Il prossimo sinodo sull’Amazzonia e la Dottrina sociale della Chiesa
Stefano Fontana
Crescono i timori e le perplessità a proposito del prossimo sinodo sull’Amazzonia previsto per il mese di ottobre 2019. Tali perplessità riguardano non solo gli argomenti specifici del sinodo, come per esempio la nuova ideologia ecologista o il rapporto del cristianesimo con le culture indigene, ma anche la possibile utilizzazione del sinodo per far passare teorie teologiche collegate con esso solo in modo strumentale. É questo il caso, per esempio, del celibato ecclesiastico di cui i vescovi panamazzonici potrebbero chiedere l’abolizione o la rimodulazione al papa, ma di cui i veri interessati sono i vescovi tedeschi.
Questi pericoli sono già stati segnalati da molti e su questi temi l’organizzazione del Sinodo è sotto osservazione. Pochi invece hanno sottolineato come dal sinodo sull’Amazzonia, così come è stato impostato e da quanto risulta esaminando il Documento preparatorio, possa derivare un nuovo indebolimento della Dottrina sociale della Chiesa, intesa come corpus dottrinale, cosa purtroppo già verificatasi in questo pontificato.
Possiamo infatti dire che la Dottrina sociale della Chiesa sia il grande assente del pontificato di papa Francesco. I suoi insegnamenti sul fenomeno immigratorio, sull’ecologia, sulla società globale, sull’economia, sull’Europa … non fanno mai riferimento alla Dottrina sociale della Chiesa, non solo nel senso di non richiamarne esplicitamente gli insegnamenti testuali, ma anche nel senso di non rifarsi alle sue categorie concettuali. La tendenza è di riferirsi ad un concetto generico di carità vuoto di determinazioni veritative, di non fare mai appello al diritto naturale, di non basarsi su un ordine della creazione che, essendo finalistico, è anche prescrittivo di comportamenti morali. Senza utilizzare le categorie di pensiero elaborate dalla Dottrina sociale della Chiesa – che è l’incontro della carità evangelica con la verità, sia rivelata che naturale, per la costruzione della comunità umana secondo il progetto di Dio – è facile che l’agire cristiano nel mondo segua le ideologie correnti e più forti, utilizzi in modo improprio i dati delle scienze sociali, agisca in base ad una carità sentimentale.
Nel prossimo sinodo sull’Amazzonia è quindi possibile che la Dottrina sociale della Chiesa sia nuovamente messa da parte in ossequio ad alcuni slogan oggi prevalenti: la solidarietà verso i poveri, la purezza delle religioni primitive inquinate dal progresso occidentale, le colpe della evangelizzazione del subcontinente americano, l’importanza fondamentale della foresta amazzonica per la produzione di ossigeno contro l’effetto serra e così via.
Da come sono state impostate le cose in questa fase preparatoria, già si vede che i principi fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa non sono stati considerati.
Pensiamo per esempio al principio della destinazione universale dei beni e del diritto naturale alla proprietà privata. Il primo di questi due principi non nega il secondo che, anzi, è la modalità naturale per realizzarlo. La diffusione e la difesa della proprietà privata è la modalità più corretta per realizzare la destinazione universale dei beni. A proposito dell’Amazzonia, anche ammettendo il suo valore per l’intera umanità, la soluzione non è – come sembra profilarsi – di sottomettere quell’area ad una specie di governo mondialista facente capo alle Nazioni Unite. Ciò comporterebbe un governo centralista, globalista e super-statalista di quell’area, in disprezzo delle competenze degli Stati legittimi nel cui territorio gravita l’Amazzonia. A quel punto – tra l’altro – gli interessi delle multinazionali sarebbero avvantaggiati, perché troverebbero un terreno già sgombrato dalla presenza dei governi nazionali.
