La destra del Signore si è alzata di Aurelio Porfiri

 

 

di Roberto de Mattei

Aurelio Porfiri, nato nel quartiere antico e popolare di Trastevere, e dunque autentico “romano di Roma”, è stato allievo del Maestro, poi cardinale, Domenico Bartolucci, l’ultimo grande direttore della Cappella Sistina, ed è innanzitutto un musicista. È autore di centinaia di composizioni e di una storia della musica sacra cattolica, pubblicata dal Centro cattolico della Chinese University, in lingua cinese e in inglese, con il titolo Forever I will Sing

Io l’ho conosciuto in anni lontani e ancora ricordo i bei concerti da lui diretti nella Basilica di San Crisogono, dei padri Trinitari, dove riposano le spoglie della beata Anna Maria Taigi, una santa a lui cara, come a lui caro è il Servo di Dio Rafael Merry del Val, segretario di Stato di San Pio X, che fino alla morte, nel 1930, esercitò il suo apostolato tra i giovani di Trastevere.

Trasteverino, ma proiettato dalla vita ai confini del mondo, fino a Macao e ad Hong Kong, Aurelio Porfiri, pur senza rinunciare alla musica, ha progressivamente allargato il campo dei suoi interessi ai temi di attualità religiosa e culturale, con riflessioni apparse in libri, riviste, blog e social media italiani e stranieri. Ciò che lo ha spinto ad intervenire è stato soprattutto lo spettacolo di devastazione della musica sacra e della liturgia degli ultimi decenni. 

Gli anni del post-concilio sono stati un periodo in cui si è assistito a una rivoluzione della Chiesa, attuata in nome di uno “spirito del Concilio” che ha spesso contraddetto gli stessi documenti che si vantava di promuovere. L’esistenza di questa rivoluzione religiosa e la ricerca di un punto di riferimento a cui ancorarsi, ha portato Porfiri ad incontrare il mondo del cosiddetto “tradizionalismo”, al quale egli non è mai appartenuto, ma al cui interno ha vissuto e vive con partecipazione talvolta sofferente, fino a decidere di ricostruirne la storia. 

Porfiri non è uno storico nel senso proprio del temine, ma piuttosto un attento testimone e cronista, che in questo libro svolge egregiamente il suo compito, che è quello di raccontare ciò che ha visto con libertà e indipendenza di giudizio. 

Il tradizionalismo di cui si occupa Aurelio Porfiri è il movimento, nato in reazione al Concilio Vaticano II, soprattutto dopo la riforma liturgica di Paolo VI del 1969. Va detto però che il tradizionalismo contemporaneo è la sottospecie di una più ampia scuola culturale che nasce in reazione alla Rivoluzione francese e che si alimenta a una profonda teologia della storia spesso sconosciuta ai neo-tradizionalisti dei nostri giorni. 

I padri fondatori del tradizionalismo sono, in questa prospettiva, non solo eminenti autori come Joseph de Maistre e Juan Donoso Cortés, ma anche   i grandi Papi dell’Ottocento e del Novecento, soprattutto il beato Pio IX e san Pio X, che nella lettera apostolica Notre Charge Apostolique del 25 agosto 1910, afferma che: “I veri amici del popolo non sono né rivoluzionari, né novatori, ma tradizionalisti”. 

Non si può comprendere, perciò, mons. Marcel Lefebvre senza la Cité Catholique fondata nel 1946 da Jean Ousset, così come bisogna ricordare che l’azione del prof. Plinio Corrêa de Oliveira, risale agli anni Trenta del Novecento, e si pone in diretta continuità col pensiero controrivoluzionario del secolo precedente. Questi cattolici, che sono stati etichettati, o si sono definiti, come “intransigenti”, “ultramontani”, “integristi”, “contro-rivoluzionari”, “tradizionalisti”, “anti-modernisti”, sono stati e sono prima di tutto cattolici. 

Ciò che dovrebbe qualificarli non sono le denominazioni polemiche, ma la vera fede della Chiesa. Io stesso, pur non rifiutando l’etichetta di “tradizionalista”, che mi viene attribuita, se dovessi auto-definirmi, utilizzerei le parole di san Paciano di Barcellona: Christianus mihi nomen est, catholicus cognomen

La crisi religiosa e culturale è penetrata anche all’interno del tradizionalismo contemporaneo, dividendolo in gruppi e correnti. Porfiri è colpito da queste divisioni e osserva come oggi non esiste un tradizionalismo cattolico, ma tanti tradizionalismi, spesso impegnati fra di loro in “singolar tenzone”, che nelle sue pagine meticolosamente registra. 

