Vecchi fantasmi
Che il mondo non sarà più lo stesso una volta superata l’attuale crisi sembra ormai un dato acquisito. Da più parti gli analisti stanno prospettando un ridimensionamento, anche drastico, del nostro tenore di vita. Il folle ottimismo che ha caratterizzato la nostra civiltà negli ultimi sessant’anni sembra avere i giorni contati.
E mentre si dissolve il sogno di una prosperità senza limiti, vecchi fantasmi del passato sembrano voler risorgere dai morti.
Allo scoccare del XX secolo, con la sola eccezione della Turchia, comunque alleata dell’Occidente, tutti i paesi a maggioranza musulmana erano sotto la dominazione europea. Lo spettro dell’islam guerrafondaio, che aveva terrorizzato l’Europa per quasi un millennio, era ormai un ricordo del passato. Un secolo dopo, la partita si è rovesciata. “L’islam alla conquista dell’Europa” ha cessato di essere il titolo di un romanzo di fantapolitica per diventare l’articolo in prima pagina sui nostri quotidiani.
Ma l’islam non è l’unico spettro redivivo.
Dopo un periodo di relativo letargo, la sinistra latino-americana torna a governare in importanti paesi, rilanciando, come nel caso dell’Argentina, politiche stataliste che sembravano ormai superate. L’Unasur (Unione delle Nazioni Sudamericane), versione locale dell’Unione Europea, prende una piega sempre più rivoluzionaria, sfidando perfino l’Europa, come nella vicenda di Julian Assange a Londra. Qualsiasi dissenso a destra è aspramente debellato. Si veda il caso del Paraguay.
La crisi economica, interpretata come il definitivo fallimento del modello liberista, ha ridato vita a correnti socialiste da tempo fossilizzate.
Per un parallelismo non del tutto casuale, anche in ambito cattolico, dopo un periodo di relativa bonaccia — caldeggiata da alcuni atteggiamenti di Benedetto XVI soprattutto all’inizio del suo pontificato — vecchi fantasmi sembrano riprendere forma.
Le imponenti manifestazioni in occasione del funerale a Milano del cardinale Carlo Maria Martini — del quale tutto si può dire fuorché la sua teologia fosse, in punti assai basilari, in linea col Magistero tradizionale della Chiesa — hanno mostrato un progressismo italiano sorprendentemente robusto e desideroso di prendersi una rivincita.
Ma è ancora dall’America Latina che si alza lo spettro forse più inquietante. Parliamo della Teologia della liberazione. Condannata dal Vaticano nel 1984, posta al margine della storia dal crollo del socialismo reale, resa irrilevante dal trionfo di modelli socio-economici opposti a quelli che proponeva, ecco che questa corrente rivoluzionaria balza dalla notte dei tempi alle pagine di Avvenire e dell’Osservatore Romano, sulla scia di certe dichiarazioni di alti prelati.
Si afferma che, depurata dal marxismo, la Teologia della liberazione potrebbe offrire risposte adeguate alle situazioni di disagio provocate dall’attuale crisi economica. Ci si augura che essa possa forgiare una nuova coscienza sociale dopo anni di liberismo sfrenato che, se da un lato avrebbe aumentato la ricchezza di alcuni ceti sociali, dall’altro avrebbe creato zone di povertà che non vanno dimenticate.
Dopo anni di virtuale assenza, il nome del sacerdote peruviano Gustavo Gutiérrez Merino, fondatore della Teologia della liberazione, torna alla ribalta, citato da importanti organi della stampa cattolica e presentato come “amico personale” di personaggi vaticani. Si vuole dare l’impressione che la condanna del 1984 sia ormai superata.
Quali sono i fondamenti di questa teologia? Epurata da concetti marxisti, la Teologia della liberazione può risolvere i problemi di povertà esistenti nel mondo, in particolare nell’America Latina?
Ecco il tema del dossier, necessariamente conciso, che offriamo ai nostri lettori.