Condividi questo articolo

Submit to FacebookSubmit to Google PlusSubmit to Twitter

Washington: mezzo millione il difesa della vita innocente

di Julio Loredo

 

Washington D.C. - Io c’ero! È stata la più grande Marcia di per la vita di sempre. Oltre mezzo milione di persone hanno sfilato oggi (venerdì 24 gennaio) nella capitale statunitense per difendere la vita innocente e i diritti del nascituro. Con una mossa senza precedenti, il presidente Donald Trump ha tenuto un discorso incoraggiando i partecipanti a continuare la loro crociata pacifica in nome di Dio.


Ogni anno, nell’anniversario della famigerata sentenza della Corte Suprema nota come Roe vs. Wade, del 1973, che aprì la strada all’aborto legale negli Stati Uniti, migliaia di attivisti pro-vita marciano nella capitale in quella che è diventata la “madre di tutte le marce”, il modello che tutti i movimenti pro-vita nel mondo dovrebbero seguire. La Marcia rappresenta l’apice di un lungo processo di organizzazione e motivazione che coinvolge migliaia di attivisti su tutto il territorio nazionale. In altre parole, la Marcia non è tanto fine a sé stessa quanto uno strumento per mantenere attiva la crociata per la vita negli Statu Uniti. La Marcia ha anche profonde ricadute politiche.


I risultati sono straordinari. Gli Stati Uniti sono, forse, l’unico paese in cui l’aborto sta effettivamente diminuendo. Sotto la pressione delle campagne pro-vita, le cliniche abortiste stanno chiudendo. Alcuni Stati non hanno nemmeno un solo centro sanitario in cui le madri possono uccidere i loro bambini. Altri Stati stanno approvando leggi che rendono illegale l’aborto, o almeno lo restringono. I pro-vita stanno chiaramente vincendo la battaglia culturale. Ci sono voluti 47 anni, ma i risultati ora stanno venendo alla luce.


Una chiara dimostrazione di ciò è stato il completo fallimento della Marcia femminista convocata una settimana prima a Washington, come una sorta di contraltare alla March for Life. Ha attirato appena 10 mila donne. I blog della sinistra culturale cercarono di nascondere il fallimento parlando di “poche ma entusiaste” donne.


Questa è stata la mia prima volta alla March for Life, anche se, ovviamente, la conoscevo benissimo, anche perché la
TFP Americana vi partecipa sin dalla prima edizione, nel 1974. Mentre guardavo allibito il fiume umano che sfilava davanti a me sulla Constitution Avenue, nel cuore della città, alcune riflessioni affioravano nella mia testa.


La prima osservazione è il numero di giovani. Oltre il 60% della Marcia era composto da giovani nella fascia 15-25 anni. Cosa spinge queste ragazze e questi ragazzi a perdere un giorno di scuola o di università, viaggiare per molte ore nel bel mezzo dell’inverno e poi marciare tutto il giorno senza quasi mangiare o bere? La risposta è, ovviamente, l’entusiasmo. Questi ragazzi hanno un fuoco, una generosità e una voglia di combattere che giustificano ogni speranza per il futuro del movimento pro-vita in America. Molti di loro avevano partecipato all’Adorazione eucaristica durata tutta la notte nel Santuario dell’Immacolata. Ho intervistato decine di ragazzi e ragazze: i loro discorsi erano tutti molto articolati, spiegando la loro militanza a favore della vita come risultato di convinzioni profondamente radicate, sia religiose che filosofiche. C’era poco campo per un sentimentalismo vuoto.


Una seconda osservazione riguarda la partecipazione dei cattolici. Anche se la Marcia è un’iniziativa laica, anzi politica, e quindi aperta a tutti, la presenza cattolica è schiacciante. Molti pregano il Rosario, altri portano immagini della Madonna o di Santi, altri ancora cantano canzoni religiose. Ci sono molti sacerdoti, soprattutto giovani, che indossano la talare e perfino la berretta. Alcune diocesi sono rappresentate ufficialmente, con tanto di gonfalone con lo stemma del Vescovo. Ci sono tantissimi gruppi parrocchiali guidati dal proprio parroco, che portano stendardi con i loro santi patroni. I cattolici americani non hanno paura di portare la propria Fede sulla piazza pubblica.


Non ho potuto fare a meno di contrastare questa bella militanza cattolica con la pusillanimità che si riscontra in tanti ambienti ecclesiali europei. Mi sono ricordato quando, all’indomani della vittoria cattolica nel 2005 contro la Legge 40, un giornalista chiese al cardinale Cammillo Ruini, allora presidente della CEI, se, forte di questa vittoria, la Chiesa intendeva quindi contestare la Legge 194. Risposta: “La Legge 194 non si tocca!”. Senza parole.


Questo vasto movimento a favore della vita negli Stati Uniti, ha poi conseguenze politiche. A Marcia finita, i leader pro-vita contattano i propri deputati e senatori, facendo pressione su di loro a favore della vita innocente e contro qualsiasi legislazione che possa ostacolare i diritti dei nascituri. Il movimento pro-vita americano segue da vicino i politici e registra i loro interventi al Congresso, indirizzando poi il voto pro-vita verso i politici che difendono davvero la vita umana. Il voto pro-vita può significare la vittoria o la sconfitta per un candidato, e i personaggi pubblici lo sanno.


Ciò segna una netta differenza con molti movimenti a favore della vita in Europa che, per molte ragioni, non riescono a trasformare la loro azione in risultati politici concreti.


Il presidente Trump conosce benissimo il peso del voto pro-vita. È il primo presidente americano a partecipare alla March for Life. In un discorso di grande ispirazione, ripetutamente interrotto da applausi, ha elencato tutto quanto ha fatto per difendere i bambini innocenti e le loro madri. Ha promesso di rendere l’America il principale paese a favore della vita e della famiglia: “Vinceremo la battaglia per la vita!”.


Solo tre giorni prima, aveva ottenuto una grande vittoria quando il Senato aveva respinto le accuse che i democratici stavano presentando contro di lui nel processo di impeachment. È ovvio che lo perseguitano non per le sue presunte azioni, ma per ciò che rappresenta. In effetti, si sente una crescente divisione nell’opinione pubblica americana. C’è uno scontro frontale tra due visioni dell’America: una basata sui valori cristiani e l’ordine naturale, l’altra basata sul secolarismo e la licenziosità morale. La via di mezzo si sta riducendo rapidamente.


Questo spiega un altro aspetto del dibattito sull’aborto: la sua crescente intensità. Mentre i pro-vita diventano sempre più audaci e vincono le battaglie culturali, gli abortisti stanno ricorrendo alla violenza e al satanismo. In effetti, sta diventando sempre più comune per gli abortisti attaccare i pro-vita al grido di “Viva Satana!”.


Considero tutto questo, in fondo, uno sviluppo positivo. Non che mi piacciano gli scontri violenti, ma almeno le idee vengono presentate con chiarezza. Il bene avanza mostrandosi senza paura, mentre il male avanza nascondendosi e ingannando. Quando le idee sono proclamate apertamente e le posizioni sono chiaramente definite, il bene ha condizioni migliori per vincere.


Queste sono alcune riflessioni che mi ha ispirato la March for Life di oggi a Washington D.C., a cui ho avuto la gioia e il privilegio di partecipare. Già alla sua 47° edizione, la Washington March for Life è una fonte d’ispirazione per coloro che, in tutto il mondo, stanno difendendo la vita umana innocente e la famiglia.