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No-global, sinistra riciclata e teologia della liberazione

 

Lo scorso febbraio si è tenuto nella città brasiliana di Porto Alegre  il 2° Forum Sociale Mondiale (FSM), ovvero il maxi-raduno dei cosiddetti “no-global”. Sull’origine e la matrice ideologica di questo movimento abbiamo già ampiamente informato i nostri lettori (1).

Le cifre destano impressione: 51 mila partecipanti provenienti da 119 Paesi, 4.909 organizzazioni iscritte, 800 conferenze, 1.200 workshop, 2 mila giornalisti.  “Abbiamo superato ogni aspettativa”,  è stato il parere degli organizzatori. Come cifre, il doppio rispetto al del 1° FSM del gennaio 2001, grazie anche al grande sviluppo internazionale del movimento, che si ritiene il continuatore, in chiave post-moderna, della rivoluzione comunista.

Massiccia la presenza italiana. Con Vittorio Agnoletto e Luca Casarini in testa, la delegazione italiana è stata la più numerosa dopo quella brasiliana e quella argentina. Per non parlare poi dei politici.  Da Walter Veltroni a Fausto Bertinotti, da Pietro Folena a Claudio Burlando, dai governatori di Emilia Romagna (Vasco Errani) e Toscana (Claudio Martini) al sindaco di Genova (Giuseppe Pericu), da deputati diessini a militanti di Rifondazione comunista, mezzo Ulivo si era dato appuntamento a Porto Alegre per partecipare a quello che il giornale parigino Le Figaro ha descritto con l’eloquente titolo di “samba elettorale della sinistra”.

I giornali italiani hanno dedicato al  2° FSM intere pagine, motivate non solo dall’importanza dell’evento in sé, ma anche dalla sua diretta ripercussione sulla politica nazionale.

 

I no-global fra mito e realtà

Ma non è oro tutto quel che luccica. Opera degli uomini ma anche del “padre della menzogna”, il processo rivoluzionario mescola un po’ di sostanza a tanta propaganda artificiosa. Uno dei miti spacciato da questa propaganda è quello della pretesa irreversibilità della Rivoluzione. Per imporsi, la Rivoluzione ha sempre avuto bisogno di mostrarsi come un movimento irreversibile che, spinto dal vento della storia, travolge ogni cosa al suo passaggio, lasciandosi dietro appena le rovine del passato. Ed è proprio questa l’impressione che i no-global vorrebbero dare.

Dietro le cifre del 2° FSM e le trionfalistiche dichiarazioni degli organizzatori si nasconde, invece, una realtà molto più complessa.

Come al solito, l’accozzaglia dei contestatori presenti a Porto Alegre era, a dire il meno, alquanto eterogenea: “Vi si incontrano spalla a spalla, o petto a petto, pensosi uomini di Stato e lesbiche che inalberano il seno nudo come argomento contro la ‘globalità’, dai sindacalisti brasiliani agli anarchici greci, dagli ‘amici del consumatore’ americani di Ralph Nader ai Black Block” (2).

Questo carattere variegato e anarchico del movimento di per sé preclude ogni leadership unitaria. Ma un movimento amorfo e senza figure emblematiche difficilmente può possedere forza politica. Ed ecco che spuntano i diversi “portavoce”, come il dott. Agnoletto. Ma cosa rappresentano in realtà costoro?  Prendendo atto del fatto che “non si capisce bene chi siano” i seguaci di Agnoletto, l’inviato speciale del Corriere della Sera a Porto Alegre ha dovuto ammettere che nel Social Forum italiano “serpeggia una certa insoddisfazione tra tutte le associazioni che non si sentono rappresentate da lui” (3). Ma, come lo stesso giornalista poi sottolinea, “Agnoletto è molto quotato a livello internazionale”. Tradotto in spiccioli, vuol dire che egli è più un prodotto della propaganda massmediatica che un leader accreditato e seguito all’interno dei no-global. Ma è solo lui?

Ci viene in mente anche don Vitaliano della Sala, strombazzato dai massmedia come “il cappellano dei no-global”, ma che poi non riesce a riunire neanche una ventina di seguaci nel campeggio estivo di Sant’Angelo a Scala (4).

Siamo del parere che l’importanza di questi personaggi all’interno del movimento no-global vada drasticamente ridimensionata, consapevoli che a volte l’attendibilità di certa informazione può lasciare molto a desiderare.

Un’altra crepa nel movimento è l’attrito, più dialettico che reale, fra vecchia e nuova sinistra.

Esempio di questo attrito la contestazione dei no-global contro il Forum dei parlamentari, evento collaterale al vertice di Porto Alegre, con tanto d’invasione dell’aula, slogan, pugni chiusi, la conquista del palco dei relatori e via dicendo. Particolarmente bersagliati i diessini italiani. “Questa gente è estranea alla nostra esperienza”, sosteneva Pietro Bernocchi, leader dei Cobas (5). I membri dell’Ulivo erano contestati soprattutto per il voto a favore della guerra contro il terrorismo. “In Italia i ds hanno votato a favore della guerra, il fatto che siano qui è una contraddizione”, ripeteva ad nauseam Agnoletto (6).

