USA: inizio di una persecuzione religiosa?
All’indomani dell’attacco proditorio a Pearl Harbor, rispondendo alle adulazioni degli ufficiali che si complimentavano con lui per la facile vittoria, l’ammiraglio Isoroku Yamamoto pronunciò quel mot célèbre: “Abbiamo solo svegliato il gigante assopito!”.
Qualcosa di simile si potrebbe dire, almeno riguardo una parte degli Stati Uniti, sulla recente rielezione di Barack Hussein Obama. Al tempo della sua elezione, nel 2008, prevedendo il tipo di cambiamenti ai quali il Paese andava incontro, un opinionista aveva scritto: “Non bisogna domandarsi quali rivoluzioni potrà realizzare il nuovo presidente, lui stesso è la Rivoluzione”.
Infatti, per la prima volta nella storia degli Stati Uniti era stato eletto un presidente nero, seguace della Black Theology of Liberation, nella quale scorge “un forte potenziale rivoluzionario”, di idee apertamente socialiste improntate a quel “socialismo populista” avanzato da Saul Alinsky, di cui è discepolo, partigiano di ogni forma di aborto, compreso l’orribile partial birth abortion (il bimbo è ucciso mentre nasce), sostenitore delle frange più estreme dei movimenti omosessualista e femminista, favorevole alla liberazione delle droghe, avversario delle sane tradizioni del Paese, e via dicendo.
Per usare il gergo politico americano, per la prima volta era stato eletto non un liberal ma un radical.
Non tutti hanno intuito nell’immediato le conseguenze estreme di questo evento epocale. Obama ha praticamente mantenuto immutata la politica estera statunitense: fatto che ha indotto taluni analisti a vedervi una continuità istituzionale, mentre, in realtà, si è trattato di una vera e propria cesura storica, appunto di una Rivoluzione. È opinione di un numero crescente di analisti, sia politici sia ecclesiastici, che la gravità di tale situazione cominci ad affiorare e potrebbe degenerare in guerra civile. Perché questo giudizio non sembri esagerato, bisogna spendere due parole sulla mentalità americana.
Gli Stati Uniti si sono sempre caratterizzati per una “way of life” affabile e aperta, che considera con distacco i contrasti di opinione, una “way of life” ottimista e irenica che predilige il pragmatismo e rifugge dalla disquisizione teorica, sempre pericolosa in quanto facile premessa di idee assolute e, quindi, di perniciose divisioni. Tale “way of life” permise di stabilire un clima di tranquilla convivenza e di consenso – il famoso “American compact” – distante anni luci dall’ambiente europeo, endemicamente lacerato da polemiche e da guerre. La Guerra Civile del 1861-1864, seppur molto cruenta, costituì solo una parentesi in una lunga storia di concordia nazionale.
Concessivo per natura, tale spirito poteva facilmente degenerare in un liberalismo sfrenato, atto a suscitare reazioni che avrebbero potuto dilacerare il tessuto nazionale, dando vita perfino a movimenti contro-rivoluzionari e, quindi, a guerre tipo Vandea. Per evitare tutto ciò, lo Stato assunse la difesa della religione cristiana in genere quale fondamento dell’ordine morale, sociale e politico. Donde il paradosso di uno Stato costituzionalmente aconfessionale che si proclamava tuttavia apertamente cristiano, perfino incorporando nella sua vita pubblica non poche manifestazioni religiose. Ci riferiamo alla cosiddetta “civil religion”.
La salvaguardia della “way of life” presuppone l’assenza di conflitti che possano lacerarla. Presuppone quindi il mantenimento di un ampio consenso intorno alla civil religion quale fondamento dell’ordine americano. E, infatti, per più di duecento anni le polemiche dottrinali, culturali e politiche si erano sempre mantenute entro certi parametri che vedevano opposti conservatives e liberals. Le componenti radical (come d’altronde quelle tradizionaliste in senso europeo), pur presenti, erano marginali.
L’elezione di Obama, nel 2008, ha fatto saltare in aria questo equilibrio. I pesanti interventi governativi in aree così sensibili della realtà statunitense che nessuno avrebbe mai sognato di toccare, stanno creando spaccature e rancori non molto dissimili a quelli che precedettero il conflitto del 1861.
