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Centenario di Plinio Corrêa de Oliveira

 

Per una civiltà cristiana del terzo millennio

 

di Giovanni Cantoni

 

 

[Dopo Roma, è toccato a Milano ospitare un convegno in onore del prof. Plinio Corrêa de Oliveira. L’atto si è svolto nella Sala Verdi del Westin Palace Hotel (foto sopra). Tra i relatori, il sig. Giovanni Cantoni, Reggente nazionale di Alleanza Cattolica nonché direttore del mensile Cristianità. Offriamo ai nostri lettori ampi stralci di un suo dialogo con il giornalista Francesco Pappalardo, tenutosi a Roma lo scorso 15 ottobre, conservandone lo stile colloquiale.]

 

Mi viene chiesto di commentare un libro, uscito di recente, e che contiene diversi scritti miei raccolti sotto il titolo «Per una civiltà cristiana del terzo millennio. La coscienza della Magna Europa e il quinto viaggio di Colombo».


Chiesa e Cristianità

Nel parlare di civiltà cristiana dobbiamo tenere ben presente che la Cristianità non è la Chiesa: sono due realtà diverse, ma, se vi è la Chiesa, vi è obbligatoriamente anche la Cristianità. In termini molto semplici ma realistici la Cristianità è l’insieme degli uomini che vanno a Messa la domenica, e questo non si confonde con la Chiesa. La Chiesa è una struttura il cui scopo primario è quello di annunciare il Vangelo, nonché di amministrare i sacramenti che conferiscono la grazia necessaria per tradurre in atto le cose che vengono suggerite o proposte dal Vangelo.

Da soli non ce la faremmo: tutti abbiamo fatto e facciamo l’esperienza quotidiana del peccato originale; facciamo buoni propositi, salvo poi eluderli dopo neanche mezz’ora. Che cosa è successo? Li abbiamo dimenticati? No, semplicemente abbiamo provato la nota formula secondo cui fra il dire e il fare vi è di mezzo il mare. Ovvero, fra la capacità d’immaginare cose buone e quella di metterle in pratica vi è uno spazio occupato dal peccato originale.

 
Non a caso, nel libro «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione», Plinio Corrêa de Oliveira afferma che uno dei leitmotiv dei contro-rivoluzionari deve essere quello di ricordare che vi è il peccato originale.

La Cristianità, dunque, esiste e non coincide con la Chiesa: è quanto si può costruire, umanamente parlando, con gli uomini che vanno a Messa e che possono svolgere, usando una formula dello stesso Corrêa de Oliveira, un ruolo «ministeriale», aiutando la Chiesa con la loro missione temporale. La Cristianità è l’insieme degli uomini che pensano determinate cose e che si sforzano per costruire mondi che favoriscano la conversione alla Chiesa o, meglio, la pratica quotidiana della conversione, visto che si tratta di un processo continuo.


Magna Europa

Che cos’è la Magna Europa? Mi esprimo con una formula che è ben nota a chi ha qualche dimestichezza con la teologia morale. La Magna Europa è una realtà di risultanza, come si dice, per esempio, che la castità è una virtù di risultanza. Che cosa vuol dire questo? Che non è una mera dichiarazione. Le dichiarazioni non sono inutili, sono anzi impegnative. Ma, finché non si costituisca un ambiente che favorisca la formulazione dei buoni propositi, nonché la loro continua reiterazione e messa in pratica, non possiamo dire che esista una civiltà cristiana.

Papa Giovanni Paolo II una volta disse che l’Europa è un continente culturale. Non è dunque un continente geografico. Noi abbiamo sparso per il mondo l’idea che il Vecchio Continente sia, appunto, un continente. Ma, se prendiamo la definizione dal dizionario, «estensione di terraferma circondata da oceani», questo non è vero. Dal punto di vista geografico siamo una piccolissima penisola asiatica. Ma non dal punto di vista culturale.

Noi siamo un continente sui generis, la cui realtà si estende molto al di là dei suoi limiti geografici. Quando abbiamo cominciato a pensare di essere europei? Solitamente menziono un documento del secolo VIII, una cronaca della battaglia di Poitiers, del 732, scritta dal monaco lusitano Isidoro Pacensis, dove per la prima volta si usa l’aggettivo «europei» per attribuire un’identità collettiva ai combattenti che avevano fermato l’avanzata musulmana.