Questo discorso chiama in causa un altro principio della Dottrina sociale della Chiesa, quello di sussidiarietà. Esso vuole che la comunità politica si costituisca dal basso. Attenzione, però, che questo non vuol dire che essa emerga solo alla fine del processo aggregativo. Sia la famiglia che la comunità politica ci sono fin da subito, ma l’articolazione interna della comunità deve essere sussidiaria, in quanto ogni livello deve agire autonomamente in ordine al raggiungimento dei propri fini naturali, ben sapendo, come già Aristotele diceva, che solo l’intera comunità politica basta a sé stessa. L’autorità dei singoli Stati della regione sull’Amazzonia va quindi salvaguardata, insieme alla loro articolazione sussidiaria al proprio interno. Viceversa ci sarebbe una disgregazione delle comunità nazionali e una lesione dei diritti naturali dei popoli e delle patrie.
Collegato alla problematica c’è anche un problema di giustizia, dato che il bene comune, secondo la Dottrina sociale della Chiesa, non può costruirsi contro la giustizia. Le popolazioni indigene sono in ridottissimo numero rispetto all’area interessata e alle sue risorse. I loro diritti vanno contemperati con il bene comune delle nazioni cui essi appartengono e non possono costituire una priorità assoluta.
I motivi per cui oggi si sostiene la causa della cristallizzazione della situazione attuale, mettendo al bando ogni forma di intervento produttivo sull’Amazzonia, lasciando quell’immenso territorio a disposizione di pochi indigeni, sono principalmente due: il motivo ecologico e il motivo culturale. Il primo dice che il pianeta ha bisogno che quella foresta rimanga intatta sia materialmente sia simbolicamente, altrimenti sarebbe compromesso lo sviluppo. Il secondo afferma che la cultura primitiva degli indigeni è una ricchezza da conservare, emblematica ed educativa del giusto rapporto tra uomo e ambiente naturale.
Ora, la Dottrina sociale della Chiesa non ammette nessuna di queste due motivazioni. Essa mette il governo del pianeta nelle mani responsabili dell’uomo il quale, se agisce nel timor di Dio, è in grado di trovare le risorse per il suo giusto sviluppo, evitando eccessi catastrofici. A quanti temevano per il sovrappopolamento della terra, la Dottrina sociale ha sempre ricordato che la ragione umana sa creare domani soluzioni oggi impensabili, come in effetti è avvenuto. Dio ha fiducia nell’uomo, ma è l’uomo a non averne in Dio. La Dottrina sociale della Chiesa non è contro lo sviluppo, è però contro lo “sviluppismo” e anche contro la “decrescita”: ambedue sono scorrette visioni dell’uomo. Chi vuole congelare la foresta amazzonica così come è, è per la “decrescita”, che è una sfiducia verso l’uomo, condannata anche dalla Caritas in veritate di Benedetto XVI.
Quanto al secondo motivo, essa dice che la cultura primitiva, animista, pagana schiavizza la persona, mentre il Vangelo la libera. Il corretto rapporto dell’uomo con la natura non è quello dei primitivi, i quali negano la superiorità dell’uomo sull’intero creato grazie alla sua somiglianza con Dio. Quelle culture esprimono una “religione del mito”, secondo quanto insegnava Benedetto XVI, mentre il cristiano è figlio del Logos. Si capisce che la cultura neopagana delle società occidentali avanzate sia attratta, per affinità, dal paganesimo primitivo degli indigeni amazzonici, ma ciò rivela per contrasto la correttezza del visone cristiana che nega tutto questo. Di recente a Roma si è tenuta una sfilata di moda di una famosa Maison improntata al paganesimo primitivo, compreso un elogio della “Rupe Tarpea” ove venivano sacrificati i bambini deboli. La nostra cultura avanzata ha molti elementi neopagani, ma lo sviluppo di cui essa gode non è venuto dal paganesimo, come non verrà dai primitivi dell’Amazzonia. Essi, invece, hanno diritto a conoscere il Logos, la verità, sia umana che cristiana.
Stefano Fontana