Forlì: Nobiltà ed élites tradizionali analoghe
di Juan Miguel Montes, Ufficio TFP Roma
Convegno di presentazione di «Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana», di Plinio Corrêa de Oliveira, Forlì, aprile 1995.
Per comprendere meglio la ragion d’essere del libro che oggi abbiamo l’onore di presentare a Forlì, dobbiamo considerare seppur brevemente l’autore, la sua mentalità, la sua opera.
Plinio Corrêa de Oliveira nacque nel 1908. La sua storia personale, quindi, si svolge parallela a quella del nostro secolo.
Secolo che nella sua aurora è stato profondamente ottimista e di cui l’Esposizione Universale di Parigi fu una sorta di simbolo: il grande saluto iniziale di un’epoca che doveva essere quella del progresso senza frontiere, delle illimitate conquiste scientifiche, delle invenzioni stupefacenti; il secolo che doveva inaugurare l’era della pace eterna, del consenso e del benessere sociale dei popoli; il secolo, infine, che doveva cacciare via la povertà e la malattia.
Tuttavia il secolo XX sarà quello delle più terribili guerre mai viste dal genere umano, il secolo delle aberrazioni dottrinali salite sul trono di poteri totalitari, il secolo delle grandi oppressioni. In questa fine del suo percorso, al mito del progresso si sostituisce quello del mito dell’ecologia radicale, che in certe frange giunge perfino all’apologia della vita tribale.
Il fatto è che l’ottimismo spensierato tende a tramontare, mentre si accumulano dense nuvole all’orizzonte.
I popoli si trovano di fronte a processi confusi ed a la mancanza di punti di riferimento. Ed i cosiddetti filosofi del caos ritengono che nell’impasse attuale solo da questo smarrimento collettivo potrà emergere una formula che porti l’umanità ad un nuovo balzo in avanti.
È stato proprio nel contesto del secolo XX che Plinio Corrêa de Oliveira ha sviluppato la sua attività sia di intellettuale che di uomo d’azione. Da giovanissima età ha avuto un chiaro discernimento della debolezza di fondo che era alla base dell’ottimismo nato della Belle Époque. Per lui questo secolo, sebbene ricco di sviluppi materiali, accusava tuttavia i sintomi dell’ipertrofia, appunto, del materiale rispetto allo spirituale. Uno squilibrio che prima o poi si sarebbe tramutato in crisi profonda, trascinando i resti della civiltà una volta cristiana, nel vortice di un processo di profonda secolarizzazione, se volete di neo-paganizzazione, che la costringeva a tralasciare sempre di più l’esigenza di insostituibili valori morali e metafisici.
Plinio Corrêa de Oliveira, uomo di fede profonda, e perciò, non pessimista, non ha nutrito però illusioni su questa realtà che veniva così creandosi.
Nel secolo XX egli ha visto lo sbocco naturale del processo multi secolare che ha scosso la società occidentale dalla Riforma Protestante fino all’avvento del comunismo, passando per la Rivoluzione francese.
In questo processo, da lui denominato semplicemente Rivoluzione, con la R maiuscola, egli ha identificato il fattore determinante che viene minando profondamente ciò che possiamo identificare con il frutto temporale e sociale del sangue versato da Cristo nella Croce, cioè la Cristianità, quella stessa Cristianità che Leone XIII definì, nell’enciclica Parvenu à la XXV année, come “l’epoca in cui la filosofia del Vangelo ispirava gli Stati”.
Plinio Corrêa de Oliveira considera che l’antidoto alla Rivoluzione non può essere che il suo esatto e radicale opposto: cioè, la Controrivoluzione. Così come la Rivoluzione è l’opera di un’articolazione anti-cristiana e delle passioni disordinate dal peccato, la Controrivoluzione deve risultare dell’operato della grazia e dell’influenza modellatrice della Chiesa sui popoli e sulle singole persone.