Facciamo un esempio. La riforma sanitaria proposta dal presidente Obama, la famigerata Obamacare, non solo introduce sostanziali modifiche nel sistema sanitario nazionale, ma pone la scure alle radici stesse della mentalità americana, fondata sull’idea di responsabilità individuale e non sull’assistenzialismo dello Stato, cosa del tutto aliena al sistema americano. Oltre agli aspetti politici ed economici, già di per sé preoccupanti, l’Obamacare implica un’immensa rivoluzione culturale che potrebbe cambiare per sempre la mentalità di larghe fasce della popolazione.
Come è riuscito a Obama questo tour de force? Egli ha fatto leva su quei cittadini particolarmente inclini a ricorrere agli aiuti statali – gente di colore e ispanici – che, nonostante tutta la retorica sul melting pot, non si sono mai integrati perfettamente nel sistema americano, e adesso sembra che vi stiano rinunciando del tutto. Proprio coloro ai quali si riferiva Rommey quando ha dichiarato: “Costoro non voteranno mai per me”. E così è andata.
Ma, come dicono gli americani, “there ain’t no free lunch” (non c’è pranzo gratuito). Qualcuno deve pure pagare il conto. Chi pagherà? Ovviamente quella parte della cittadinanza che, nel tipico american style, non si adagia sull’assistenzialismo statale ma preferisce lavorare sodo. Sarà disposta a pagare il conto degli altri? Basta leggere i giornali e i blog americani di queste ultime settimane per accorgersi quanto questa fetta di America si senta presa in giro e stia mostrando una insofferenza crescente i cui esiti sono difficili da prevedere. L’intervento radicale di Obama ha provocato una reazione altrettanto radicale. E stiamo parlando del 48% degli americani, vale a dire coloro che hanno votato Mitt Rommey e che, in futuro, potranno votare Paul Ryan o addirittura Rick Santorum.
L’area dove l’ingerenza obamista sta provocando maggiori disagi, però, è il terreno religioso.
Rompendo ogni equilibrio storico, e calpestando la libertà religiosa, un principio fondamentale del sistema americano, Obama ha cancellato l’obiezione di coscienza nelle strutture sanitarie nazionali. L’Obamacare prevede, infatti, che medici e infermieri non possano più addurre un conflitto di coscienza quando si tratti di eseguire interventi contrari alla morale cristiana, come l’aborto, l’eutanasia o la somministrazione di contraccettivi. La reazione dei cattolici è stata decisa e compatta.
Fatto forse unico nella storia degli Stati Uniti: la totalità dei vescovi diocesani,vale a dire 195 prelati, hanno denunciato apertamente la persecuzione religiosa scatenata dal presidente Obama.
Il cardinale Raymond Burke, già arcivescovo di Saint Louis e attuale Prefetto della Segnatura Apostolica del Vaticano, è stato molto chiaro: “Ci stiamo inoltrando in una situazione di vera e propria persecuzione religiosa”.
“Il 1° agosto 2012 segna l’inizio della persecuzione religiosa contro le università e le scuole cattoliche che vorranno restare fedeli al Magistero della Chiesa”, leggiamo in un manifesto pubblicato dalla Cardinal Newman Society.
Preoccupa in modo particolare l’imposizione di un’assicurazione obbligatoria per tutto il personale sanitario, che comprende la sommistrazione gratuita di contraccettivi. A partire dal 2013 chi lavora in ambito sanitario sarà costretto a scegliere fra l’obbedienza alla legge di Dio e l’obbedienza alla legge di Obama.
Se a questo aggiungiamo una serie di disposizioni legali che, sotto il pretesto della “non-discrimazione”, praticamente vietano alla Chiesa cattolica di insegnare la sua dottrina morale, possiamo capire le inquietanti dichiarazioni del cardinale Francis George, arcivescovo di Chicago: “Io spero di morire nel mio letto. Il mio successore morirà certamente in prigione. Il suo successore morirà martire sulla piazza pubblica”.
Quando si può parlare di martirio nella pubblica piazza negli Stati Uniti, è chiaro che è stato oltrepassato il limite. Da parte loro, non vi è più il rispetto per i parametri tradizionali del sistema americano. Sono disposti a calpestare qualsiasi principio pur di imporre la loro rivoluzione. Dall’altra parte cresce la consapevolezza di dover giungere al martirio pur di difendere i principi non negoziabili. Il “gigante assopito” si sta risvegliando? Con quali conseguenze? Solo il futuro lo dirà.