“Habemus Papam Ecologistum”
di Evaristo de Miranda
L'enciclica Laudato si' di papa Francesco impiega la parola "natura" 74 volte, "ambiente" 55 e l'espressione "Gesù Cristo", che designa la seconda Persona della Santissima Trinità, soltanto una volta. Ma il maestro della Galilea, non deificato, chiamato appena "Gesù", appare 22 volte, lo stesso numero del termine "tecnologia" e meno della metà della parola "scienza", evocata 55 volte. Eppure la Pontificia Accademia delle Scienze, con più di una decina di premi Nobel, non sembra aver contribuito molto e non è menzionata. La parola "democrazia" è assente dal testo.
L'enciclica è densa e merita di essere letta, studiata e ponderata. In essa, la questione ecologica è affrontata non solo nella sua dimensione strettamente "naturale" ma anche nel suo contesto umano, sociale, politico, religioso e culturale e il testo non è rivolto soltanto ai vescovi e ai cattolici. Fatto estremamente raro, il Papa parla in prima persona singolare, mettendo da parte il maestoso plurale "Noi", caratteristico dei pronunciamenti pontifici. Si rivolge ai credenti (ebrei, musulmani ...) e ai non credenti. Parlando all'umanità, il Papa evoca la responsabilità di tutti nel gestire la terra come la nostra casa comune. Egli sostiene una crescita economica con moderazione e sobrietà, fondata sui cambiamenti comportamentali.
Nuovi "ismi"
Neppure una volta l'enciclica utilizza le parole "capitalismo" e "socialismo". Solo quando evoca la storia menziona il nazismo e il comunismo. Il testo impiega abbondantemente alcuni "ismi" di natura eminentemente comportamentale: consumismo, individualismo, relativismo, antropocentrismo, realismo, condizionalismo e scetticismo.
L’enciclica ha avuto una ripercussione positiva nei media. Il dovere giornalistico di informare ha fatto sì che molti articoli ed editoriali abbiano avuto la pretensione di riassumere il documento. Compito difficile. Altri ancora hanno fatto e fanno letture selettive del documento per sostenere, giustificare o ampliare le loro tesi tradizionali. Alcune persone non l’hanno letto e l’hanno apprezzato. Altri non l’hanno letto e non l’hanno apprezzato. Per un documento che pone molte domande, alcune problematiche sono poco ricordate.
Consapevole della complessità del tema, Papa Francesco ribadisce: "Ci sono discussioni, su questioni relative all’ambiente, nelle quali è difficile raggiungere un consenso. Ancora una volta ribadisco che la Chiesa non pretende di definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla politica, ma invito ad un dibattito onesto e trasparente, perché le necessità particolari o le ideologie non ledano il bene comune" (188). Possiamo domandarci: gli uomini e le società possono essere gestiti per consenso? C'è qualche nazione che funziona per consenso? Quali ideologie danneggiano il bene comune? Chi può identificarle? Qual è la differenza tra necessità (termine impiegato nell'enciclica) e interessi privati (termine impiegato nei media) nella tematica ambientale?
Geografia dell'inquinamento
Già nel primo capitolo, si vede che la valutazione ecologica del progresso planetario è negativa, pessimista e squilibrata. Si parla di inquinamento diffuso che causa migliaia di morti premature. Tuttavia, nel mondo intero, più diffuse sono l'aumento dell'aspettativa di vita e dell'istruzione che accompagnano la crescita industriale e la tecnicizzazione dell'agricoltura. Non si è mai vissuto così a lungo, mangiato così tanto, studiato e votato su così tante cose, come oggi succede nel pianeta.
I problemi legati all’inquinamento non esistevano nelle società preistoriche. Se questi sono costanti e concomitanti con lo sviluppo, è altrettanto vero che sono stati e sono risolti dai progressi della scienza e della tecnologia. Sulla scia di questa preoccupazione pontificia, perché l'enciclica non ha ricordato il trasferimento di industrie inquinanti verso paesi periferici come parte della strategia di risanamento ambientale praticata da decenni dalle nazioni sviluppate?
