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Il martirio della Chiesa cattolica in Ucraina: ieri e oggi

di P. Pavlo Vyshkovskyi, OMI

Recentemente si sta parlando molto dell’Ucraina, a causa del conflitto con la Russia. Tralasciando gli aspetti politici della situazione, mi preme porre l’accento su un punto fondamentale: nelle zone sotto l’influenza russa, la Chiesa cattolica praticamente non esiste più. Alcuni edifici ecclesiastici sono stati occupati dai separatisti filorussi e adibiti ad altri usi; altri sono stati totalmente distrutti. Il Servizio Federale per la Migrazione della Russia non ha rinnovato i permessi di soggiorno per i cittadini stranieri che lavorano per le comunità religiose della Crimea e del Donbass, costringendoli quindi a lasciare il paese.

Il clero cattolico è stato costretto a fuggire per evitare il carcere. Chi resta, deve nascondersi. Il vescovo cattolico di Kharkov-Zaporozhe, mons. Stanislav Shirokordiuk, ha denunciato: “Nell’est del Paese ora c’è una caccia ai preti cattolici”. A farne le spese, non solo i cattolici di rito latino ma anche quelli di rito greco cattolico. “La Chiesa greco cattolica oggi è paralizzata”: ha affermato padre Volodymyr Zhdan, cancelliere dell’esarcato di Odessa e Crimea.

La persecuzione contro la Chiesa cattolica in Ucraina non è cosa nuova. Per settant’anni il mio paese patì una brutale persecuzione religiosa per mano dei sovietici. Le immani sofferenze sono ancora fresche nella memoria di tutti. Proprio a questa persecuzione ho dedicato la mia tesi di laurea, pubblicata poi in Italia col titolo «Il martirio della Chiesa cattolica in Ucraina» (Luci sull’Est, Roma 2006).

Le cifre parlano da sole: 45mila sacerdoti, religiose e religiosi uccisi; dieci milioni di fedeli martirizzati; trentamila chiese rase al suolo. Tutto ciò nel periodo in cui il comunismo sovietico, comandato da Mosca, governò il mio paese, cioè dal 1922 al 1990.

Le storie sono raccapriccianti. Il mio parroco, don S. Sabudzinskyy, non volendo tradire il suo sacerdozio, subì torture terribili: gli strapparono la pelle, gli tagliarono le orecchie e il naso e, dopo averlo trascinato per le strade della città, lo crocifissero come Gesù. Mio nonno fu sotterrato vivo perché trovato a pregare il Rosario.

Aveva ragione S.E. Mons. André Sheptyskyj, arcivescovo metropolita di Lvov, quando in una lettera a papa Pio XII scrisse: “Questo regime solo si può spiegare come un caso di possessione diabolica collettiva”. Non capiamo come ci possano essere persone, nell’attuale situazione politica, che inneggiano a quello sovietico come ad un periodo di grande auge nazionale. Per la Chiesa di Dio, fu solo sangue e sofferenza.

Quando il governo decise di distruggere la nostra chiesa, si scontrò con la forza della Fede dei fedeli, i quali la presidiarono per ben due mesi sotto la neve, di gior- no e di notte. Si distesero sotto i trattori per impedirne la distruzione. Il governo inviò allora l’esercito. I militari presero i fedeli e gli perforarono la testa, uno a uno, infilandovi un filo metallico da un orecchio all’altro. Poi, come un Rosario di corpi, li legarono insieme formando un cerchio intorno alla chiesa. Essi preferirono morire piuttosto che tradire Cristo. Grazie alla loro fede, la mia chiesa è una delle poche che, in Ucraina, non sia stata distrutta nel periodo del comunismo. In questa chiesa mia madre mi conduceva sempre, nonostante il decreto del Ministero degli interni che proibiva la frequentazione della chiesa ai minori di diciotto anni. Chi trasgrediva questa legge, era punito con tre anni di prigione.

Ogni domenica direttori e insegnanti delle scuole piantonavano l’ingresso delle chiese per rimandare a casa i bambini. Quelli che riuscivano a entrare erano segnalati alle autorità. Il giorno dopo venivano puniti davanti ai compagni di scuola: gli toglievano i vestiti, gli strappavano i capelli, li pizzicavano e via dicendo. Se un bambino portava al collo la croce, gli insegnanti gliela toglievano e, dopo averla calpestata, la gettavano nel gabinetto. Ai bambini che andavano in chiesa venivano tagliati i capelli a forma di croce, e tutti i colleghi dovevano sputar loro addosso. Chi frequentava la chiesa riceveva sistematicamente voti più basi, per dimostrare che i credenti erano “stupidi”.

I miei genitori mi hanno insegnato a difendere la Fede anche a costo di molte sofferenze. Nell’adolescenza ne feci esperienza sulla mia pelle. A scuola ero l’unico della classe che frequentasse la chiesa. Per questo motivo, gli insegnanti mi tormentavano alla presenza dei miei compagni. Mi mettevano in ginocchio davanti al quadro di Lenin, mi minacciavano, mi picchiavano, mi ripetevano: “Non sarai mai prete”. All’età di undici anni, nel 1986, fui accusato di essere “nemico del mio paese” perché la notte di Natale ero andato in chiesa per la Santa Messa. Le guardie mi scovarono.

Per punizione mi tolsero il giubbotto e mi costrinsero a rincasare in maniche di camicia, con la temperatura a -25 gradi. Percorsi cinque chilometri sulla neve, sotto la morsa del freddo che intorpidiva le mie membra. Irrigidito dal gelo, non riuscivo a camminare: mi rotolavo e strisciavo per terra. Dentro di me pensavo alle numerose persone della mia parrocchia che non avevano avuto paura di dare la loro vita per Gesù. Trascorsi otto mesi in ospedale. Oggi non sento con un orecchio e con l’altro molto poco, ma sono riconoscente a Dio per avermi fatto sopravvivere. Ecco perché appartengo alla Santa Chiesa Cattolica Romana.

Purtroppo, oggi, forse con meno spettacolarità che nel periodo sovietico, la Chiesa viene di nuovo perseguitata nelle zone sotto l’influenza russa. Bisogna pregare tanto per l’Ucraina affinché il buon Dio ci preservi anche da questa prova. Grazie per le vostre preghiere!

 

Holodomor: l’olocausto ucraino

 

Nella lingua ucraina “Holodomor” significa “sterminio di massa per fame”. Si riferisce alla carestia provocata artificialmente, nel ‘32 e ‘33, da Stalin per sterminare il folto ceto dei piccoli contadini proprietari.

Lo sterminio di massa dei contadini ucraini attraverso la fame artificiale fu una consapevole forma di terrore politico perpetrata da Mosca contro la popolazione civile, in seguito al quale venne eliminata un’intera generazione di agricoltori. Fu un’azione ideata e realizzata deliberatamente, visto che tutte le scorte di frumento e d’altri generi alimentari vennero requisiti e portati via nei centri industriali dell’URSS.

Conformemente alle disposizioni governative, fu inoltre vietato ogni commercio dei prodotti alimentari, con severissime pene quali reclusioni superiori a dieci anni e fucilazione, nelle zone e nei villaggi rurali che non erano riusciti a consegnare i prodotti agricoli al Governo, secondo il piano imposto da questo.

Gli storici e i demografi dissentono tuttora sul numero esatto delle vittime. Tuttavia si potrebbe affermare che, tenendo conto delle stime del censimento nel 1937, la cifra più probabile dei morti per inedia e per i fenomeni da essa provocati, quali epidemie, cannibalismo, suicidi e via dicendo, superi i sette-otto milioni.