Teologia e populismo
di Ferenc Dosza
Assistiamo al tentativo del governo venezuelano di ingaggiare Papa Francesco come mentore della Rivoluzione Bolivariana. Tutto in nome della Teologia della liberazione.
Un fattore, e non l’ultimo, che ha permesso al regime chavista di perpetuarsi nel potere è il fermo appoggio che riceve da un certo cattocomunismo ispirato alla Teologia della liberazione.
In America Latina è impossibile governare senza la Chiesa. Lo ha capito perfino Fidel Castro che, vittorioso nella guerriglia della Sierra Maestra nel 1959, è entrato all’Avana con un Rosario al collo, cercando poi di agganciare le autorità ecclesiastiche alla sua rivoluzione. Manovra pienamente riuscita, giacché perfino il Segretario di Stato di Sua Santità (all’epoca Paolo VI), cardinale Agostino Casaroli, dichiarò che i cattolici stavano benissimo nella Cuba comunista. Il regime castrista ha sempre potuto contare sull’appoggio dei teologi della liberazione, che hanno perfino scritto diversi libri in suo sostegno, tra cui una surreale «Lettera teologica su Cuba», nella quale difendono la miseria causata dal socialismo come una “scelta evangelica” (sic).
Storia non molto diversa per il “comandante” Hugo Chávez. Estromesso dal potere nel 2002 da un movimento popolare, il caudillo fu riportato alla presidenza dall’allora arcivescovo di Caracas, mons. Antonio Ignacio Velasco García. Rientrato nel Palazzo Miraflores, le sue prime parole furono “¡Socialismo o muerte!”.
Da allora non gli mancò il sostegno dei teologi della liberazione latinoamericani, giuntogli specialmente attraverso il suo stretto collaboratore e mentore spirituale, il sacerdote gesuita Jesús Gazo, cappellano dell’Università Cattolica del Táchira.
Non si tratta, però, della teologia della liberazione vecchio stile: marxista, guerrigliera, sovversiva. Questa fu condannata dal Vaticano nel 1984, e da allora ha dovuto riciclarsi. Si tratta di una nuova teologia della liberazione, che si definisce piuttosto populista che marxista, e che oggi sostiene i processi rivoluzionari in corso in America Latina.
Il presidente dell’Ecuador Rafael Correa, per esempio, si è laureato all’Università Cattolica di Lovanio, dove ha studiato col teologo della liberazione François Houtart, del quale si dichiara discepolo. In Bolivia si è sviluppata una teologia della liberazione indigenista, che presta non poco sostegno al presidente socialista Evo Morales. E, fino al suo impeachment, il presidente del Paraguay, Fernando Lugo, sapeva di poter contare su questa corrente, della quale era esponente.
Questo populismo si traduce in un marcato rancore contro tutto ciò che rappresenta eleganza, raffinatezza, cultura, tradizione. Le belle maniere sono schernite come “atteggiamenti borghesi”. La cultura occidentale è respinta come “imperialista”. Le élite sono trattate come “parassite”. La bellezza è disprezzata come indegna del popolo. E perfino la religione cattolica tradizionale è snobbata come quella dei padroni. Mentre alla cultura europea si contrappone quella indigena, alla “Chiesa gerarchica” si contrappone la “Chiesa dei poveri”.
E oggi assistiamo al tentativo maldestro di addossare questo populismo a Papa Francesco. Indicativa, in questo senso, la lettera inviata al Pontefice dal nuovo presidente di Venezuela Nicolás Maduro, e che riproduciamo in calce.
La lettera si apre con toni da camerata: “Compatriota Sudamericano”. Dopo aver esaltato Hugo Chávez come “leader, padre e guida della Rivoluzione Bolivariana”, Maduro si augura che l’elezione del “primo latinoamericano a occupare il trono di Pietro” apra “nuovi tempi di speranza, pace, fraternità, amore (...) e uguaglianza”.
Il presidente passa dunque a far sua l’idea di una “Chiesa dei poveri”: “Quanto ci è piaciuto sentire dalle sue labbra un anelito trascendente e espresso con tanta fede: ‘Come mi piacerebbe avere una Chiesa povera per i poveri!’ Queste parole mi hanno fatto ricordare l’opzione preferenziale per i poveri che è sempre stata quella del Comandante Chávez”.
Anche san Francesco d’Assisi viene ingaggiato nella Rivoluzione Bolivariana: “Ci ha molto rallegrato che Lei, Santità, si sia messo sotto la protezione di san Francesco d’Assisi, il Poverello. (…) Dobbiamo ricordare le parole con cui egli definì la sua missione: Io ho scelto la Santa Povertà come mia Signora”.
Alla fine, dopo un cattolicissimo “Per Cristo, con Lui e in Lui”, Maduro chiude con un più democratico “Un Grande Abbraccio Bolivariano!”.
Orfani della rivoluzione comunista, i teologi della liberazione pensano di aver trovato nel nuovo populismo che soffia in America Latina una “prassi rivoluzionaria” nella quale si possono arruolare per portare avanti i loro disegni sovversivi. Chiediamo alla Vergine di Coromoto, patrona del nostro Paese, che non permetta una tale manipolazione e che, anzi, affretti la venuta del Suo regno.