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La dittatura della moda

 

L’orecchio, il sopracciglio, la mascella, il naso, la lingua, le parti intime… non esiste limite. Si direbbe che la moda di ferire il proprio corpo bucandolo per introdurvi oggetti metallici – nota come piercing – è il grido disperato di una generazione sopraffatta dal dolore e dall’infelicità. Il buon senso è brutalmente urtato da una stravaganza così repulsiva. Più grave ancora, però, è la deformazione morale e psicologica soggiacente a tale pratica.

Uno storico francese dell’arte, Denis Bruna, ha pubblicato nel 2001 il risultato delle sue ricerche riguardo all’uso del piercing nel mondo cristiano. In diversi dipinti medievali egli ha trovato individui con il viso perforato da anelli, catene, fermagli e via dicendo. Erano sempre personaggi spregevoli. In altre parole, i medievali contrassegnavano questo tipo di personaggi proprio col piercing.

In una Via Crucis del pittore fiammingo Hieronymus Bosch (1450-1516) gli aguzzini di Nostro Signore Gesù Cristo portano il piercing, come marchio d’infamia. Nei secoli scorsi, certi crimini particolarmente infamanti e degni di esecrazione venivano puniti col piercing alla lingua o al naso. In altri casi, era segno di servitù. È veramente spaventevole constatare che, duemila anni dopo la Redenzione, dopo aver rigettato la Civiltà cristiana, l’umanità si compiace nel lacerare le proprie carni con segni che, fino a non molto tempo fa, erano considerati marchio d’infamia o prova di squilibro mentale. Interessante da notare anche il cappello della strega nel dipinto di Bosch: nientemeno che l’arcobaleno.

(Denis Bruna, Piercing. Sur les traces d’une infamie médiévale, Textuel, Paris 2001)