Recensione del prof. Pietro Giuseppe Grasso
a «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione» *
La «Pseudo Riforma» protestante, la Rivoluzione francese ed il comunismo, secondo l’autore, sono fenomeni dialetticamente collegati, in quanto episodi di un’unica grande Rivoluzione, la quale viene identificata col processo di secolarizzazione e di dissacrazione, cominciato col decadimento della società cristiana del Medioevo, e che tuttora continua mediante la progressiva esclusione del magistero della Chiesa cattolica dalla vita individuale e civile, verso la meta finale della società senza Dio. Come fasi di marcia «a velocità lenta», in una tal Rivoluzione sono fatti rientrare anche i regimi moderati, liberali e socialisti, sotto l’imperio dei quali con mezzi pacifici ed incruenti si affermano costumi, culture, arti, leggi ed istituzioni ispirate a motivi laicisti ed antireligiosi.
Fattori determinanti e forze motrici di tutto quel processo sono le passioni, le quali, dopo essere riuscite a prevalere sulla volontà debole e sulla ragione offuscata, da tempo ormai dominano «le tendenze più profonde della storia dell’Ottocento». Dietro tante proclamazioni dell’uguaglianza c’è l’orgoglio che induce all’odio per qualsiasi autorità, anche, e soprattutto, divina. Dietro la proclamazione della libertà è la «sensualità», intesa nel senso più ampio di sete di piaceri. La forza grande della Rivoluzione è, quindi, distruttrice, quale impeto irrazionale in tutto simile ai cataclismi ed alle catastrofi naturali. L’autore aggiunge che le idee propugnate dai rivoluzionari non sono proprio nuove e moderne, poiché, come per il divorzio o per la demagogia, quasi sempre si tratta di «vecchiume dei tempi pagani», quando le suddette passioni erano tanto esaltate.
Secondo le stesse idee, la meta finale del processo rivoluzionario è l’utopia dell’uomo che vive felice nella pace perpetua della Repubblica universale, affrancato, per il progredire della sua scienza, dalle sciagure derivate dal peccato originale ed attuale, senza pensiero dell’eternità e quindi senza più bisogno della redenzione cristiana.
Ad utopie simili s’ispirano tutti coloro che, in una maniera o nell’altra, ripongono piena fiducia nell’uomo e perciò credono che egli proceda dotato di ragione infallibile e di volontà ferma, superiore alle passioni. Le quali virtù per alcuni sono proprie dell’individuo singolo, per altri delle masse, per altri ancora dello Stato. Ad essi si aggiungono quei «cattolici che professano la dottrina della Chiesa ma sono dominati dallo spirito rivoluzionario», i quali sono, perciò, considerati come «mille volte più pericolosi dei nemici dichiarati», perché «combattono la città santa dentro le sue stesse mura». Tali differenze di opinioni e le contese che ne derivano, ad esempio tra liberali e socialisti, tra socialisti e comunisti, così come l’avvicendarsi di fasi cruente e tranquille, di guerra e di pace, non turbano il progresso della Rivoluzione, la quale, anzi, si avvantaggia delle proprie disarmonie ed antinomie apparenti.
Unico contro-rivoluzionario autentico, il cattolico fedele alla Chiesa ed alle sue tradizíori sì trova isolato ed in contrasto con tutte o quasi le parti politiche contemporanee. La contrapposizione è assoluta ed inconciliabile tra chi tiene fede alla verità rivelata e quanti se ne sono allontanati per aderire all’uno od all’altro dei «sistemi» derivati dal prevalere delle passioni. Ne consegue che, per contrastare efficacemente e debellare la Rivoluzione, prodotto del peccato, è insufficiente un’azione solo politica ed economica.
La Contro-Rivoluzione deve assumere i caratteri di un vero e proprio «Apostolato», esteso ad ogni campo, e, come osserva anche il Nunzio apostolico Mons. Carboni, nella sua lettera-prefazione, soprattutto deve mirare alla confutazione degli errori religiosi ed alla riaffermazione della dottrina «vera» della Chiesa. Questa, d’altro canto, non si confonde né si esaurisce nella Contro-Rivoluzione, né ha bisogno di essa per sopravvivere, in quanto fondata su basi divine. Anzi, l’azione contro-rivoluzionaria deve umilmente servire la Chiesa, invece d’immaginare orgogliosamente di salvarla.
L’azione dei contro-rivoluzionari, pur se tocca di necessità i rapporti politici, deve restare superiore e distaccata dai motivi di discordia o di odio insiti nella lotta dei partiti. In particolare, secondo quanto insegnato nei documenti pontifici, la difesa della proprietà, come diritto naturale, non va intesa quale partecipazione alla «lotta di classe». Fatti salvi i principî, si ammette, poi, che la restaurazione dell’ordine cristiano consenta innovazioni per quanto concerne gli aspetti accidentali.
Dal riassunto suesposto, di necessità parziale e frammentario, si può osservare che il volume costituisce un compendio schematico del pensiero contro-rivoluzionario, già elaborato in tanti scritti a partire dalla Rivoluzione francese ad oggi, rimeditato ed accresciuto anche con molte considerazioni suggerite dalle esperienze ultime. In particolare, l’autore si richiama alla dottrina pontificia espressa negli atti di Leone XIII, di Pio X, di Pio XI e di Pio XII.
* Libero docente di Diritto Costituzionale nella Facoltà di Giurisprudenza dell'università di Urbino. Recensione pubblicata in Il Politico. Rivista italiana di scienze politiche, a cura dell'Istituto di Scienze Politiche dell'Univesità degli Studi di Pavia, anno. XXXVIII, n. 1, marzo 1973, pp. 202-203.