Questa è la prima menzione moderna del termine, nel senso in cui noi lo intendiamo. Ed è un senso che sorge da un fatto negativo, da un’aggressione. A nessuno piace essere aggredito. Ma le aggressioni possono servire per acquisire consapevolezza della propria identità. Cioè, quelli che arrivavano hanno costretto a dire a quelli che vi erano: noi europei.

Ma potrei darvi anche un fatto positivo. Di recente, Papa Benedetto XVI ha illustrato, nel corso delle sue udienze generali, una figura che mi è molto cara, san Colombano (540-615). In due sue lettere scritte al Papa si dice «Europa» per dire il mondo cristiano. È una nozione in positivo. Non vi erano soggetti che arrivavano né soggetti che pensavano in modo diverso. Questo porta indietro di più di un secolo rispetto al documento su Poitiers, quindi l’affermazione positiva precede quella nata dallo scontro.


Il quinto viaggio di Colombo

Il “quinto viaggio di Cristoforo Colombo” (1451 ca.-1506), nella felice espressione del filosofo argentino Alberto Caturelli, si riferisce all’apporto che l’Iberoamerica può dare alla rinascita di una civiltà cristiana europea.

Mi esprimo, di nuovo, in termini molto semplici, ma realistici. Noi tutti nasciamo: non scegliamo i nostri genitori, ce li troviamo davanti; ma i maestri li scegliamo noi. E posso dire che, nella mia vita, ho incontrato diversi maestri iberoamericani e non mi sono sottratto alla loro influenza, fino a plasmare una parte della mia cultura grazie a quel mondo.

Ed è proprio in autori iberoamericani che ho trovato questa formulazione: un mondo culturale è partito dall’Europa ed è approdato in America. Partendo, i nostri antenati si sono portati dietro delle cose. E non parlo della solita valigia di cartone tenuta con lo spago, ma di quello che portavano nell’anima. Non si sono portati via la cattedrale di Cefalù, al limite se ne portavano una fotografia, un’immagine, ma si sono portati un’anima segnata dalla contemplazione di questa cattedrale, un’anima cioè piena delle meraviglie della civiltà europea.

A un certo punto, però, insieme a tanti elementi positivi hanno cominciato a portare anche elementi negativi. E questi hanno messo in sospetto molti iberoamericani. Nasce così l’idea che, poiché a casa, cioè nell’Europa Continentale, era successo qualcosa di molto brutto, spettava a loro riportare a casa quanto di buono avevano ricevuto, seppure soltanto in fotografia.

Ho quindi incontrato autori che, nella loro lontananza ma anche nella loro vicinanza, mi hanno aiutato a guardarmi attorno a casa mia: la cattedrale, di cui laggiù vi era soltanto la fotografia, o addirittura appena il ricordo, la guardo ogni tanto, e sono immensamente grato a questi autori che mi hanno fatto riflettere con nuovi occhi sulla mia civiltà.


Plinio Corrêa de Oliveira

Fra tutti, e non dico niente di nuovo, sono particolarmente grato a Plinio Corrêa de Oliveira. La sua è una testimonianza straordinaria perché egli non poteva vedere quella cattedrale ma, facilitato dal Pathos der Distanz, dal «pathos della lontananza», ha apprezzato le meraviglie della civiltà europea meglio di quanto si possa fare vedendo fisicamente la cattedrale.

La sua opera, per me ma anche per voi, ha avuto e ha una grandissima importanza perché è uno strumento per rendere utile un’esperienza di cinquecento anni. La sua opera non è, nel modo più assoluto, una realtà chiusa ma è anzi aperta, nel senso che egli ha proposto termini di riflessione sul mondo in cui viviamo.

Io non l’ho preso alla leggera, nel senso che è il primo autore che ho incontrato e il primo amore non si scorda mai. Non è vero. Mi sono guardato attorno e mi sono posto un problema, quello di vivere in questo residuo di cristianità, con tutti i suoi elementi di putrescenza, di degrado ultimo. Ma anche con questa ambiguità, che è una nota specifica della Rivoluzione Culturale: crollano tutti i miti, compresi i miti della Rivoluzione. E questo è molto importante.

Mi sono scelto maestri e fra questi non chi mi proponeva magisteri perfetti, dettagliati, ma, soprattutto, suggerimenti utilizzabili. Ho trovato in Rivoluzione e Contro-Rivoluzione precisamente questo: una strumentazione non solo utile per giudicare e per inquadrare il passato, ma anche per inquadrare il futuro, nella misura in cui sia inquadrabile. Ovvero quella seconda parte del libro, che parla appunto della Contro-Rivoluzione. Mentre la prima parte è la più ovvia, mi sembra che la parte più arricchente sia la seconda, che risponde alla domanda: e adesso cosa si fa?