Egli definisce quest’operato, nel suo libro fondamentale, intitolato appunto «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione», in questi termini: “Se la Rivoluzione è il disordine, la Contro-Rivoluzione è la restaurazione dell’ordine. E per Ordine intendiamo la Pace di Cristo nel Regno di Cristo. Ossia, la Civiltà cristiana, austera e gerarchica, sacrale nei suoi fondamenti, anti-ugualitaria e antiliberale”.
A questo ideale Plinio Corrêa de Oliveira dà la sua vita, abbandonando ad una ad una tutte le promesse di un brillante futuro che gli si spalancavano davanti: alla sola età di 24 anni era già il deputato più votato del Brasile, il leader cattolico laico più noto e più seguito, il giornalista cattolico più letto nel suo paese.
Inizia così un’ardua, a volte incompresa, attività di apostolato. In certa opportunità Plinio Corrêa de Oliveira scrisse questo programma di vita: “Quando ero ancora molto giovane considerai entusiasmato le rovine della Cristianità, affidai ad esse il mio cuore, voltai le spalle al mio futuro e di quel passato carico di benedizioni feci il mio avvenire”.
Qualcuno potrà ritenere che si trattava del programma di un kamikaze. E non avrà tutti i torti, perché lo stesso autore del libro che oggi vi presentiamo ha riconosciuto in certa occasione che la sua opera ha avuto a momenti la parvenza del compito riservato ai kamikaze. Ma egli ha saputo capire che per il cattolico coerente non tutte le cause vanno misurate con un metro puramente umano, e che le grandi conquiste nascono da grandi sforzi a da grandi travagli, così come, per esempio, la riconquista della penisola iberica dall’Islam, durata ben otto secoli, nacque dalla volontà e dalla coerenza di un pugno di pochissimi uomini fedeli asserragliati nella grotta di Covadonga.
Il dato di fatto che abbiamo davanti ai nostri occhi è che gli immani sforzi di Plinio Corrêa de Oliveira hanno culminato con la realizzazione di quella che, senza timore di venire smentiti, possiamo ritenere la più vasta rete di organizzazioni di ispirazione cattolica che combattono nel mondo odierno gli errori della sinistra, del cosiddetto post-comunismo, del progressismo laico e cattolico. A partire dalla prima pietra: la fondazione della Società brasiliana per la Difesa della Tradizione, Famiglia e Proprietà, TFP, sono state posteriormente fondate 23 TFP e bureaux delle TFP in tutti i continenti.
Bisogna aggiungere che la stragrande maggioranza di quelli che compongono le TFP sono giovani e spesso giovanissimi, dando a questo vasto movimento quell’impronta vigorosa così atta a colpire la mente dei nostri contemporanei.
Non entro qui a darvi dei dettagli sull’azione delle TFP. Abbiamo preparato un piccolo dépliant per spiegare questo. Né mi trattengo a segnalarvi la scelta del trinomio TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ.
Quello che mi interessa sottolineare è come Plinio Corrêa de Oliveira, a differenza di tanti altri intellettuali, non è rimasto confinato nell’ambito dello studio, ma ha voluto essere l’apostolo delle sue idee, l’uomo coerente che cerca con tutti i mezzi alla sua portata la loro attuazione, che vuole impersonare quei principi che ha preso con amore dall’immutabile magistero dei papi.
Nel lungo elenco dei suoi scritti, 20 libri pubblicati e una moltitudine di articoli ai quali si aggiunge il libro che presentiamo oggi, dobbiamo vedere, ripeto, un’intelligenza tutta tesa all’azione. Senza questa dimensione apostolica, non si capirebbe mai in Plinio Corrêa de Oliveira il suo lavoro intellettuale. Sarebbe impensabile, per esempio, che egli avesse scritto questo suo saggio per mondanità o per il semplice piacere di esprimere le sue idee.
Gli insegnamenti di vari Papi ci ammoniscono che da tempo siamo giunti universalmente ad uno stato di decadenza morale nella società mai visto prima.
Questa decadenza – e pensate soltanto alla famiglia minacciata da tutte le parti – questa crisi morale, ripeto, mette a repentaglio oggi l’esistenza dello stesso Stato, che sembra sgretolarsi in mezzo alla corruzione ed al caos.