 

Il problema di fondo

Ecco il problema di fondo, già trattato nell’ultimo numero della nostra rivista. Le sanguinose giornate genovesi -- che hanno svelato la faccia truculenta del movimento no-global – e soprattutto l’attentato terroristico dell’11 settembre, hanno ulteriormente accentuato una tendenza già percepibile da alcuni anni, e cioè lo spostamento d’una maggioranza dell’opinione pubblica finora inerte verso atteggiamenti, se non di attiva opposizione alla Rivoluzione,  almeno di non accettazione delle sue manifestazioni più estreme.

Votando in favore della guerra, i parlamentari dell’Ulivo hanno dimostrato di aver correttamente verificato questo spostamento a destra dell’opinione pubblica, preferendo non discostarsene, anche al prezzo di rinnegare l’antiamericanismo loro tanto caro. Così facendo, però, hanno necessariamente urtato le frange più radicali della sinistra, tra le quali molti settori no-global.

Lo stesso 2° FSM ha dovuto tenere conto di questo nuovo clima, esibendo – sen non altro ai fini della propaganda internazionale -- un volto piuttosto moderato, che mal si concilia con la sua ispirazione rivoluzionaria.

Esempio tipico è stata la mancata partecipazione del dittatore Fidel Castro. Invitato dai leader no-global, e particolarmente dal Partito dei Lavoratori brasiliano, che ospitava l’incontro, il barbuto tirano si è sentito “consigliare” da alcuni organizzatori di non mettere piede in Brasile per non far identificare troppo il movimento no-global col comunismo vecchio stampo.

Così, nonostante le rassicuranti dichiarazioni di Naomi Klein, primadonna dei no-global, che “le sfide al nostro movimento dopo l’11 settembre sono ancora più formidabili” e che “gli attivisti oggi sono più forti e determinati” (7), i dirigenti ormai sanno di dover operare in un clima notevolmente cambiato dai tempi di Seattle e di Genova.

Per dissimulare quanto possibile questo obbligato abbassamento di tono, evitando anche che si raffreddasse l’animo dei militanti, l’incontro di Porto Alegre ha gradualmente accantonato i discorsi politici più rivoluzionari, trasformandosi in un immenso carnevale a ritmo di samba. Ne hanno preso atto i giornali italiani che, già prima della fine dell’evento, hanno cambiato il taglio dei loro servizi. Caustico Rocco Cotroneo sul Corriere della Sera: “Baldoria, festa tropicale, mancanza di concretezza. Forse. Difficile costruire i destini del mondo, sbuffa qualcuno, in questa bolgia. Caldo e informalità spinta fanno saltare gli schemi” (8).

 

La sinistra riciclata

Sostanzialmente meritate, queste critiche rischiano però di vanificare un movimento che si è già dimostrato capace di mettere a ferro e fuoco una città come Genova. Dietro i risvolti folcloristici si annida, infatti, una preoccupante realtà rivoluzionaria.

A cominciare dall’anfitrione, il Partito dei Lavoratori (PT) di radice marxista, l’evento è stato dominato dalle sinistre radicali: socialisti, anarchici, comunisti, seguaci della teologia della liberazione, movimenti indigenisti e femministi di stampo marxista, e via dicendo. Lo stesso Agnoletto ha precisato che “definire questo evento come un incontro di movimenti di sinistra è esatto” (9).

A giudicare dalla quantità di magliette del Che Guevara, di Lenin e perfino di Stalin, nonché dalla profusione di bandiere rosse con tanto di falce e martello, Agnoletto questa volta non si è sbagliato.

“Vedette” dell’incontro è stato, senza dubbio, Luiz Inácio da Silva detto Lula, candidato del PT alla presidenza del Brasile, osannato da alcuni giornali nostrani come un “amatissimo leader” che si muove sempre “in odore di folla”. Questi giornali, però, poco ci dicono sulla suo matrice ideologica.

