L’Olocausto bianco:
il silenzioso sterminio di sei milioni di italiani
di Enrico Pagano
Nel mese di aprile, l’Associazione Tradizione, Famiglia Proprietà, in collaborazione con il Circolo Culturale La Rocca, ha tenuto a Milano un incontro su «L’Olocausto bianco», tema di un mio recente volume sull’eterna tragedia dell’aborto.
È intervenuto l’avv. Benedetto Tusa, presidente del Circolo Culturale La Rocca, argutamente sollecitato e presentato dall’avv. Bryan Ferrentino, candidato al Consiglio comunale milanese.
L’avv. Ferrentino, nel suo intervento, ha lasciato chiaramente intendere che anche in sede comunale si potranno validamente sostenere politiche favorevoli alla famiglia naturale fondata sul matrimonio (bonus fiscali, appoggio a Enti Onlus, come il Progetto Gemma del Movimento per la Vita, che si occupa delle adozioni prenatali a distanza) in luogo delle sterili iniziative demagogiche e ideologiche dell’attuale amministrazione di sinistra (sportello LGBT, testamento biologico, registro unioni di fatto etc.).
Ma poniamoci un quesito: perché, in una società assediata dall’ideologia di genere e dal tentativo – ricorrente nella storia – di massificare e omologare l’uomo e di cancellarne l’identità fatta a immagine e somiglianza di Dio, in un contesto culturale in cui la famiglia subisce i peggiori attacchi – da ultimo, il riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali – ci si occupa ancora dello sterminio silenzioso di milioni di esseri umani inermi e innocenti?
Il motivo è semplicissimo: il diritto alla vita è il primo dei diritti fondamentali dell’uomo, è l’antecedente logico e cronologico di ogni altro diritto.
La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, dopo aver riconosciuto nel preambolo a tutti gli appartenenti alla famiglia umana, la dignità e i diritti fondamentali, attribuisce più specificamente, nel suo terzo articolo, a ogni essere umano il diritto alla vita.
Le Costituzioni dei più importanti stati moderni, prevedono la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, in primis il diritto alla vita. Per il magistero della Chiesa cattolica è il primo dei principi “non negoziabili” (sarebbe bene che molti sacerdoti lo ricordassero più spesso).
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, dopo i genocidi perpetrati dalle due grandi ideologie totalitarie – il comunismo sovietico e il nazionalsocialismo tedesco – apparve indispensabile blindare e proteggere l’uomo da ulteriori stermini.
Queste cautele, purtroppo, non sono bastate e le legislazioni di molti Stati prevedono oggi – sull’onda del caso Roe vs. Wade, tragicamente deciso nel 1973 dalla Corte Suprema degli Stati Uniti d’America – la violazione più o meno estesa del primo dei diritti fondamentali.
Ogni volta che, nella storia dell’umanità, la legge positiva, data, scritta, si è allontanata dai precetti che informano il diritto naturale – eterno e immutabile, la cui norma suprema è il neminem laedere, “non uccidere” – si sono registrati i più cruenti genocidi e la sistematica violazione della dignità umana.
In Italia, con la complicità determinante della Democrazia Cristiana, e dopo una campagna mediatica devastante e corroborata da elementi assolutamente falsi (su tutti, il numero inverosimile degli aborti clandestini), è stata approvata nel 1978 la legge 194.
Un provvedimento integralmente iniquo, che si serve - per nascondere la verità sulla vita nascente - dell’Antilingua, espediente sul quale si è brillantemente soffermato l’avv. Tusa che, per la sua professione, ben conosce la sottile arte del saper convenientemente dire.
L’Antilingua è lo strumento indispensabile per la creazione e l’accettazione dei c.d. “diritti civili”, uno strumento di comunicazione e di convinzione inventato per nascondere la verità contenuta nelle parole del linguaggio normale, ritenute contro- producenti per i fini che si vogliono perseguire adoperando invece parole o formule nuove.