Fedele al suo pensiero espresso nel libro «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione», il Prof. Corrêa de Oliveira fa adesso notare nel suo ultimo libro che, particolarmente dopo la Rivoluzione Francese, i mali sociali aumentano simultaneamente col venire meno dell’influenza delle élite.
Ma dove possiamo individuare il vero scopo che ha avuto Plinio Corrêa de Oliveira nella pubblicazione del libro che oggi è al centro delle nostre considerazioni? Quale è l’aspetto determinante del magistero di Pio XII di cui, più che degli altri aspetti, l’autore ha voluto diventarne l’eco?
Plinio Corrêa de Oliveira, seguendo la diagnosi socio-morale tracciata da Papa Pacelli, constata che, dopo le due grandi guerre di questo secolo, i risultati più profondi non sono state le mutazioni politiche, geografiche o economiche, bensì “una trasformazione, anzi una rivoluzione, soprattutto in quegli aspetti che riguardano la mentalità, gli usi ed i costumi dell’uomo. In altre parole, ciò che prima della conflagrazione bellica era ritenuto essenziale, degno, sublime, forse intangibile, fu spazzato via dal vento degli avvenimenti e sostituito, senza dolore e senza pietà, da altri usi, altri costumi, altra mentalità, opposti radicalmente a quelli di prima”.
Perciò Papa Pacelli, riferendosi specificamente al secondo dopoguerra, così affermò: “Questa volta l’opera di restaurazione è incomparabilmente più vasta, delicata e complessa (di quella del primo dopoguerra). Non si tratta di reintegrare nella normalità una sola Nazione. Il mondo intero, si può dire, è da riedificare; l’ordine universale è da ristabilire. Ordine materiale, ordine intellettuale, ordine morale, ordine sociale, ordine internazionale, tutto è da rifare e da rimettere in movimento regolare e costante. Questa tranquillità dell’ordine, che è la pace, la sola vera pace, non può rinascere e perdurare che a condizione di far riposare la società umana su Cristo, per raccogliere, ricapitolare e ricongiungere tutti in Lui”.
E l’autore così commenta questo passo del grande pontefice: “Chi lo legge, dunque, potrà accorgersi senza sforzo che nella sua mente, Egli cercava di opporre a questa immensa rivoluzione il suo esatto contrario, cioè la controrivoluzione. Una controrivoluzione che potesse salvare dalla rovina tante tradizioni e potesse dare a tante altre che ancora avevano ragione d’essere, pur gravemente ferite, la possibilità di rialzarsi e di risorgere nuovamente”.
Ma l’autore sottolinea che nonostante il Papa si rivolgesse nell’occasione delle sue celebri discorsi al Patriziato ed alla Nobiltà, non contava esclusivamente su di loro per compiere una tale opera. Ovviamente essendo loro depositarie per eccellenza di valori e tradizioni potevano avere un ruolo decisivo in questo programma.
Tuttavia, bisogna notare che per svolgere questo compito il Pontefice auspicava un fronte di ampia collaborazione. Ossia, lui non voleva l’adesione soltanto dei membri delle élite, che ancora avevano i mezzi sufficienti per irradiare tutto il prestigio del loro passato, mettendo al servizio di questa causa controrivoluzionaria tutta la forza d’impatto su cui si poteva contare.
Pio XII contava espressamente sull’insieme del corpo sociale non solo per salvare l’élite ancora esistenti e le loro tradizioni, ma al fine di far sorgere nuove élite al fianco delle precedenti. A queste neo-élite, di fronte a situazioni nuove, animate da uno spirito veramente cattolico, sarebbe spettato il compito di creare nuovi costumi, nuovi usi, nuove forme di influenza. E ciò, senza distruggere o contradire il passato, ma completandolo quando fosse necessario.