Nonostante qualche tardivo abbassamento di tono, ai fini strettamente elettorali come egli stesso ha riconosciuto durante il suo intervento nel 2° FSM, Lula resta quel che è sempre stato: un rappresentante dell’estrema sinistra. In piena campagna elettorale nel 1989, egli fece un viaggio a Cuba durante il quale si congratulò "per gli intimi rapporti fra il Partito dei Lavoratori ed il Partito Comunista di Cuba, vista la coincidenza di posizioni ideologiche". (10)

Più recentemente, recatosi a Cuba con una delegazione del PT, ha salutato a Castro in questi termini: "Anche se il suo volto è ormai segnato dalle rughe, Fidel, la sua anima resta pulita perché Lei non ha mai tradito gli interessi del suo popolo. Grazie, Fidel, grazie per continuare a esistere!" (11)

Fra i tanti eventi collaterali nell’ambito del 2° FSM, bisogna ricordare la riunione del Forum di San Paolo, con la partecipazione di 600 delegati dell’America Latina, nonché di osservatori francesi ed italiani. Questo Forum è stato creato nel luglio 1990, dietro richiesta di Fidel Castro, allo scopo di salvaguardare il socialismo cubano e latino-americano dopo il crollo dell’URSS. Il Forum è composto dai partiti comunisti del continente, guerriglieri delle FARC e ELN di Colombia, il Partito dei Lavoratori ed altri movimenti politici di simile orientamento. Il Forum tiene riunioni annuali, l’ultima delle quali si è svolta nel dicembre 2001 a L’Avana sotto l’egida di Fidel Castro.

 

Rispunta la teologia della liberazione

Ma per noi cattolici, forse, l’aspetto più preoccupante che emerge dal 2° FSM è il ruolo predominante che sta assumendo all’interno del movimento no-global il catto-comunismo, e particolarmente la cosiddetta teologia della liberazione (TdL), da più parti data frettolosamente per defunta a seguito del tramonto della rivoluzione, il suo humus naturale.

Come in occasione del 1° FSM e anche del contestatissimo G8 di Genova, la presenza cattolica è stata cospicua. Il 2° FSM si è svolto nel campus della Pontificia Università Cattolica di Rio Grande do Sul e ha visto la partecipazione di diversi alfieri della TdL, tra cui Frei Betto (Carlos Alberto Libânio Christo), descritto dai giornali come “l’ispiratore di questo forum”. L’ex-frate francescano e teologo della liberazione Leonardo Boff era stato invitato, ma è stato impossibilitato a muoversi per motivi di salute.

Frei Betto ha tenuto un’applauditissima relazione intitolata “Mistica e rivoluzione”. Davanti a centinaia di sacerdoti, suore e militanti delle Comunità ecclesiali di base (CEB), egli ha spiegato che “la società verso la quale dobbiamo tendere si definisce con una parola: socialismo”. Dopo aver sollecitato un applauso in onore di Karl Marx, il frate domenicano ha sostenuto che “l’uomo nuovo” di questa società dev’essere figlio del “matrimonio fra Ernesto Che Guevara e Santa Teresa di Gesù” (12).

Nel corso del suo intervento, Frei Betto ha fatto rivelazioni che fanno pensare. Secondo lui, la stragrande maggioranza degli attuali dirigenti sindacali, sociali e politici della sinistra brasiliana provengono dall’ambiente catto-comunista: “Nel MST [Movimento dei Senza Terra, una sorta di guerriglia rurale, N. del T.] sono attivi 26 dirigenti nazionali. Tutti sono entrati tramite la Chiesa. È molto difficile trovare leader della CUT [Centrale Unica dei Lavoratori, il sindacato comunista, N. del T.] o della CMP [Centrale dei Movimenti Popolari, N. del T.], che non siano entrati tramite la Chiesa” (13).

Ecco quindi i contorni d’una vera e propria rivoluzione in gestazione, nel preciso momento in cui il comunismo viene dichiarato ufficialmente morto. E, ancora una volta, dobbiamo constatare con profonda amarezza che certi settori del mondo cattolico non solo non ne sono estranei, ma addirittura ne costituiscono la forza trainante.

 

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1. Cfr. “Da Genova alle Twin Towers: l’Occidente nella tenaglia”, Tradizione Famiglia Proprietà, settembre-novembre 2001.

2. Alberto Pasolini, “E il guru dei no-global giustifica l’11 settembre”, Il Giornale, 02-02-02.

3. Claudio Sabelli Fioretti, “Ma dov’è il no-global?”, Sette, 22-02-02.

4.  Claudio Lazzaro, “Campeggio delle Tute bianche, sfida a Scajola”, Corriere della Sera 18-08-01.

5.  “Il Forum alternativo diffida del contingente ds”, Corriere della Sera 01-02-02.

6. Marisa Fumagalli, “Porto Alegre, battaglia contro la guerra”, Corriere della Sera 02-02-02.

7. Alessandra Farkas, “Un’occasione storica dopo l’11 settembre”, Corriere della Sera, 29-01-02.

8. Rocco Cotroneo, “Porto Alegre ruba le pentole a Buenos Aires”, Corriere della Sera, 03-02-02.

9. Corriere della Sera, 29-01-02.

10. Gramna, organo ufficiale del Partito Comunista di Cuba, 12 gennaio 1989.

11. "Teologia de la liberacion e izquierdas brasilenas", Agencia CubDest, www.cubdest.org.

12. “Porto Alegre: Foro social mundial y foro de Sao Paulo se dan la mano", Diario Las Americas, 15-02-02).

13. Diario en la Red, Madrid, 19-02-02.