Accanto agli istituti e ai gruppi, più o meno noti, che si muovono all’interno delle istituzioni della Chiesa, vi sono quelli ai margini o al di fuori di essa: sedevacantisti, sedeprivazionisti, sedematerialisti, sedeimpeditisti. Spesso questi gruppi hanno sottogruppi e non di rado sono uno contro l’altro. Porfiri dà voce ad ognuno di essi, ma il rischio di ricordarli tutti, evitando giudizi di merito, è quello di alimentare quella confusione dialettica che giustamente egli lamenta e che lo ha spinto a intraprendere la sua ricerca. 

Il suo tentativo di ricostruzione storica di un movimento così complesso resta comunque pionieristico e perciò va apprezzato. Il maestro Porfiri non è un tradizionalista, ma non è nemmeno un anti-tradizionalista. Ama la tradizione, ma rifiuta quella che definisce la patologia del tradizionalismo. 

Il prof. Andrea Sandri ha individuato tre passaggi di questa patologia, esplosa soprattutto nell’era post-Covid: la negazione della Chiesa visibile, la riduzione dell’ordine ecclesiastico al proprio gruppo di riferimento e l’impostazione politico-apocalittica culminante nell’elevazione dell’azione politica a “grande sacramento” di liberazione (Vigiliae Alexandrinae, 29 giugno 2021). 

Ne deriva la tendenza a dimenticare che il Cristianesimo è una realtà istituzionale e ordinata, e a spostare la frontiera della Tradizione dalla vita soprannaturale, che passa in secondo piano, alla lotta di liberazione del mondo dal grande complotto politico. La grazia finisce per collocarsi del tutto esteriormente in questa lotta in cui la salvezza deve essere afferrata dall’uomo nella militanza contro un potere che è cattivo non per i suoi abusi, ma nella sua essenza.

Non c’è da stupirsi se all’interno del movimento tradizionalista incontriamo figure di grande levatura intellettuale e morale, accanto a personaggi che hanno voluto solo ritagliarsi un poco di notorietà, attirando attorno a sé persone fragili e scontente. 

Il libro di Aurelio Porfiri, scritto con il buon senso del “romano de Roma”, è anche un invito a meditare sulla frammentazione di un mondo che troppo spesso per cercare la purezza, cade nell’abisso del caos. “Chi deve vigilare – ha scritto Porfiri – è proprio chi si sente più puro perché in cima alla montagna di san Juan de la Cruz l’equilibrio è più precario e l’aria si fa più rarefatta” (Stilum Curiae, 29 ottobre 2022). 

Al maestro Porfiri è anche cara una frase di Gustave Thibon: “Niente ha più bisogno di purificazione di ciò che noi chiamiamo purezza”. Ciò significa, che per giudicare con purezza bisogna avere anche il cuore libero dal male e non odiare gli amici vicini più di quanto non si detestano i nemici lontani. Per questo è prescritto di lasciare solo a Dio il giudizio sulle intenzioni dei nostri fratelli nella fede.

Il Motu ProprioTraditionis Custodes di papa Francesco del 18 dicembre 2021, confermato dal Rescritto approvato dal Santo Padre il 21 febbraio 2023, sembra andare nella direzione dello smantellamento dei gruppi tradizionalisti. Ma è legittimo chiedersi se, nella pur legittima resistenza alle misure restrittive ingiuste, certe critiche dei tradizionalisti ai loro persecutori non differiscano dalle loro posizioni che per il loro atteggiamento esteriore, mentre a livello interiore, le qualità dell’anima restano assai simili.  

Aurelio Porfiri conclude il suo libro, affermando che la questione del tradizionalismo cattolico appare come una spina nel fianco del cammino della Chiesa postconciliare. Dopo dieci anni di pontificato di papa Francesco, è difficile prevedere gli sviluppi futuri di questo cammino che, osserva giustamente, saranno comunque legati alla figura del nuovo Pontefice. È vero. Nella Chiesa il Papa, Vicario di Gesù Cristo, se talvolta è un problema, è anche sempre la soluzione di ogni problema. 

 

Fonte: Corrispondenza Romana, 7 Agosto 2024.