Il termine Antilingua venne coniato nel 1965 dallo scrittore Italo Calvino, che mai, però, avrebbe potuto immaginare quale uso distorto ne sarebbe stato fatto dopo la ecatombe morale del ’68.
Gli esempi concreti più eclatanti: l’ interruzione volontaria della gravidanza, IVG, ove si trasforma un omicidio in un diritto della donna; il pre-embrione per dire di un concepito prima del quattordicesimo giorno e che non si vuol considerare umano; la contraccezione d’emergenza, per nascondere la possibilità di un aborto precocissimo.
E ancora, il nascituro che di volta in volta diviene “grumo di cellule”, “tessuto embrionale”, “prodotto del concepimento o abortivo”, il tutto per non dire apertis verbis che si tratta di un nostro fratello, un nostro figlio, in definitiva, uno di noi.
Purtroppo, nel secolo scorso, sempre con la complicità determinante della Democrazia Cristiana, la sinistra impadronitasi dei media, della scuola e dell’u- niversità, ha vinto la battaglia delle parole e ci induce, ancora oggi, ad esprimerci con i vocaboli non veritieri che lei stessa ha scelto per i suoi scopi: il pensiero unico politicamente corretto.
La legge 194 – contrariamente a quanto sostenuto persino da alcuni pro life – è intrinsecamente inaccettabile, non è una buona legge, neanche quando viene applicata integralmente.
La 194, infatti, è totalmente disumana nel momento in cui facendo proprio il principio di gradualità – quasi che un individuo potesse divenire più o meno umano, a seconda del trascorrere del tempo - e dividendo arbitrariamente il periodo gestazionale in tre parti, lancia alcuni messaggi precisi alla collettività.
Il primo, devastante, è che nei primi novanta giorni di vita un essere umano può essere eliminato – con autorizzazione e finanziamento dello Stato – in assoluta libertà e per qualsiasi motivo addotto dalla madre (salute fisica e psichica, condizioni sociali, economiche e familiari etc.).
Il secondo, che collide con ogni principio di solidarietà sociale fissato dalla Costituzione, che il concepito - ove sia riscontrata una malformazione - può essere eliminato anche successivamente ai primi tre mesi.
Il terzo, che l’essere umano è davvero garantito solo dal momento in cui diventa autonomo e può vivere indipendentemente dalla mamma (e qui ci si dimentica che anche successivamente, nel corso della sua vita, l’adulto può perdere la sua autonomia – pacemaker, dialisi etc. – ma ciò non può autorizzare nessuno a sopprimerlo).
Sono stati scritti interi trattati sulla funzione della legge, che dovrebbe essere pedagogica ma, nel caso della 194, ogni principio che ne deriva è semplicemente aberrante ed esiziale.
Gli esiti della 194, del resto, sono davanti agli occhi di tutti. Libertà assoluta di abortire nei primi tre mesi di gravidanza, diritti del nascituro azzerati, e padre privo di qualsiasi voce in capitolo sul destino - di vita o di morte - del figlio.
Quasi sei milioni – sono cifre ufficiali, molti di più se si considerano anche gli aborti farmacologici - di italiani soppressi legalmente e gratuitamente.
Gli aborti clandestini - la cui eliminazione era il grande obiettivo della legge – continuano nella misura di circa 30mila casi annui.
Il perverso effetto culturale – il delitto trasformato in diritto - denunciato da san Giovanni Paolo II nel Vangelo della Vita, è diventato purtroppo uno slogan della nostra società.
Queste sono solo le iniquità ed i fallimenti più evidenti, che richiedono un intervento urgente sulla ormai famigerata legge.
Il grembo materno, che è sempre stato considerato la culla più meravigliosa del mondo è divenuto, in tal modo, uno dei luoghi più pericolosi per l’essere umano, una rivoluzione sanguinosa - ha chiosato l’avv. Tusa - dietro cui aleggia il sogghigno di Satana, il nemico dell’uomo.