E l’opera di distillare nuove élite spettava, secondo il Papa, alla società costituita come un tutto, cioè al grande corpo composto non solo dalle istituzioni e dai gruppi intermedi, ma anche dalla moltitudine dei singoli che, nel loro agire meramente personale, formano una forza di prim’ordine in favore del bene comune.
Secondo il pensiero del Pontefice, si desume che senza la collaborazione di tutto il corpo sociale non può esserci, in questo compito di “far riposare la società umana su Cristo”, un successo possibile.
E commenta così Plinio Corrêa de Oliveira questo ideale di Papa Pacelli: “Ciò è enormemente lontano dalle schiavitù alle quali tante volte le macchine di pubblicità moderna – mi riferisco soprattutto ai mass media – assoggettano popoli e nazioni, tralasciando il ruolo che spetta agli organismi che devono svolgere una vera influenza sulla società. Infatti, senza il placet dei mass media, almeno dei più importanti fra essi, diventa praticamente impossibile per qualsiasi causa, ottenere un successo. In modo che, pur parlando tanto di democrazia, nelle nostre società dette democratiche il potere decisionale alla fine rimane quasi sempre nelle mani dei mandarini degli organi pubblicitari, i signori dei mass media. Pio XII poteva comodamente e facilmente appellarsi ad essi. Essi potevano ascoltare le sue preghiere, o almeno fingere di ascoltarlo”.
“Naturalmente il Papa desiderava anche la collaborazione efficace dei mass media, ottenendola in alcuni campi. Tuttavia nelle sue allocuzioni al Patriziato ed alla Nobiltà romana, i mass media non apparivano come un elemento essenziale nel quadro di una società ideale.
“Qual era allora il potere su cui Pio XII poteva contare? Innanzitutto il potere di Dio onnipotente; quel potere che diede a Costantino la vittoria di Ponte Milvio e a Don Giovanni d’Austria quella di Lepanto, volendo citare due soli straordinari esempi. In realtà, a parte questa fiducia in Dio, dall’insegnamento di Pio XII si desume che se ogni singolo cattolico cercherà di adempiere i suoi doveri in conformità a questo magistero, cercando di influenzare profondamente il suo campo d’azione personale, il risultato produrrà una forza d’impatto globale di grande potenza”.
“Infine, in queste allocuzioni dobbiamo cercare di vedere l’impegno fondamentale del Pontefice orientato affinché ciascuno diriga le sue aspirazioni ideali in sintonia con Lui e concentrando gli sforzi nel proprio campo d’azione, presso quelli con cui condivide il focolare e l’esercizio della professione. Se tutti i cattolici potessero con soddisfazione collaborare col Papa in questo programma tracciato – che è indubbiamente quello di una grande crociata, probabilmente la crociata del XX secolo – e se tutti i cattolici ponessero la loro opera con perseveranza, la vittoria sarebbe raggiunta più facilmente che con l’ausilio di tutte le organizzazioni e di tutte le coalizioni. La vittoria delle grandi cause non si raggiunge solo attraverso le vittorie dei grandi eserciti ma ancor più dalla somma delle azioni individuali nelle società a loro volta consce dei grandi ideali e disposte ad ogni sacrificio pur di trionfare”.
Plinio Corrêa de Oliveira accentua questa idea affinché nessuno trovi un pretesto per rimanere inoperoso, adducendo alla sua presunta impotenza personale, alla sua presunta ininfluenza e all’inutilità di ogni sforzo la causa del suo immobilismo. Se ciascuno, in tutti i gradini della scala sociale, non si risparmierà verso quella meta indicata dal Pontefice, la vittoria sarà assicurata. Questo è il pensiero centrale di Papa Pacelli.
Ricordandolo e commentandolo, l’autore spera di infondere nuova fortezza d’animo e coraggio non solo nella nobiltà e nei élites, ma in tutti i livelli della società sensibili a questo appello: “Se tutti, ma proprio tutti, riprendiamo con ardore il compito che Papa Pacelli ci ha segnalato, potremo sperare per i nostri paesi giorni luminosi che ci facciano superare il minaccioso grigiore di questo tempo”.