Parlando con gli anziani
"In molti luoghi del pianeta, gli anziani ricordano con nostalgia i paesaggi d’altri tempi, che ora appaiono sommersi da spazzatura" (21). Questa affermazione sembra un po’ riduttiva se consideriamo le condizioni insalubri nelle quali le persone vivevano fino all'inizio del XX secolo in Europa e in cui vive ancora una gran parte della popolazione mondiale. Non vi è alcun motivo per non investire in una gestione dei rifiuti più efficiente e per ridurne la produzione, ma i vecchi paesaggi, anche in Europa, senza drenaggi o dighe, erano contrassegnati da inondazioni, epidemie, malattie croniche, carestie, con persone denutrite che vivevano in habitat malsani privi di riscaldamento o elettricità.
Gli anziani ricordano certamente quale fosse la vita quotidiana in tali ambienti, specialmente in inverno o in periodi di siccità. Grazie ad una alimentazione adeguata, i loro figli sono più alti eppure hanno già un deficit di altezza rispetto ai loro nipoti, cosa che sta accadendo ora in molti paesi in via di sviluppo.
Progresso e tecnologia
Le società economicamente sviluppate hanno i mezzi per prendersi cura della loro biodiversità, per ridurre l'inquinamento della terra e dell'aria, per proteggere e mantenere puliti i loro mari e fiumi. Hanno universalizzato i servizi igienico-sanitari di base con avanzate tecnologie di gestione degli scarichi non paragonabili, ad esempio, a quelle utilizzate negli impianti di trattamento delle acque reflue in Brasile. Nei paesi ricchi, il ciclo di vita delle merci è pianificato; la spazzatura è classificata, trattata e riciclata; molti ecosistemi sono preservati e vengono goduti da una popolazione che possiede ampie garanzie sociali e accesso a un'intensa vita culturale.
Associando l'impiego di fattori moderni nell'agricoltura soltanto a effetti potenzialmente tossici, l'enciclica non rende giustizia alla sicurezza alimentare raggiunta con livelli record di produzione né ai vantaggi raggiunti in termini di qualità nutrizionale e sanitaria né al calo del prezzo del cibo che tali fattori, frutto della scienza e della tecnologia, hanno permesso di raggiungere, con beneficio soprattutto per i più poveri. Gli oracoli unilaterali consultati dal Papa mancano del giusto equilibrio qui e altrove. “Per i Paesi poveri le priorità devono essere lo sradicamento della miseria e lo sviluppo sociale dei loro abitanti” (172), scrive il Papa. Come raggiungere questi obiettivi senza la crescita economica e le nuove tecniche e tecnologie? Per consenso?
Papa Paolo VI aveva già menzionato il tema ambientale nel 1971, citando l’enciclica Pacem in terris. Nel 2002, Giovanni Paolo II fu il primo a invitare alla conversione ecologica quando firmò a Venezia, con il Patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, una dichiarazione congiunta che chiedeva la salvaguardia del Creato. Eppure, i media hanno presentato quella chiamata come una novità sollevata per la prima volta dalla Laudato si'.
Benedetto XVI ha parlato dell'ecologia durante il suo pontificato. In Caritas in Veritate (2009), ha affermato: "La Chiesa ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico. E facendolo deve difendere non solo la terra, l'acqua e l'aria … Deve proteggere soprattutto l'uomo contro la distruzione di sé stesso”. Sotto il suo pontificato, il più piccolo Stato del pianeta è divenuto neutrale sulle emissioni di carbonio e ha adottato ambiziosi obiettivi ambientali. Non c'è nessuna industria inquinante nei suoi 44 ettari (piccolo prodigio!). La papamobile è stata trasformata in un veicolo a combustione ibrida. I pannelli solari forniscono energia alla sala delle udienze accanto alla Basilica di San Pietro. Benedetto XVI ha anche piantato una foresta di 7.000 ettari in Ungheria per compensare le emissioni di gas serra del Vaticano. Se papa Francesco può chiedere ad altri paesi di adottare misure ambientali, è perché, in un certo senso, il Vaticano ha fatto i compiti in casa.
*Ricercatore presso Embrapa, Dottore in ecologia, Direttore dell'Istituto Scienza e Fede. Pubblicato O Estado de S. Paul, 25 luglio 2015