati nei paesi occidentali, cristiani, possano molestare e stuprare donne. Tuttavia, si può affermare che le recenti molestie e stupri di massa non c’entrino nulla con la condizione della donna nell’islam?

Ricordiamo che nel Corano c’è scritto che “gli uomini sono preposti alle donne” (Sura IV, intitolata proprio “Le Donne”, 34-35); che “gli uomini sono un gradino più in alto” rispetto a loro (Sura II, 228); e che quando gli uomini “temono la disobbedienza” delle mogli, la raccomandazione è “ ammonitele, poi lasciatele sole nei loro letti, poi battetele” (Sura IV, 34).

Per non parlare della delicata questione del velo, del fatto che la testimonianza di una donna in tribunale valga la metà di quella di un uomo, che l’eredità spettante ad una femmina sia la metà di quella di un maschio, che all’uomo musulmano sia permessa la poligamia fino a quattro mogli – con l’impossibile condizione di essere “giusto” con tutte – che all’uomo musulmano sia permesso di usare a proprio piacimento le donne al suo servizio, e così via.

A ciò aggiungiamo le arringhe piene di versi misogini che vengono propinate dagli imam ai musulmani, pure nelle moschee in Occidente; versi misogini che vengono inculcati come ordini divini, che quindi non si discutono, pena il non essere considerati “veri musulmani”, che in certi casi può portare a rischiare o a perdere la vita.

Nel libro “Islam. Istruzioni per l’uso” (Oscar Mondadori, 2009) dell’arabista ed islamologa Valentina Colombo, in un capitolo intitolato “Donne e islam” si riporta quanto ha scritto in proposito un’intellettuale tunisina, Raja Benslama:

“La discriminazione (della donna) si costruisce sull’odio, un certo odio sapientemente elevato a sistema, è una mina in azione, è una macchina che attacca le donne, e continua a spezzare le vite di tutti gli esseri resi minori. (...) I nostri testi sacri non possono più essere una fonte di legislazione se non creando le peggiori disuguaglianze liberticide. Dobbiamo rinunciare all’idea, che secondo me è un’impostura intellettuale, molto diffusa anche fra le femministe e fra le antifemministe islamiche, che l’islam abbia liberato la donna, che la sharia le renda giustizia, che la metta in condizione di parità rispetto all’uomo. Questa cosa non è vera, è una vera negazione della realtà storica”.

Inscindibilmente connesso al tema della donna, è quello della sessualità. I testi sacri islamici ne parlano assai, basta ricordare le famose 72 vergini del Paradiso di Allah, con le quali vengono “attirati” potenziali terroristi suicidi.

Il versetto coranico 223 della Sura II (“La Vacca”) recita: “Le vostre donne sono il vostro campo, entrate nel vostro campo secondo il vostro desiderio”. Esso può essere interpretato da un uomo come la legittimazione ad abusare di una donna, fosse anche la propria moglie. Invece la Sura IV, 24 dice: “E vi sono vietate le mogli sposate di altri popoli a meno che non siano cadute nelle vostre mani (come prigioniere di guerra o schiave comprate)”. Ebbene, le donne molestate a Colonia facevano parte di “altri popoli”, professavano una religione diversa dall’islam – inoltre dubitiamo che si siano fermati a pensare di rispettare le donne sposate.

In generale, i musulmani considerano le donne occidentali delle poco di buono, una sorta di prostitute, anche perché “non portano il velo”, simbolo di modestia, di castità e di fede in Dio, ma troppo spesso, come sappiamo, anche di appartenenza della donna all’uomo.

La loro libertà turba e nello stesso tempo attrae i musulmani più conservatori, che le vedono come simbolo supremo di degrado morale con il quale possono fare ciò che vogliono. Così si possono spiegare i “fatti della notte di Capodanno”, un fenomeno talmente vasto, che è impossibile che non fosse organizzato. Culturalmente i molestatori/stupratori si sono sentiti in diritto di non rispettare quelle donne, perché erano in giro anche da sole di notte a divertirsi, cosa inconcepibile nel contesto islamico.

Per lo stesso motivo l’imam di Colonia Sami Abu Yusuf, salafita, ha dichiarato ad una tv russa che la colpa di quello che è successo, è delle donne stesse, le vittime: “Non c’è da sorprendersi che vestendosi mezze nude e profumate gli uomini le abbiano aggredite. È come mettere benzina sul fuoco”. Tale dichiarazione è arrivata proprio quando le denunce di molestie nella città tedesca sono arrivate a quota 521, oltre a tre di stupro.

Per concludere, come ha ricordato sul quotidiano La Repubblica lo scrittore algerino Kamel Daoud, nel mondo di Allah “la donna è la posta in gioco, senza volerlo. Sacralità, senza rispetto della propria persona. Onore per tutti, ad eccezione del proprio. Desiderio di tutti, senza un desiderio proprio. Il suo corpo è il luogo in cui tutti si incontrano, escludendola. Il passaggio alla vita – perché la donna dona la vita – che impedisce a lei stessa di vivere. È questa libertà che il rifugiato, l’immigrato, desidera ma non accetta. L’Occidente è visto attraverso il corpo della donna: la libertà della donna è vista attraverso la categoria religiosa di ciò che è lecito o della ‘virtù’”.