Dall’ “umanesimo integrale” all’ “ecologia integrale”
Per salvare la civiltà bisogna “passare ai barbari”?
di Guido Vignelli
E’ noto che quel poco di buono e di solido che tuttora permane nella nostra società deriva dai resti quella sorta di cattedrale culturale che aveva permesso ai popoli di edificare la Cristianità impropriamente detta medioevale.
Avendo però rifiutato quella venerabile civiltà cristiana, ed essendo ormai in crisi la cosiddetta “civiltà moderna”, la classe intellettuale oggi dominante deve in qualche modo sostituirla con una nuova civiltà, una “nuova sintesi culturale” che sostituisca la passata concezione tradizionale del mondo, dell’uomo e di Dio. Lungo il XX secolo, si è tentato il progetto democristiano di un “umanesimo integrale” che fosse post-cristiano, dunque né religioso né ateo; ma esso è servito solo a far accettare la secolarizzazione agli ambienti cattolici e quindi a favorire la scristianizzazione della società.
Ecco quindi che oggi vediamo filosofi, sociologi, politologi, scienziati e perfino teologi affannarsi per inventare un “nuovo umanesimo” che permetta di costruire una “casa comune”, in modo da salvare la società moderna dalle sue contraddizioni e dalla sua crisi.
Questo programma, però, contiene aspetti paradossali che hanno perfino del provocatorio. Infatti, il “nuovo umanesimo” si rovescia in quell’anti-umanesimo che viene chiamato “ecologia integrale”; la “casa comune” viene identificata con la Terra come ambiente materiale; la nuova civiltà auspicata sorgerebbe dal rinunciare alle basi culturali, sociali e politiche della civiltà tradizionale e cristiana.
Il lettore non si faccia ingannare dall’aggettivo “integrale”: esso viene usato solo per dare l’impressione che l’ecologia alla quale si applica sia una ideologia integra, ossia non riduttiva e faziosa ma anzi equilibrata, coerente, comprendente tutti gli aspetti del reale. Eppure, un minimo di approfondimento ci manifesta che l’ecologismo è una “idolatria contro-natura” e anche contro la civiltà.
Stranamente, pur essendo professata spesso da atei o agnostici, l’“ecologia integrale” ha una sorta di propria religione: quella della Madre Terra, che si concretizza nella cosmolatria, ossia nel “culto di Gea” (o di Gaia). Del resto, volendo sedurre masse e popoli, l’ecologismo è obbligato a sfruttare sentimenti e istinti primarî e atavici dell’uomo, compresi quelli religiosi o para-religiosi.
L’ecologismo ha anche un proprio “profetismo” di tipo apocalittico, che si manifesta nelle previsioni di una imminente catastrofe ambientale; sebbene queste previsioni siano periodicamente smentite dai fatti, esse vengono ostinatamente confermate rinviandole però a un futuro presentato comunque come imminente. Questa ossessione apocalittica apparenta l’ecologismo al fanatismo dei Testimoni di Geova, tanto che gli eco-catastrofisti vengono ormai bollati come “Testimoni di Gea”, ossia di Madre Terra. Entrambi questi testimoni chiedono al pubblico una cieca fiducia nelle loro previsioni sempre smentite e continuamente rinviate. Del resto, come dicono gli psicologi, “chi governa la paura governa la società”.
Possiamo dire che l’ecologia integrale ricicla vecchi schemi e motti rivoluzionari inventati dal socialismo utopistico e dal marxismo, adattandoli alla nuova situazione e alle nuove strategie di conquista dell’opinione pubblica.
Ad esempio, l’ecologismo ricicla la lotta del proletariato per riappropriarsi dei beni economici “alienati” dal sistema capitalistico, trasformandola nella lotta del sotto-proletariato del Terzo Mondo per riappropriarsi delle terre “sequestrate” e “sfruttate” dal capitalismo mondialista.
Inoltre, l’ecologismo rilancia il motto ottocentesco “passare ai barbari”, che alludeva alle masse proletarie urbane, trasformandolo nel nuovo motto che “passare ai selvaggi”; che allude alle popolazioni selvagge “emarginate” dalla società, con particolare riferimento a quelle indiane amazzoniche.
Com’è noto, la parola civiltà deriva dal latino civitas, che indica la città, dunque rinvia alla comunità stabile organizzata in centri urbani. La parola politica, poi, deriva dal termine greco polis, che indica anch’esso la città, dunque rinvia all’amministrazione e al governo urbani.
Infatti, la storia dimostra che le civiltà progredite nascono quando le famiglie o le comunità degli uomini, abbandonando la vita nomade dei cacciatori o quella sedentaria dei raccoglitori, si radunano in città stabili, si organizzano politicamente sotto un’autorità e si regolano col diritto pubblico, che può essere corretto e arricchito dal diritto cristiano.
Per contro, la “nuova civiltà” sognata dall’ecologismo è in realtà un’anti-civiltà, perché rifiuta non solo il capitalismo o la tecnocrazia ma anche lo Stato, la città e perfino la famiglia, da sostituire con il comunismo dei beni, la comunità spontanea e occasionale, la tribù e il clan, ossia con quelle forme minime di associazione tipiche delle comunità barbare o selvagge, che non possono assicurare agli associati una vita davvero civile e tantomeno progredita.
Appare quindi paradossale che quella stessa propaganda ideologica, che esalta le Costituzioni politiche e la cittadinanza con i suoi diritti (da riconoscere a chiunque), faccia l’esaltazione di quella “ecologia integrale” che rifiuta le basi non solo giuridiche e politiche ma anche culturali della società organizzata nello Stato.
Il progetto ecologista sembra dar ragione al noto filosofo e storico italiano Giambattista Vico. Oltre tre secoli fa, egli sostenne che le civiltà progredite in maniera disordinata tendono a rinnegare le loro radici religiose e morali, per cui rischiano di rovesciarsi in un’anti-civiltà empia e cinica che le riporta allo stato barbarico o addirittura a quello selvaggio; quest’anti-civiltà risulta molto pericolosa, in quanto pone i suoi progrediti strumenti concettuali e tecnici al servizio di passioni immorali e disordinate. Vico aveva analizzato la situazione della prima metà del XVIII secolo, corrosa dalla “fatua civiltà” dell’Illuminismo, ma oggi egli potrebbe ripetere la sua analisi applicandola alla degradata civiltà del nostro tempo. Egli ne concluse che l’unica salvezza da questo pericolo sta nel ricuperare lo spirito religioso e morale in qualche modo sopravvivente nella popolazione.