Anche se, ovviamente, hanno bisogno di adattamenti, di dettagli, di comprensioni, gli strumenti proposti da Plinio Corrêa de Oliveira non hanno perso niente della loro attualità. Rivoluzione e Contro-Rivoluzione si può leggere in due modi: come una gabbia dorata nella quale ci si rinchiude, oppure come uno strumento di misura utile per giudicare la nostra storia e per orientare la nostra azione oggi.

Il “quinto viaggio di Colombo”, dunque, è semplicemente il deposito, che spesso è solo ricordo, o addirittura appena desiderio, che è stato affidato ai confini del mondo dove è arrivata la nostra cultura, e che oggi ritorna come combustibile per rimettere in moto la nostra civiltà.


Il ruolo degli ambienti

Parlando di Plinio Corrêa de Oliveira, nell’opera sopra menzionata, affermo che forse il principale aspetto di novità è l’attenzione alle tendenze e agli ambienti.

Credo che noi dobbiamo abituarci a usare quella formulazione, così bella e così puntuale: la famiglia, Chiesa domestica. Ma io propongo di procedere oltre: la famiglia, Cristianità domestica. Cioè un luogo con soggetti attualmente cristiani, con maggiore o minore consapevolezza.

E qui tocchiamo una nozione che mi piacerebbe sviluppare in un altro momento, il passaggio dal naturale al soprannaturale, tenendo presente che il nostro modo per esprimere il soprannaturale parte dal naturale.

Ho riletto recentemente un’opera, piccola ma eccezionale, sulla prima santa americana, nel senso che ha vissuto negli Stati Uniti d’America ma è italiana, nata a pochi chilometri da casa mia, a Sant’Angelo Lodigiano: santa Francesca Saverio Cabrini (1850-1917). In uno dei suoi scritti dice: imparate e rispettate le regole della buona educazione, che è metà della santità. Attenzione, lei non dice: andate a fare un giro a Lourdes per diventare santi — il che sarebbe una cosa eccellente — ma rispettate la buona educazione.

Quando cresciamo e ci sviluppiamo, le prime cose che impariamo riguardano le realtà più elementari. Prima di conoscere la metafisica di Gottfried Leibniz (1646-1716), noi veniamo a contatto con le piccole realtà che ci circondano. Vuol dire che la nostra cultura si costruisce sulla base di esperienze quotidiane, fondamentali.

 
Per esempio, se a un bambino la madre parla male del padre, presentandolo come uno stupido, passerà molto tempo prima che quel bambino possa pregare un Padre Nostro accettabile, perché gli è venuto a mancare il modello di padre. Se non siamo capaci di trattare il nostro vicino come signore, come potremo interpretare correttamente il Signore che è nei Cieli?

Ecco perché santa Francesca Cabrini poteva dire che rispettare le regole della buona educazione è metà della santità: perché è il fondamento della santità, il rispetto di determinate relazioni, la trasformazione di queste relazioni in parametri con i quali misuriamo tutto il resto. Noi non inventiamo una nuova lingua per parlare con Dio, lo chiamiamo Signore, Padre, e via dicendo. Ma, se signore è malsonante, se non abbiamo idea di cosa sia un vero padre, come possiamo rivolgerci a Dio in questi termini?

Noi tendiamo a credere che il problema sia quello delle strutture. Ma attenzione, le strutture sono il risultato di microstrutture familiari: se le microstrutture familiari funzionano, qualcosa funziona anche in grande.


L’eredità del dottor Plinio

Io ho trovato in Plinio Corrêa de Oliveira una straordinaria sensibilità per la civiltà europea. Egli si è trovato a vivere in un mondo diverso dal nostro. Ma, perfino guardando una semplice immagine di un monumento della civiltà cristiana europea, ha saputo risalire fino alla cultura e alla santità che aveva prodotto quella civiltà.

Guardandosi attorno, ha scoperto le rovine di questa civiltà, ma ha osservato queste rovine con tanta attenzione da penetrarle e da coglierne gli elementi permanenti.

Odorando un vaso ormai vuoto, Plinio Corrêa de Oliveira ha sentito il profumo della rosa che vi era stata piantata. Egli ha osservato piccoli, residuali comportamenti quotidiani, il modo di salutare, il modo di vestire, il modo di pregare e ha saputo cogliere degli elementi essenziali che ha collegato alla civiltà cristiana europea. Una civiltà della quale egli, a sua volta, proponeva la restaurazione.