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A trent’anni del Trattato di Maastricht

di Plinio Corrêa de Oliveira

Trent’anni fa, con scarso margine, la Francia approvava il Trattato di Maastricht che dava forma all’Unione Europea. La TFP francese fece all’epoca una grande campagna di opposizione. Oggi, che il problema dell’Europa torna a occupare il centro delle attenzioni, conviene ricordare la posizione delle TFP al riguardo. Lo facciamo con brani tratti dalle memorie di Plinio Corrêa de Oliveira.*

 

Il problema si può riassumere in una domanda: vogliamo un’Europa cristiana, oppure un’Europa laica e rivoluzionaria?

Grandi blocchi nazionali, la strada verso una dittatura burocratica universale

Le TFP non vedono con simpatia la moderna tendenza a unificare le nazioni in grandi blocchi. Questo perché la formazione di tali blocchi comporta l’estinzione delle patrie locali che, amalgamandosi, aprono la via a una dittatura burocratica universale. In questo modo si arriva all’abolizione di tutte le patrie e di tutte le nazioni in un blocco che mi sembra assolutamente innaturale e indesiderabile. Questo è il motivo per cui io mi sono sempre opposto all’unificazione dell’Europa proposta dal Trattato di Maastricht.

Il Trattato di Maastricht venne introdotto in modo disonesto. I leader europei si erano resi conto che era un vero pericolo consultare il popolo su cosa pensasse delle sue clausole. Decisero quindi di approvarlo per semplice maggioranza nei rispettivi Parlamenti, dove contavano con un certo appoggio. Al risveglio, le nazioni europee si sarebbero trovate non più sovrane.

Ma la Danimarca volle indire un referendum, perché la sua costituzione così richiedeva. I giornali danesi pubblicarono perciò il testo del Trattato. Per la prima volta, gli europei poterono leggerlo, e videro che si trattava di un testo incomprensibile, un guinzaglio al collo delle nazioni d’Europa. Alla domanda se volessero legarsi all’Unione Europea oppure rimanere indipendenti, i danesi scelsero di rimanere indipendenti. Fu una grande sconfitta per Maastricht.

Di fronte al risultato in Danimarca, in diversi paesi gli oppositori del Trattato iniziarono a dire: “Vogliamo anche noi un plebiscito!”. Ciò scatenò un’epidemia di panico, che prese in contropiede i leader europeisti. Affinché non avesse l’aria di una dittatura, questa Europa doveva fingere di essere stata approvata secondo i canoni del più rigoroso democratismo.

La campagna della TFP francese

Questa reazione fu molto forte in Francia, che decise di indire anch’essa un plebiscito. In una telefonata con i vertici della TFP francese, dissi loro che, secondo me, conveniva entrare nel dibattito e denunciare il Trattato, facendone un’analisi spassionata e oggettiva, e chiedendo ai francesi: è questo che volete? Anche se non avessimo ottenuto la maggioranza, sarebbe stato imbarazzante per gli europeisti. Una loro vittoria troppo risicata sarebbe equivalsa, in sostanza, a una sconfitta, perché imporre a poco meno della metà di una nazione la rinuncia alla sovranità è cosa molto brutta e dai risultati molto incerti.

La questione andava vista, quindi, non solo in termini di numeri, ma di numeri analizzati politicamente. Dovevamo assolutamente fare uno sforzo affinché i francesi votassero “no”. Lasciare che questo Trattato fosse approvato senza una parola della TFP francese sarebbe stata una vera tristezza.

Un’altra cosa: dato il ruolo della Francia, una vittoria di Maastricht sarebbe stata una vittoria europeista, come una sconfitta sarebbe stata una sconfitta europeista. Le sorti dell’Unione Europea si giocavano dunque in Francia. Se avesse vinto il “no”, per molto tempo il piano per l’unificazione dell’Europa, cioè il piano per un supergoverno mondiale, sarebbe stato ostacolato, di conseguenza, era molto importante che la TFP francese cercasse di galvanizzare almeno una larga parte dei sostenitori del “no”.

I membri della TFP francese mi chiesero un contributo alla loro analisi. Il problema era che il testo del Trattato era la cosa più stupida, più pazza, più anarchica e più confusa che si potesse immaginare. Diversi eminenti francesi erano arrivati a dichiarare che era inintelligibile. Dovetti fare un grande sforzo intellettuale per organizzare e comprendere quel groviglio di pezzi che si mescolavano disordinatamente. Non potete immaginare quanto sia stato faticoso elaborare una bozza di suggerimento. Successivamente, i membri della TFP francese lavorarono sul testo proposto, apportando gli adeguamenti necessari e dandogli la formulazione definitiva. E il manifesto venne finalmente pubblicato su Le Quotidien de Paris. La TFP francese realizzò anche campagne di piazza.

All’inizio, le intenzioni di voto erano molto più pro-Maastricht che contro. A poco a poco i contro Maastricht aumentarono fino ad arrivare a un sostanziale pareggio. Con l’approssimarsi del referendum, si iniziò a parlare di uno scarto del 2-3%. Alla fine, Maastricht vinse con un piccolo margine del 2,1%. Era una vittoria di Pirro. Il governo di François Mitterrand era molto imbarazzato, perché sapeva che il 48,9% dei francesi non voleva Maastricht, e quind non poteva cedere la sovranità francese sulla base di una maggioranza così esigua.

Si vide pure che il risultato in Parlamento — dove Maastricht era stato approvato con larga maggioranza — non interpretava il sentire del Paese. Un ministro riassunse così la situazione: “Per il governo non è un semaforo rosso, ma non è nemmeno un semaforo verde, è un semaforo giallo”.

Si potrebbe ben dire che i pro-Maastricht ottennero una piccola vittoria, e noi invece una gloriosa sconfitta. Il fatto è che, grazie a questa campagna, crebbe l’influenza della TFP francese. E per molto tempo il piano per l'unificazione dell’Europa, cioè il piano per un super governo mondiale, è stato compromesso.

* Plinio Corrêa de Oliveira, Minha vida publica, Artpress, San Paolo, 2015, pp. 744-750, brani scelti.